L’assalto liberista all’OMS e il fallimento delle sue politiche

Il modello liberista con cui è stata gestita la salute mondiale negli ultimi anni mostra ora più che mai tutte le sue criticità

 

Nella settimana in cui si teneva, per la prima volta online, la 73a sessione dell’assemblea Mondiale della Salute (20 maggio 2020 ndr), COSPE ha organizzato un webinar moderato da Nicoletta Dentico, esperta di cooperazione internazionale e salute globale, dal titolo: “Salute pubblica fra beni comuni e interessi privati”. Sono intervenuti Gianni Tognoni, uno dei fondatori dell’Istituto Mario Negri ed esperto di epidemiologia clinica e comunitaria, Maria José Caldés, esperta di salute e direttrice del Centro di Salute Globale della Regione Toscana (partner di COSPE) ed Eduardo Missoni, docente di Salute globale alle Università Bocconi e Bicocca Milano. Al centro del dibattito il ruolo dell’Oms e il concetto di salute globale che finalmente, anche se in modo traumatico, è entrato di forza nell’agenda politica internazionale. La speranza è che questo possa produrre un cambiamento. Tante le speranze, “perché questo è il momento giusto”, ma anche tanti i timori che rimangano intatte le regole e le logiche di mercato che regolano questo ambito da ormai molti anni: “La metafora della guerra al virus che abbiamo usato finora – dice Dentico- non è nulla in confronto alla vera guerra che si dovrà giocare tra la responsabilità politica governativa di gestire il contagio e l’irruzione delle case farmaceutiche nella corsa alla cura”. In discussione c’è la definizione, o meno, di “bene comune”. In questo contesto diventa dunque fondamentale il ruolo dell’Oms, un’Oms autorevole politicamente e indipendente scientificamente e capace di regolamentare il settore privato. “L’Oms -ricorda Gianni Tognoni- nasce dopo la guerra proprio come il primo indicatore concreto del fatto che la Dichiarazione Universale dei diritti umani non era soltanto una dichiarazione di principio ma doveva essere qualcosa che arrivasse alla gente”. Purtroppo la storia, ripercorsa da Tognoni nella sua digressione, ci insegna che negli anni, soprattutto con l’irruzione di Thatcher e Reagan nello scacchiere internazionale, il concetto di salute pubblica viene messo in discussione per fare posto a una visione totalmente liberista. “L’Oms -conclude- diventa così un organismo del mercato e i paesi sono chiamati a occuparsi di sanità (ed educazione) solo se sono in grado di sostenere le spese sanitarie e il carico economico e assistenziale che le malattie comportano. Negli anni Novanta, infine, si conclude anche il tempo della sperimentazione indipendente dei farmaci, perché tutta la sperimentazione clinica passa d’ufficio nelle mani delle industrie. In questo contesto la domanda lecita è chiedersi quale ruolo abbia e abbia avuto davvero la Oms durante la pandemia da Covid-19: “Io credo -dice Maria José Caldes- che l’Oms prima di tutto dovrebbe negoziare di più quelle che sono le misure del lockdown a seconda della realtà dei paesi. Non penso che i paesi del sud del mondo siano più impreparati di noi, direi che sono “sguarniti”, che è diverso. Prendiamo il caso dell’Africa, ad oggi (maggio ndr) la malattia ha un indice di mortalità molto più basso (0,06) della media degli altri (0,1). È ovvio che questa pandemia avrà effetti molto negativi per l’Africa sul piano economico, ma è legittimo chiedersi se le misure possano essere le stesse per tutti i paesi a fronte di dati così diversi. L’epidemia più pericolosa che può scoppiare in Africa è quella della fame”. La pensa così anche Eduardo Missoni: “Credo che l’Oms non sia sufficientemente preparata a differenziare gli interventi in caso di pandemia -dice- ma penso anche io che qualsiasi paese dove l’economia informale è dominante e dove le istituzioni sono deboli se non inesistenti, sia tutto un altro contesto che deve essere affrontato in tutt’altro modo proprio per evitare poi danni collaterali molto peggiori di quelli della stessa epidemia”. Questa visione, dove le decisioni si prendono altrove e sono tutte tecnologiche, viene ancora una volta da una “mentalità imprenditoriale”, secondo Tognoni, che è stata introdotta nelle politiche sanitarie dalla fine degli anni Novanta ma con più insistenza a partire dagli anni Duemila. I partenariati pubblico-privati, che avrebbero dovuto essere gestiti dall’Oms, oggi si sono in qualche maniera sostituiti all’Oms stessa. “Oggi l’Oms, piuttosto che avere la propria visione e la capacità di indicare a questi partenariati le strade da seguire, ha quasi la funzione di agenzia tecnica di supporto. Incapace di dettare le strategie mondiali perché succube di questi partenariati che ne sono anche i finanziatori.” Eppure l’emergenza Covid, la rottura di Trump con l’Oms, la ricerca del vaccino a livello mondiale, hanno creato oggi una serie di condizioni concomitanti che permetterebbero di porre basi diverse per il rapporto pubblico-privato nel campo della salute. Ma come si vede i rischi per intraprendere una nuova strada sono ancora molti.

“ I partenariati pubblico-privati si sono sostituiti all’OMS nella gestione della salute”

di Roberto De Meo 

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