“La pandemia ci ha reso tutti più buoni.” La prossima volta

 Sessismo, razzismo, omofobia. I discorsi d’odio non diminuiscono

 

Il terzo appuntamento dei webinar Talk&Show proposti da COSPE durante la pandemia per riflettere su temi, storie e percorsi alla fine di un mondo, ci ha portato inevitabilmente a interpellarci su cosa siano i discorsi d’odio, soprattutto veicolati in rete e quali siano i loro effetti su comunità o sui soggetti più fragili, cercando anche di indagare quali strategie di contenimento e contrasto possano essere messe in campo dalla società civile organizzata. Fra i panelist moderati dalla giornalista Sabika Shah Povia c’era anche il linguista Federico Faloppa che ha ribadito che “la definizione che dovremmo tenere un po’ a mente tutti quanti è più ampia, cioè non soltanto ciò che incita direttamente all’odio, ma anche poi quello che in qualche modo offende: le ingiurie che sono un po’ più difficili da catalogare sul piano giuridico. Da un certo punto di vista ci stiamo ancora affannando per capire tra discipline come sociologia, diritto, linguistica, semiotica, quale definizione ci serve di più per analizzare e studiare il fenomeno. Ad esempio sul piano linguistico, che cosa sono queste espressioni? Quali espressioni dobbiamo tenere in conto e quali no? Solo quelle che esplicitamente incitano all’odio, per esempio “Io ti odio”, oppure qualcosa anche di più sottile e che passa addirittura la censura, la rimozione da parte dei social network? Secondo me anche le cose più semplici e più sottili vanno tenute in conto, perché oggi ci rendiamo conto che sono quelle che muovono molta quantità di odio, o se non altro lo stimolano.” Per Giovanna Cosenza, docente di semiotica all’Università di Bologna, spesso “queste parole d’odio, si attaccano all’apparenza fisica del soggetto contro cui sono rivolte. E in particolar modo questo succede molto spesso se la persona aggredita è una donna. L’apparenza fisica è qualcosa su cui ossessivamente le donne sono messe al centro dell’attenzione, nel bene e nel male, ed è sempre un modo per degradarle. Anche quando si tratta di complimenti, perché anche un complimento può essere terribilmente offensivo, perché se fare un complimento sull’aspetto fisico in un contesto in cui sono pertinenti invece la professionalità e la competenza dell’interlocutrice, lo stai facendo proprio per liquidarla, svalutarla. La puoi far sentire pesantemente in imbarazzo anche senza che questo complimento sia volgare. Queste sono cose che però scollegherei dalla rete, su cui spesso la questione dell’hate speech si concentra: perché nei media cosiddetti tradizionali, la televisione in primis naturalmente, questa cosa accade molto di frequente.” Per Igiaba Scego, scrittrice, molto emblematico in tutto questo discorso è “l’episodio di Silvia Romano, in cui io ho visto veramente l’odio per le donne, l’islamofobia e il razzismo. Tutto insieme, erano cose che già erano precedenti ma in qualche modo hanno trovato in lei un catalizzatore. Io essendo di origine somala, vedevo scritto vestito tradizionale somalo da tutte le parti e vedevo anche come le persone consideravano quel vestito, e soprattutto il paese dove è stata rapita (anche se in realtà è stata rapita in Kenya poi è stata trasportata in Somalia) come il paese dei cannibali. A me ha molto meravigliato perché la Somalia è stata colonia italiana dal 1905 con una storia lunghissima di relazione con l’Italia. Allora la cosa che mi ha meravigliato di quel fatto non era stato solo l’odio, è come l’odio viene fuori con la non conoscenza”.

Talk&Show

Dal 13 maggio al 4 giugno COSPE ha organizzato 4 “talk show online” per discutere con esperti e testimoni delle questioni più urgenti e complesse che il periodo di emergenza ci ha costretto ad analizzare con uno sguardo diverso dal passato: abbiamo aperto con “I popoli dell’Amazzonia tra Covid-19 e deforestazione”, per continuare con “Salute pubblica e interessi privati” sul ruolo dell’Oms e della sanità pubblica durante la pandemia, “In media stat virus” sulla recrudescenza dell’odio online durante la quarantena e infine “L’impresa di essere donna”, una riflessione sul ruolo delle donne nella società e nell’economia della pandemia. Alla fine del dibattito era prevista la visione di film o doc selezionati tra i partner del “Terra di Tutti Film Festival” secondo la formula “Talk&Show”. Tutti gli incontri si possono ancora vedere sulla nostra pagina facebook.

di Jonathan Ferramola

Leggi tutti gli articoli di questo numero

“La pandemia ci ha reso tutti più buoni.” La prossima volta
Torna su