PIONIERI. POALA MIGLIORINI. Missione Agroecologia

di GIULIA BARTOLOZZI

“Le persone non dovrebbero essere meri consumatori davanti allo scaffale di un supermercato”

Intervista a Paola Migliorini, Associata di Agronomia e Coltivazioni Erbacee all’Università di Scienze Gastronomiche che nella sua carriera si è sempre interessata di agricoltura biologica ed agroecologia.

Ci riassume il percorso che l’ha portata a questo interesse che poi è diventato la sua professione? 

La mia passione per l’ecologia è iniziata già al liceo ed è naturalmente proseguita all’università, anche se alla Facoltà di Agraria di Firenze nei primi anni ’90 non era facile trovare professori che parlassero di agricoltura biologica. Per fortuna ho incontrato la professoressa Concetta Vazzana, che non solo è stata relatrice della mia tesi di laurea prima (1997) e di Dottorato poi (2006) ma, nel 2001, ha fondato il primo Master in Italia  sull’agricoltura biologica di cui lei era responsabile scientifica e io coordinatrice didattica. Durante l’Università ho svolto un Erasmus a Wageningen al Master in Ecological Agriculture e dopo la laurea ho lavorato per molti anni come direttrice del “Coordinamento Toscano dei Produttori Biologici” una delle prime associazioni del biologico italiano (1983). Con il Ctpb abbiamo realizzato un importante un progetto regionale (“Sviluppo dell’agricoltura biologica nei parchi della Toscana”), dove mi occupavo di coordinare il lavoro dei tecnici pionieri del bio, nelle aziende agricole toscane che erano interessate a convertirsi alla produzione biologica ed era un progetto all’avanguardia per l’epoca. Dal 2008 mi sono trasferita all’Università di Scienze Gastronomiche, prima come ricercatrice e adesso come professoressa Associata; in questi anni mi sono occupata anche di costituire la “Casa della Biodiversità” con varietà locali di cereali e ortaggi riconosciuta dalla Regione Piemonte e nel 2020 ho dato ita al Primo Master in Italia in “Agroecology and Food Sovereignity”.

A livello europeo esiste una associazione di agroecologia, la Agroecology Europe, di cui lei è socia: quale ne è lo scopo?

L’associazione “Agroecology Europe” lavora per migliorare le politiche europee sull’agroecologia, come spazio associativo, centro di raccolta di idee, di ricerca e di scambio orizzontale di conoscenze. Bisogna tener presente che spesso le aziende agricole convenzionali incontrano molti ostacoli nell’affrontare il passaggio al modello produttivo agroecologico e biologico, per cui è necessario procedere per gradi coinvolgendo in primo luogo i consumatori e gli agricoltori. Nell’ambito dell’agro dell’agroecologia si attua una ricerca “partecipata” che coinvolge ricercatori, agricoltori, trasformatori e “transdisciplinare” dove genetisti, agronomi, economisti, geografi, sociologi e umanisti collaborano. Nel miglioramento genetico, ad esempio, è fondamentale l’approccio partecipativo alla ricerca dove i vari attori della filiera decidono quali sono le caratteristiche delle specie e varietà locali da considerare al fine di raggiungere vantaggi per ciascun aspetto: adattamento cambio climatico, resilienza per danni e malattie, resa, qualità, aspetti sensoriali.

L’agricoltura, attività primaria dell’Uomo, è di per sé definibile come “sfruttamento razionale delle risorse della biosfera”: perché c’è bisogno di agroecologia allora?

I dati Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) del 2020 riferiscono che l’agricoltura e la zootecnia convenzionali sono responsabili del 12% di gas a effetto serra, nonostante potenzialmente l’agricoltura sia l’unica attività antropica che può fungere da assorbimento del carbonio (le piante coltivate assorbono anidride carbonica)! È evidente che occorre ridisegnare un sistema produttivo più ecologico e nel rispetto dei cicli naturali. Personalmente non credo alla cosiddetta “intensificazione sostenibile”, credo si tratti di una contraddizione in termini. Serve invece lavorare sul system redesign dalla selezione di varietà locali resistenti ma accessibili ai contadini, alla gestione della fertilità del suolo ottimizzando le rotazioni delle colture, le consociazioni, fino alla gestione del paesaggio con agroforestry e infrastrutture ecologiche. Inoltre occorre diversificare le aziende a livello del food system e creare un tipo di mercato più diretto e a filiera corta, che si muova in canali diversi dalla Gdo (Grande Distribuzione Organizzata) in cui i piccoli produttori hanno pochi spazi di libertà. L’agroecologia non è solo un concetto legato all’agricoltura ma anche alla politica e all’approccio all’alimentazione: le persone dovrebbero avere un ruolo decisionale e di partecipazione nella scelta di cosa produrre e di che cosa nutrirsi, non essere meri consumatori davanti allo scaffale di un supermercato.

