C’era una volta Gaza

Per scelta. Non appena Nasser arrivò al potere, promettendo socialismo e rivoluzione, Che Guevara andò al Cairo in cerca di consigli e ispirazione, e poi, in treno, sigaro e basco in testa, a Gaza, dai leggendari guerriglieri palestinesi: ma non trovò nessuno. Finì a cena con le guardie del contingente Onu. E il mattino dopo ripartì.

Era il 1959. E a Gaza non si andava per la rivoluzione, ma le grigliate in spiaggia.

Scrivi: “Gaza”, e su Google, non hai che sangue e macerie. E di ogni bombardamento, un certo ospedale, un certo punto, un certo giorno, ti appaiono più foto, di anni diversi: guerre diverse. Eppure, un tempo Gaza era così bella che Marco Antonio la regalò a Cleopatra. Le regalò anche Jerico, in realtà, e anche un’oasi sul Mar Morto, e un po’ di tutto, ma per Plutarco, Gaza era aromatophora, la dispensatrice di profumi, perché era sulla via dell’Incenso. Ora è alla fame. E il confine è chiuso. Ma un tempo, tutti transitavano da Gaza. E per tutti, era “la Atene dell’Asia”, perché era un centro di filosofia. Famoso per le vigne e il vino.
E non era poi così tanto tempo fa. Oggi l’alcol è proibito, ma ancora ieri, sotto il Mandato Britannico, l’economia si basava sull’orzo: per i produttori di birra inglesi.

Ora che scaveranno per ricostruire, però, oltre ai mosaici bizantini riaffiorerà poco altro. Perché a Gaza, la storia è stata demolita come tutto il resto: i rigattieri non hanno niente. Né i musei. Un tappeto, un anello, una teiera. Niente. Non esistono più neppure i ricordi: svaniti insieme ai morti. Hai solo frammenti, diapositive alla rinfusa di cui ormai si sono perse le connessioni, le correlazioni, i rapporti di causa effetto. I corsi e ricorsi. E pensi che i tunnel siano stati un’idea di Yahya Sinwar, invece sono lì da Alessandro Magno.

Conquistata e riconquistata mille volte, Gaza è stata ottomana dal 1516, britannica dal 1917, egiziana dal 1948, e infine, dal 1967, israeliana. E a lungo, è stata solo Gaza City. A cambiare tutto è stato il 1948. Perché con la fondazione di Israele, agli 80mila abitanti originari si sono sommati 200mila rifugiati, e i rifugiati sono ancora il 66% della popolazione: 1,7 milioni. La più alta concentrazione al mondo. Da allora, Gaza è diventata competenza di diplomatici, primi ministri, presidenti, generali, Ong e agenzie dell’Onu. Ha smesso di essere una città: ed è diventata un problema.

Dal 7 Ottobre, tutti hanno detto la loro, tranne uno: il sindaco.

Gaza è così. Dici che ha un sindaco, e si meravigliano tutti.

Il più amato, e più emblematico, è stato Rashad al-Shawa, sindaco dal 1971. Era un imprenditore. E ovviamente, la sua priorità erano gli 8 campi profughi: in cui era stipato un abitante ogni otto metri quadrati. Cominciò da al-Shati, che è sul lungomare, e quindi, è essenziale per la sua riqualificazione, e che per i giornalisti è quello in cui ha casa Ismail Haniyeh, il leader di Hamas, e per i palestinesi quello che ha le onde migliori per il surf -anche se Israele vieta l’importazione delle tavole, e tocca ingegnarsi, e riadattare di tutto: fino agli sportelli dei frigoriferi. Rashad al-Shawa assegnò 250 metri quadrati di terra a chi avesse abbattuto la propria casa per costruirsene un’altra fuori da al-Shati. Affidando tutto a Eylon Meromi, il progettista israeliano dei grattacieli delle città costiere dell’Iran, e a Saad Mohaffel, un siriano che aveva studiato a Londra il modello Singapore. Ed è inutile dire che chiamati poi a scegliere il tipo di casa, i palestinesi scelsero un misto tra le case tipiche arabe e le case tipiche israeliane. Con il meglio di entrambe.

