AGRO-PASSIONARIA. L’Agricoltura E’ Politica

di GIULIA BARTOLAZZI

“Il modello di agricoltura intensiva è andato in crisi ben prima della guerra in Ucraina”

Maria Grazia Mammuccini, direttrice dell’Arsia Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione nel settore Agricolo-Forestale per 15 anni (1995 – 2010), è ancora oggi una figura di spicco nell’ambito dell’agricoltura e dell’ambientalismo italiano: amministratrice della società “Nuova Agricoltura”, presidente di “FederBio” dal 2020, portavoce della Coalizione Italiana StopGlifosato, socia dell’Accademia dei Georgofili, dell’Accademia Italiana della Vite e del Vino e dell’Accademia Italiana di Scienze Forestali. Dal 2011 al 2016 è stata anche vice presidente di “Navdanya International”, associazione onlus presieduta dalla scienziata ambientalista indiana Vandana Shiva. Per la Regione Toscana ha inoltre coordinato iniziative di carattere internazionale come la “Commissione Internazionale per il futuro dell’alimentazione e  dell’agricoltura”, la “Fondazione Slow Food per la Biodiversità” e a livello nazionale la “Rete Interregionale per la Ricerca Agraria e Forestale”. È stata infine  componente per dieci anni (dal 2001 al 2011) del Consiglio di Amministrazione del Cra  (Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura), istituzione scientifica nazionale del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali.

Un curriculum ricchissimo e un lavoro che sembra anche passione e attivismo, giusto? Come è nato tutto questo?

Sì, per me il lavoro è prima di tutto una passione che mi ha accompagnato per tutta la vita. Mi ritengo una persona fortunata per aver avuto la possibilità di fare un lavoro che ha sempre rappresentato anche un impegno sul piano politico e sociale a sostegno di un’agricoltura in armonia con l’ambiente, in grado di valorizzare il ruolo degli agricoltori e la multifunzionalità come scelta strategica per dare forza al territorio rurale. Questo impegno nasce prima di tutto dalla tradizione familiare. Sono nata e cresciuta in una grande famiglia contadina che mi ha legato fin da piccola alla terra e al lavoro agricolo, legame che non si è mai interrotto e che è continuato e va avanti anche adesso nell’azienda insieme a mio marito. Ma quello che ha costituito un salto straordinario per me è stato l’impegno per tanti anni in Regione Toscana e in particolare alla direzione dell’Arsia che ha dato alla mia attività un respiro di dimensioni molto più ampie, di fondamentale importanza. Il lavoro portato avanti su ricerca, innovazione, formazione e assistenza tecnica collegando mondo della ricerca, tecnici e produttori agricoli ha costituito a suo tempo un’esperienza avanzata che si è confrontata con le esperienze delle altre Regioni italiane, a livello nazionale con l’impegno nel “Consiglio per la Ricerca in Agricoltura” e a livello europeo. In tutto questo ci tengo a evidenziare che il sostegno e il confronto continuo con l’Accademia dei Georgofili sono stati determinanti e hanno costituito un valore aggiunto strategico. Ma c’è un altro impegno fondamentale che l’Arsia ha portato avanti, al quale sono particolarmente legata, la “Navdanya International”, nata dal lavoro della Commissione Internazionale sul cibo, fondata da Vandana Shiva e dal Presidente della Regione Toscana Claudio Martini, oltre che dal collegamento con la “Fondazione Slow Food”, quello per la biodiversità, che ha visto la Regione Toscana approvare la prima legge sulla tutela e valorizzazione delle razze e varietà locali. Questa legge ha contribuito in modo decisivo alla diffusione della cultura della diversità in ambito agroalimentare, al recupero delle conoscenze tradizionali, al supporto tecnico dato alla rete europea delle regioni Ogm-free e al lavoro di sostegno alla costruzione da parte di produttori e consumatori di circuiti commerciali diretti, fondati su un concetto di responsabilità sociale nella produzione e nel consumo. È da tutto questo che si è determinata poi la scelta di continuare il mio impegno nell’ambito dell’agricoltura biologica, come metodo fondato sull’agroecologia che sta diventando il riferimento strategico per l’agricoltura del futuro, in grado di conciliare sostenibilità economica, sociale e ambientale ed un approccio efficace nel contrasto al cambiamento climatico, nella tutela della biodiversità e che rappresenta una concreta opportunità per l’impegno dei giovani in ambito agricolo.

