di FRANCESCA PISSERI
“Gli allevamenti sostenibili sono possibili e auspicabili.”
Sono medica veterinaria esperta in agroecologia, con allevatrici e allevatori contribuisco a sviluppare aziende zootecniche che favoriscano rispetto per gli animali, forme di economia circolare, medicina preventiva e presenza di prati e pascoli integrati con zone boschive,
strutture ecologiche che forniscono importanti servizi ecosistemici quali prevenzione dell’erosione e sequestro di gas serra. Essere donna aiuta a promuovere la cura in senso ampio, a facilitare le relazioni, a vedere i processi nella loro dinamicità nello spazio e nel tempo. Però siamo a volte portate a trascurare tali importanti strumenti di lavoro, o a nasconderli, quando lavoriamo con approccio riduzionista, in una visione patriarcale. In tale approccio ci viene chiesto di apportare una soluzione a un problema, una iniezione per curare una malattia, ed è molto difficile fermarsi a riflettere insieme sulle radici dei problemi. Faticoso talvolta essere ascoltate, quando non si offrono rapide soluzioni ma consulenze gestionali che danno risultati nel tempo, poiché viviamo in un ambiente nel quale si privilegia l’approccio emergenziale.
Arduo talvolta essere ascoltate in quanto donne, nell’ambiente degli allevamenti il veterinario è molto spesso un uomo, e vi è la convinzione che sia necessaria una certa forza fisica per fare questo lavoro. Ho dovuto dimostrare per anni, non solo con le parole ma con i fatti, che le mie azioni potevano essere efficaci, mentre spesso ai miei colleghi maschi viene accordata fiducia a priori.
Ho dovuto ascoltare colleghi che mi spiegavano argomenti sui quali le mie competenze e il mio curriculum era più importante del loro, poiché nel contesto era scontato che non potesse essere il contrario. Questi accadimenti mi hanno creato rabbia e amarezza, e hanno reso indispensabile investire grandi quantità di energie. Oggi sono contenta, faccio un lavoro che amo promuovendo la costruzione di allevamenti sostenibili in senso sociale, etico, ambientale, economico. Ho incontrato giovani colleghe e colleghi che vogliono seguire questo metodo di lavoro, con cui sono felice di condividere il mio percorso.
È noto che l’allevamento intensivo è causa di molteplici problemi come inquinamento, consumo di suolo, forte utilizzo di risorse non rinnovabili, deterioramento del paesaggio, sofferenza per gli animali. Credo in un allevamento diverso, basato su un approccio olistico e inclusivo che mette al centro il rapporto tra persona, animale e ambiente. Il sistema va ridefinito ponendo nuove priorità e nuove pratiche: l’efficienza ecologica al posto della produttività; la qualità dei prodotti al posto della loro quantità; la prevenzione sanitaria e una buona alimentazione per il mantenimento della salute; la diversità e la mescolanza, di specie animali diverse, e di animali e vegetali, per abbattere i paradigmi di uniformità e purezza e favorire a tutto tondo la biodiversità. Sono arrivata a questo modo di lavorare partendo da un interrogativo: che significa curare? Prescrivere un farmaco quando un animale si ammala, lenendone così le sofferenze e salvaguardando il portafoglio dell’allevatore? Certo, ma la cura può essere qualcosa di più: creare condizioni di allevamento nelle quali le cause favorenti le malattie siano ridotte, con ampi spazi di pascolo, opportunamente gestito, con una alimentazione adeguata, con spazi al chiuso ampi e puliti. Prendersi cura significa anche agire il riconoscimento di specie differenti dalla nostra, percepire in loro le assonanze e le differenze con noi. Riconoscere le loro esigenze: di vita sociale, di movimento, di riposo, alimentari. Ecco quindi che l’atto del curare, da mera prescrizione di un farmaco, diviene un atto con una impronta ecologica, in quanto organizzazione di un ambiente di vita consono alla vita degli animali che ospita.
“Arduo essere ascoltate in quanto donne nel settore della veterinaria”.
L’approccio agroecologico implica guardare in diverse direzioni, mettere in relazione, collegare, integrare diverse esigenze: quelle umane con quelle animali e quelle dell’ambiente. Per esempio tramite un corretto utilizzo del letame si stimola il riciclo dei nutrienti del suolo favorendone la fertilità e lo stoccaggio di gas climalteranti. L’atteggiamento tecnico, sul campo, è quello di affiancare l’agroecosistema, e non di dominarlo apportando incisive modifiche, come avviene negli approcci intensivi. Si sperimentano soluzioni che tengano conto di tutte le esigenze, con il metodo della ricerca-azione partecipativa, nel quale tutte le attrici e gli attori concorrono alla costruzione del progetto; nella mia visione sono inclusi anche gli animali, e il territorio stesso, che suggeriscono soluzioni che possano creare sinergie tra le componenti del sistema. Il modello agroecologico applicato all’allevamento può creare sistemi sostenibili, ma solo riducendo fortemente i nostri consumi di prodotti animali. Diminuendo la quota di cereali e legumi nell’alimentazione animale a favore dei foraggi come erba e fieno si diminuisce la competizione alimentare tra animali e umanità, gli animali erbivori si nutrono di cibo più adatto alla loro fisiologia ammalandosi meno, diminuendo anche la necessità di trasporti e di input chimici. I prodotti animali derivanti da un efficiente utilizzo di sistemi foraggeri hanno qualità organolettiche e nutrizionali eccellenti. Il basso costo del cibo, che porta anche a sprechi impressionanti, non aiuta a dare un giusto valore alla vita dell’animale che lo ha fornito, e alla fatica delle persone che hanno lavorato per produrlo. È necessario un riconoscimento emotivo, economico e sociale delle pratiche virtuose. L’allevamento animale, da elemento perturbante gli equilibri ambientali, può divenire quindi promotore di salute, in senso “One Health”: la salute è una e riguarda in modo interconnesso tutti gli abitanti del pianeta. Agire in questo modo implica un lavoro di tipo sociale, una disposizione alla trasformazione e una crescita comune dei soggetti coinvolti, una rinuncia a cercare soluzioni settoriali, vanno invece sperimentati modelli fortemente interconnessi. La visione agroecologica contiene in sé l’idea che ambiente naturale e cultura umana possano convivere in collaborazione, per il rispetto delle componenti animali, minerali e vegetali della biosfera, e promuove l’idea della sovranità alimentare e di uno sviluppo socialmente ed eticamente sostenibile.