E che l’Olp tentò di assassinare Rashad al-Shawa tre volte.

Perché chiunque si dedichi a elettricità, acqua, strade, chiunque voglia migliorare la vita di ogni giorno è accusato di collaborare con Israele, di normalizzare l’occupazione. Fiaccare la resistenza. Da sempre. Anche adesso.

Soprattutto con i rifugiati: dovessero integrarsi altrove, e non volere più tornare.

L’Olp, però, fallì. E quindi, nel 1982 Rashad al-Shawa fu rimosso da Israele.

Perché i pragmatici, qui, sono più pericolosi degli estremisti.

Ad al-Shati si va per il surf e per il pesce. Il limite di navigazione ora è di 15 miglia, poi l’IDF ti spara, e il pesce non è più tanto, ma il ristorante al-Salam è un’istituzione, ed è finito anche sul Times of Israel. Ma non per i suoi gamberetti in umido: perché è di Moeen Abu Haseira, che ha un prozio rabbino. Un prozio ebreo. Cosa che considerava ordinaria, e non degna di nota. Diceva sempre: “Se sbagli le storie, poi sbagli la Storia”.

A fianco di al-Shati invece c’è Rimal, che è l’opposto. Rimal è il centro del centro di Gaza. Ha un’aria molto europea, somiglia all’Italia. Ma non è Italia, decisamente, perché la sua via principale è intitolata a Omar al-Mukhtar, l’eroe della Libia: quello che guidò la rivolta contro la nostra invasione. Fu qui che nel 1944 fu aperto il primo cinema, l’al-Samer. Che ora è una concessionaria d’auto. A Gaza erano tutti cinefili. Il cinema era così popolare che persino i Fratelli Musulmani furono fondati in un cinema. L’al-Amer. Era il 1946. Nel 1996 è stato bruciato da Hamas, e oggi Adnan Abu Beed, il gestore, vende aglio per strada, ma quelli erano anni in cui nelle foto, Gaza sembra la Versilia: e infatti sono foto che sono state distrutte dai palestinesi, non dalle guerre, perché sono foto di ragazze in minigonna, ragazze con whisky e sigaretta, ragazze che ballano, ragazze che dipingono all’accademia d’arte. Gaza è sempre stata così internazionale che i suoi artigiani non sono specializzati né in ceramica né in vetro, come nella West Bank, ma in bambù: che viene da India e Cina. Il laboratorio dei Khalaf, il migliore, da generazioni, che fa arredamento, è magnifico. Sta dietro lo Shifa Hospital che ormai tutti conosciamo. E che qui è il simbolo di come non conosciamo proprio niente, perché in arabo, “shifa” significa “guarigione”, e quindi è sinonimo di ospedale, non ha senso dire “Shifa Hospital”: non è il nome dell’ospedale.

Anche la prima industria è stata internazionale: americana. La 7Up. Gaza fu scelta per i suoi agrumi, ma soprattutto, perché era il 1961, e delle lattine made in Israel sarebbero state boicottate dagli arabi. Poi, però, con gli Accordi di Oslo, si è capovolto tutto: e l’ostacolo non sono stati più gli arabi, ma Israele, perché via via, Israele ha sigillato le frontiere, fino al blocco totale in vigore dal 2007, da quando Hamas è al potere, e l’anidride carbonica per le bollicine è stata inserita nelle liste dual-use” – tutto quello che ha anche un potenziale uso militare, e quindi è bandito. E alla fine, la 7Up ha chiuso. E le sue lattine ora sono su eBay come rarità da collezionisti.

Qui fai affari, su eBay. Nel 2013 Joudat Ghrab, un pescatore, si imbattè in una statua di Apollo del V secolo prima di Cristo. Una statua di bronzo. L’aveva scambiata per un cadavere, tanto è cosa comune, da queste parti, ma poi, trascinatala a riva, pensò di regalarla a sua madre: che non fu molto entusiasta di avere un uomo nudo in soggiorno. E provò a venderla per 500mila dollari. Specificando: spedizione a carico del destinatario.