Il recente rapporto Onu “Global Land Outlook 2” sull’uso del suolo, lancia un chiaro allarme e sottolinea il ruolo, tutt’altro che positivo, del sistema della produzione alimentare sul degrado delle terre. Ad oggi, l’uomo avrebbe alterato il 70% del suolo su cui ha messo piede e ne avrebbe degradato fino al 40%, in tanti modi: la deforestazione, l’agricoltura intensiva, gli incendi, il consumo di suolo, l’inquinamento chimico del suolo, le guerre, la costruzione di infrastrutture. Ma senza un suolo sano non si può produrre alimenti. Siamo veramente a un punto di non ritorno?

Senza un suolo sano non c’è agricoltura. Nel momento in cui la crisi internazionale mette al centro il tema dell’approvvigionamento del cibo, occorre riportare l’attenzione su questa risorsa necessaria e non rinnovabile da cui dipende oltre il 95% della produzione agroalimentare. Il suolo è fonte di vita. Rappresenta una risorsa preziosa dove si concentra il 90% della biodiversità del pianeta in termini di organismi viventi. Senza un suolo sano non è possibile avere cibi sani e acqua pulita. Il suolo impiega fino a mille anni per rigenerare la fertilità persa per inquinamento o desertificazione e la Fao avverte che la vitalità del suolo è messa a rischio anche dalle sostanze chimiche di sintesi utilizzate in agricoltura. A questo proposito nell’ultimo anno “FederBio” ha avviato una campagna di sensibilizzazione  patrocinata dall’“Ispra” (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) che ha attraversato l’Italia per verificare il contenuto di sostanze chimiche di sintesi nei campi coltivati, mettendo a confronto suoli convenzionali con suoli biologici. I risultati della campagna dimostrano che i campi coltivati con il metodo biologico in termini di residui di sostanze chimiche sono decisamente migliori rispetto a quelli coltivati in convenzionale a conferma che il bio è un metodo di produzione che contribuisce alla tutela del suolo e della biodiversità. Per questo è importante non solo far crescere i terreni coltivati con il metodo bio, ma anche diffondere le pratiche agroecologiche di cura del suolo al resto dell’agricoltura sostenendo gli agricoltori nell’adozione di tali innovazioni.

I recenti eventi bellici hanno messo a nudo l’inadeguatezza del nostro sistema agroalimentare nel produrre a sufficienza e renderci più autonomi dalle importazioni. È realizzabile, secondo Lei, la cosiddetta “intensificazione sostenibile”, ovvero incrementare le produzioni per soddisfare la crescente domanda di cibo, ma riducendo gli impatti ambientali dei processi e aiutare anche la sostenibilità economica e sociale delle imprese? Che ruolo possono avere in questo percorso la ricerca e l’innovazione?

Il modello di agricoltura intensiva è andato in crisi ben prima della guerra in Ucraina creando un elenco lunghissimo di criticità: il consumo di suolo, il crollo della biodiversità, l’aumento delle emissioni serra, l’inquinamento delle falde idriche, la chiusura progressiva delle aziende provocata da un sistema di prezzi iniquo, l’abbandono delle terre. La crisi attuale non investe solo la quantità della produzione ma anche l’impennarsi del costo di pesticidi, concimi chimici ed energia che rischia di strangolare le imprese agricole. Per questo occorre accelerare sulla transizione ecologica per innovare il modello agricolo puntando sull’agroecologia e sullo sviluppo del biologico come indicato dalla strategia europea “Farm to Fork”. E per parlare con concretezza di autosufficienza alimentare occorre puntare su filiere alimentari nazionali al giusto prezzo e su sistemi locali di produzione e consumo di cibo a partire dall’esempio dei distretti biologici. In questa fase, anche per superare l’eventuale differenziale di resa, è assolutamente necessario puntare su investimenti strategici in ricerca e innovazione. Per esempio la stessa agricoltura di precisione per le aziende può essere uno strumento importante anche per incrementare le rese del bio, coniugando sostenibilità e innovazione. È fondamentale riportare gli agricoltori al centro della produzione del cibo e guardare alla sostenibilità per produrre non solo per l’immediato ma puntando a garantire la produzione di cibo anche per le generazioni future.

