Sono stata a Gaza tanti anni fa, quando ancora era possibile entrare in quel già martoriato lembo di terra. In quell’occasione conobbi Majdal, una giovane studentessa di relazioni internazionali. Chiamarsi a Gaza Majdal è l’equivalente di chiamarsi Mohammad in qualsiasi Paese del mondo arabo: se lo pronunci per strada, tutti si voltano. Quando Majdal si presentò e mi disse il suo nome – che avevo già sentito almeno altre quattro volte nella stessa giornata – mi venne spontaneo chiederle: “Ma a Gaza tutte si chiamano Majdal?”.
Mi spiegò così il perché del suo nome e di quanto anche le altre Majdal, probabilmente, avessero una storia simile. Majdal era il nome della città in cui erano nati e vissuti i suoi nonni materni fino al 1948. La piccola cittadina di al-Majdal Asqalan si trovava a un paio di chilometri a nord della Striscia di Gaza. I suoi nonni erano importanti produttori di arance e possedevano vasti appezzamenti di terra che arrivavano fino a Jaffa. Con orgoglio mi spiegò che le arance della sua famiglia erano le più buone, quelle del tipo shammuti, che venivano vendute anche in Europa. Sorridendo mi disse: “Sicuramente i tuoi nonni avranno mangiato le arance che venivano dai campi dei miei nonni”. Io annuii e le confermai che le arance palestinesi sono davvero le migliori al mondo! Si lusingò, Majdal, come nel ricevere un complimento personale, come se la bontà delle arance di oggi fosse ancora merito del lavoro della sua famiglia.
Nel novembre del 1948 i nonni di Majdal in fretta e furia chiusero casa e aranceti, salirono sul loro carretto e cercarono di mettersi al riparo dalla furia dei soldati del neonato Stato ebraico. Così fecero altri abitanti di al-Majdal; coloro che rimasero, vennero caricati dai militari sui camion e scaricati pochi chilometri a sud. Per rendere definitiva l’espulsione furono incendiate le case, così da scongiurare qualsiasi tentativo di ritorno. Gli abitanti di al-Majdal si ritrovarono a Gaza -il posto più vicino in cui rifugiarsi perché sotto protezione dell’Egitto- e da lì non fecero più ritorno. Oggi, ad al-Majdal, non ci sono più palestinesi, vivono tutti rinchiusi dentro la Striscia di Gaza.
La cittadina dei nonni di Majdal fu costruita intorno a un antico porto risalente al periodo cananeo, fu poi abitata da Filistei, Babilonesi e Crociati. Sarebbero stati proprio questi ultimi, nei loro viaggi di ritorno dalla Terra Santa e forse proprio in seguito alla famosa Battaglia di Ascalona, intorno al XII secolo, a portare in Europa quella oblunga cipolla quale souvenir di Asqalan, da cui il nome comune di scalogno.
Oggi, mentre guardavo un banco del mercato ricco e colorato di frutta e verdura, ho pensato ai mercati che avevo visto a Gaza ricchi di fragole, ortaggi e pesce, ai piatti di hommos, maftoul, rummanyia che avevo assaggiato, al piacere di condividere il cibo e far festa. Quel cibo è oggi diventato un’arma di guerra e sterminio. Ho ripensato al villaggio di Asqalan e sono tornata a casa con un mazzo di scalogni.
Pensando a cosa poter cucinare con tutti quegli scalogni, mi è tornata in mente la storia dei nonni di Majdal e ho pensato che la vita a Gaza andrebbe ribaltata, capovolta, come una tarte tatin.
Nel sapore di questa ricetta si ritrovano la dolcezza dello scalogno partito dalle coste di al-Majdal Asqalan e il profumo delle arance dei nonni di Majdal.
Per loro, e per tutte le esistenze da ribaltare, per quella cucina palestinese, oggi, “sospesa” è questa Gaza tarte tatin.
Silvia Chiarantini è una foodwriter appassionata di storia e cultura del Medio Oriente. È autrice di “Parkour. La mia cucina, sconfinata e in movimento” e, insieme a Fidaa I A Abuhamdiya di “Pop Palestine. Viaggio nella cucina popolare palestinese”. Scrive storie di cucina sul blog www.popcuisine.it e su Instagram @popcuisine.it.