Con il coronavirus, il re è nudo

Dobbiamo scegliere tra salute pubblica e ortodossie del mercato 

 

Quest’anno celebriamo il 75° anno dalla creazione delle Nazioni Unite e il 25° anno dall’entrata in vigore dell’organizzazione Mondiale del Commercio. In questa coincidenza di date così significative arriva l’emergenza sanitaria Covid-19, questo nuovo virus che sconvolge sicuramente il mondo ma che travolge anche quelli che sono i presupposti su cui questo mondo oggi è costruito e su cui è stato fondato. E tutto questo lo fa a partire dalla salute. In realtà non è la prima volta che il mondo subisce uno shock. L’abbiamo visto nel 2001 con l’attentato alle Torri Gemelle, nel 2007-2008 con la crisi finanziaria, ma il mondo poi è ripreso e si è rimesso in carreggiata sugli stessi presupposti operativi, politici e strutturali di prima. La sfida adesso è capire se questo piccolo quasi non-organismo, il virus, riesca veramente a ribaltare le ortodossie di mercato con cui negli ultimi 25 anni abbiamo governato il mondo secondo una sola regola che è quella dell’assenza di regole. Per noi che ci occupiamo di salute da molto tempo questa può anche essere una sorta di epifania, una buona notizia. È una buona notizia perché ci sgoliamo da decenni sulla funzione e sul valore politico della salute ben prima e ben oltre la medicina. Il fatto che la salute oggi sia così importante nell’agenda politica internazionale, per cui simbolicamente troviamo i capi di Stato che partecipano all’assemblea Mondiale della Sanità, presuppone la prospettiva di un cambiamento che potrebbe avvenire, di un cambiamento in nuce. Se partiamo dal basso noi vediamo che il Covid-19 in poche ore ha già sovvertito le logiche del mercato, perché coloro che hanno operato e operano ancora oggi nelle corsie per sconfiggere il virus e per gestire il contagio -che sono i medici, gli infermieri, tutto il personale sanitario e i farmacisti, ma anche tutte le persone che si sono spese e che hanno pagato e stanno pagando un prezzo altissimo per questa impresa- non sono state ispirate dai valori del mercato, secondo i quali la concorrenza nel settore sanitario avrebbe aumentato l’innovazione, la produzione e l’efficienza. Niente di tutto questo. Ciò che queste persone hanno fatto e stanno facendo in tutto il mondo ha a che fare con l’etica professionale, con il senso della responsabilità, con il senso di servire un bene comune, un’utilità pubblica. Infatti, si è messo in gioco un sentimento di solidarietà per affrontare il contagio anche laddove i servizi sanitari hanno fatto cilecca o non ci sono. Questo è il grande insegnamento che ci stanno dando questi professionisti e questo passaggio così epocale di Covid-19. Noi sappiamo che l’Oms dà una definizione di salute che ha poco a che fare con la medicina ma che ha a che fare piuttosto con le libertà della democrazia e del patto sociale che c’è fra lo Stato e i suoi cittadini. A me piacerebbe agganciare la definizione di salute dell’Oms all’articolo 3 della nostra Costituzione perché tutte e due quelle definizioni portano al fatto che il principio della salute e il principio dell’uguaglianza sono legati a un portato di politiche sociali di cui il governo è responsabile. Quasi a voler dire che l’uguaglianza ci può essere solo se c’è la salute e che la salute è uno dei crinali attraverso i quali si misura anche la disuguaglianza. La domanda da porci è anche se questo virus che ha colpito anche i potenti del mondo sia un equalizzatore o in realtà sia esso stesso un agente di grandi disuguaglianze. Da lungo tempo la salute si dimena tra il concetto di bene pubblico di diritto e tra le forze del mercato, gli enti privati e gli interessi del profitto. Ed è sul campo della salute, del diritto alla vita, che purtroppo il settore privato si è scatenato già da molto tempo, per cominciare a dire la sua infiltrandosi in questo territorio che è un’area di affari senza confini. Anche la Banca Mondiale continua a perorare il ruolo degli attori privati nel campo della salute, facendo di tutto per spingere sul modello assicurativo e per far sì che ci sia campo aperto per gli attori che traggono profitto dalla salute. Questa tensione l’abbiamo vista dai primi minuti dell’esplosione del contagio in cui si è parlato di una “guerra” per combattere questo virus. Fino a questo momento la “guerra”, questa metafora forse anche largamente impropria che abbiamo usato finora, non è nulla in confronto alla vera guerra che si dovrà giocare tra la responsabilità politica governativa di controllare e gestire il contagio e invece l’irruzione e il cartello delle case farmaceutiche che nella corsa alla cura si è già ben organizzato per evitare in tutti i modi che questi vaccini siano davvero beni comuni come molti governi hanno chiesto negli ultimi giorni a Ginevra. Sarà necessario presidiare molto attentamente come opinione pubblica, come addetti ai lavori, visto che abbiamo riscoperto la salute pubblica universalistica gratuita per tutti, e sta a noi adesso batterci per farla valere questa conquista. Se la riusciamo a far valere per l’Italia abbiamo una chance di farla valere anche a livello globale.

“L’emergenza ha messo al centro dell’agenda politica internazionale la salute pubblica”

di Nicoletta Dentico

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