Ci spieghi meglio.

L’agroecologia è un approccio olistico e integrato che applica simultaneamente concetti e principi ecologici e sociali alla progettazione e gestione di sistemi alimentari e agricoli  sostenibili. Cerca di ottimizzare le interazioni tra piante, animali, esseri umani e ambiente, affrontando anche la necessità di sistemi alimentari socialmente equi all’interno dei quali le persone possano esercitare la scelta su ciò che mangiano e su come e dove viene prodotto. L’agroecologia è contemporaneamente una scienza, un insieme di pratiche e un movimento sociale e si è evoluta come concetto negli ultimi decenni per ampliare l’ambito da un focus su campi e fattorie per comprendere l’intero sistema agricolo e alimentare.

In Europa, come abbiamo visto, c’è comunque attenzione al tema dell’agroecologia. Il problema è realizzare questo modello positivo in paesi nei quali ci sono ancora molti casi di denutrizione acuta che, secondo i dati Fao, sono in crescita costante. Lei crede che ci sia una percorso da seguire per superare questa disparità?

L’agroecologia ha avuto negli ultimi anni un crescente riconoscimento a livello internazionale tanto che nel 2018 si è svolto a Roma il secondo simposio internazionale sull’agroecologia, organizzato dalla Fao, che ha riunito più di 700 partecipanti, tra cui rappresentanti di 72 governi, 350 esponenti di Organizzazioni Non Governative, rappresentanti di 6 agenzie delle Nazioni Unite, accademici ed esponenti nella società civile e del settore privato per discutere delle politiche e degli interventi a sostegno del potenziamento dell’agroecologia. Nel 2019 la Fao ha inserito l’agroecologia come strategia chiave nel quadro degli Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030. Esistono già reti globali di agroecologia, soprattutto nei paesi del Sud del Mondo. In America Latina c’è la Socla (Sociedad Científica Latinoamericana de Agroecología) e in Africa moltissime Ong e diversi governi si sono impegnati in iniziative a supporto dell’agroecologia (Kenya, Uganda, Senegal, etc.)

L’Italia è il paese pioniere dei “Bio-Distretti”, aree geografiche in cui gli agricoltori, i cittadini e gli enti pubblici si accordano per la gestione sostenibile delle risorse locali, basandosi su produzione e consumo di prodotti biologici. Una recente legge italiana, (n.23 del 9/3/2022), ha esteso la loro definizione, includendo attività e politiche per la difesa del territorio e dell’ambiente. Attenzione confermata anche a livello europeo, nell’ambito della strategia “Farm to Fork” del “Green Deal”, Lei ritiene che siamo a buon punto per quanto concerne il raggiungimento di un’agricoltura sostenibile?

L’Ue sta puntando su percorsi innovativi quali Living Lab, Research Innnovation e Lighthouse. Ritengo che i biodistretti siano un’ottima forma aggregativa per conseguire obiettivi di sviluppo coerenti che ricreino nei vari territori un tessuto produttivo che sia anche sociale e dei servizi al cittadino. La strada da percorrere è questa.

In base alla sua esperienza, che ruolo hanno le donne in agroecologia?

La questione di genere è molto importante in agroecologia perché tutt’oggi, nonostante si sottolinei nei vari contesti, sia di ricerca che politici, l’importanza del ruolo delle donne nella nutrizione dei figli e nella conservazione della biodiversità, di fatto, nei contesti rurali manca effettivamente considerazione per il lavoro femminile e non ci sono network attraverso cui le donne possono avere più potere. Questo non vale solo per i paesi del Sud del Mondo, anche in Europa c’è ancora molto da fare nonostante la legislazione cerchi, almeno in teoria, di agevolare la presenza femminile in agricoltura. In realtà le donne sono difficilmente autonome nelle scelte strategiche o nella gestione finanziaria delle aziende. Anche  nell’associazione “Agroecology Europe” è stato creato un gruppo di lavoro incentrato proprio sul tema del genere. Purtroppo siamo in un ambito ancora fortemente patriarcale dove si fatica a creare consapevolezza.

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