La principale agenzia di viaggi, invece, non ha chiuso: si è riconvertita in agenzia di visti. Perché i palestinesi oggi sono esenti da visto solo in 11 paesi. Tipo Eswatini, e la Micronesia. Le Isole Cook.

In questo momento attraversare Rafah costa 10mila dollari.

E dai tunnel entrano le armi, sì, ancora: ma anche tutto il resto. All’inizio, Israele aveva calcolato le calorie minime indispensabili alla sopravvivenza, 2.279 a testa al giorno, per la precisione, e a lungo, non ha autorizzato una briciola in più, classificava come dual-use anche le matite, per la grafite: e così, sono entrate clandestine anche le tigri dello zoo. Dopo che si è scoperto che le zebre non erano zebre, ma asini verniciati a strisce. Hamas sognava i razzi dell’Iran: tutti gli altri, McDonald’s. Telefonavi a Khalil Efrangi, che adesso chissà dov’è, e in quattro ore, ti arrivava il pollo fritto del Kfc di el-Arish. Nel Sinai.

L’avevano ribattezzato: The King. Il re.

Gaza su Google è solo sangue e macerie perché su Google, è descritta dagli altri, giornalisti, attivisti, Ong, analisti: torna visibile su Google Maps dove si descrive da sé. Basta cliccarci su. E scopri che ha anche uno di quei caffè con tutti i gatti in giro, il Meow, e un caffè che è lì dagli Ottomani, ritrovo di intellettuali, e musicisti e artisti, il Beit Sitti, perché sì, ha anche intellettuali e musicisti e artisti, ha anche una rock band, e un centro yoga, e la pizzeria Italiano e la granita, anche se si chiama barrad ed è giallo semaforo ed è meglio non indagare troppo sui suoi ingredienti, e ha anche un ristorante sull’acqua, tipo Venezia, il Qalaa, e un campionato di calcio, e parchi e palestre, e al Capital Mall c’è anche la PlayStation 5: che però è sempre la stessa, perché costa 849 dollari, e nessuno può permettersela. Vai in spiaggia, la sera, e trovi questi ragazzini che guardano fisso l’orizzonte, e ti dicono: chissà com’è il mondo di là dal mare. Ti dicono: Ho 11 anni e tre guerre.

Il Capital Mall è riconducibile ai
Doghmush. Altrimenti detti: i Soprano di Gaza. Perché Gaza ha un governo, e ha cinque città, con cinque governatorati, Jabalia, Gaza City, Deir al-Balah, Khan Younis, Rafah: e ha Hamas e Fatah. Ma poi, è suddivisa in 41 distretti. E ognuno ha un comitato popolare responsabile di mediare dispute e controversie, e risolvere tutto con un compromesso. Senza l’intervento di giudici e polizia. è il regno delle hamula, che in genere viene tradotto dall’arabo con tribù: ma è più esatto dire clan. Domandi ai palestinesi cosa rappresenta più Gaza, e ti tirano fuori la patente. Per rinnovarla, paghi così tante, diciamo, mance, che ti costa meno ripetere l’esame di guida a Ramallah.

A Gaza tutto ha un significato. La patente, o per esempio le fragole. Che sono ovunque. Tutto il nord è piantato a fragole. Ed è un po’ un controsenso, in un ambiente di palme e sabbia. Richiedono molta acqua. E molta manodopera. Ma è stato Israele a incentivarle, spesso non hai alternativa, non hai altri semi: e via via, hanno sostituito le arance – rivali delle arance di Jaffa. A Gaza tutto ha una storia. Proprio lì dove la Storia è sparita.

L’unico archivio era quello di Kegham Djeghalian, che nel 1944 aprì il primo studio fotografico di Gaza. Era un rifugiato, ma un rifugiato del genocidio armeno, e dopo che nel 1967 la sua famiglia si ri-rifugiò al Cairo, restò solo. Gli subentrò il suo fido assistente Marwan Tarazi. Che però ora è sotto le macerie.

Insieme a tutte le foto di queste pagine.

Non è rimasto più niente.

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