Dopo 15 anni di attesa, di battaglie e di discussioni, il 2 marzo 2022 è stato approvato il Disegno di legge sulla “tutela, lo sviluppo e la competitività della produzione biologica italiana”. La legge ha lo scopo di disciplinare e organizzare il settore e stabilisce la formazione di un Tavolo tecnico per la produzione bio e l’istituzione di un marchio biologico italiano oltre ad altri strumenti per programmazione, ricerca e finanziamento e l’istituzione di un fondo per lo sviluppo della produzione e formazione. Qual è il suo giudizio in merito? Soddisfatta o si sarebbe potuto fare di più?

Si tratta di un traguardo storico per il settore e di un passo importantissimo per l’intero paese. L’Italia è tra i paesi leader per la produzione biologica. È un primato conquistato grazie all’impegno di tanti agricoltori, spesso giovani, e di operatori della filiera che hanno creduto nella scommessa di conciliare il legittimo interesse d’impresa con il bene pubblico della difesa del suolo, della biodiversità e della salute dei cittadini. Oggi questo impegno viene finalmente riconosciuto con l’approvazione della legge sul bio. Inoltre la legge arriva in un momento strategico e consente anche all’Italia di allinearsi alle politiche Ue che, con il “Green Deal”, la strategia “Farm to Fork” e il “Piano d’azione Europeo per il biologico”, puntano a una crescita consistente del settore. La normativa prevede strumenti importanti per lo sviluppo del settore come il marchio del “Made in Italy Bio” che può favorire la realizzazione di filiere di bio 100% nazionale e al giusto prezzo; il riconoscimento dei distretti biologici per territori dove il biologico è il modello di produzione di riferimento e che costituiscono un’opportunità strategica per le aree interne e le aree naturali protette. Inoltre la legge ha aperto la strada a innovazione, ricerca, formazione degli agricoltori per favorire la conversione al biologico, e a comunicazione e informazione dei cittadini per sostenere l’aumento dei consumi dei prodotti bio. Ora occorre dare gambe agli obiettivi stabiliti dalla legge, attraverso la definizione del “Piano d’azione nazionale del biologico” previsto sia dalla legge che dal “Piano Strategico Nazionale” della Pac, in un momento decisivo, visto che, a partire dalla fase attuale e fino al 2027, saranno messe in campo una notevole quantità di risorse per favorire lo sviluppo del biologico. Si tratta di investimenti importanti che complessivamente ammontano a quasi 3 miliardi di euro. È essenziale che queste risorse vengano spese bene, in maniera programmata e integrata, per garantire la crescita del settore.

Durante il suo lavoro con Vandana Shiva, ha avuto modo di incontrare realtà agricole locali in paesi molto lontani, ci può raccontare questa sua esperienza?

L’incontro con la realtà di “Navdanya” e la Banca dei semi a Dehradun nel nord dell’India ha avuto un grande significato. Si tratta di un’iniziativa di un valore inestimabile. “Navdanya” significa “nove semi” e trae spunto da un rituale legato ai semi, diffuso tra le famiglie in varie parti dell’India, e per il quale i semi che hanno dato i migliori risultati vanno condivisi e messi a disposizione di tutti. Ispirandosi a questo principio “Navdanya” ha promosso la creazione delle “banche dei semi” per la conservazione della biodiversità, minacciata anche in India dalla diffusione delle coltivazioni industriali, e la fornitura gratuita di semi agli agricoltori con l’impegno di restituire poi la stessa quantità alla “banca” affinché altri agricoltori al momento del bisogno ne possano usufruire. Così in India la grande sfida di “Navdanya” alle multinazionali e alle politiche di sfruttamento intensivo e di distruzione della biodiversità è stata raccolta da oltre 500.00 piccoli contadini e soprattutto da gruppi di donne considerate vere custodi della biodiversità e della sicurezza alimentare. E proprio dall’incontro al “Caffè Navdanya” a Delhi con Vandana Shiva, Wangari Maathai, insieme all’Assessore all’agricoltura della Regione Toscana l’On. Susanna Cenni prese avvio la “Rete  internazionale delle donne per la biodiversità e la sicurezza alimentare”, un’altra esperienza che ha segnato profondamente il mio impegno.

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