di Federico Faloppa (tratto dal testo del podcast di COSPE Jojoba sul razzismo)
Le razze non esistono. Ce lo dice la scienza. E anche il concetto di razza è abbondantemente superato. La stessa scienza che in passato aveva teorizzato le razze umane – come ci spiega Guido Barbujani, genetista- grazie proprio alla genetica ha dimostrato che il concetto di razza non è sostenibile. Non è sostenibile il concetto di razza geneticamente, biologicamente, anche da un punto di vista delle neuroscienze. E quindi questo concetto – razza, razze al plurale – viene in qualche modo fatto uscire dalla porta principale del dibattito scientifico e accademico. Questo però non significa che il razzismo sia scomparso, anzi. Intanto il concetto sopravvive molto nella mente delle persone e lo vediamo nel dibattito politico e pubblico, anche se non articolato intorno alla parola razza, ma magari a concetti e parole come etnia, cultura, identità, parole iconiche, parole feticcio, che segmentano la natura umana in categorie discrete e che hanno sostituito la parola e il concetto di razza, proprio perché questa non era più sostenibile.
Il rapporto tra razza e razzismo – scrive Marco Aime in un libro, a cui ho partecipato anche io, contro il razzismo, pubblicato nel 2016 – non è lo stesso rapporto che abbiamo con materia e materialismo o idee e idealismo. In questi casi, scrive Marco Aime, tendiamo a pensare ai primi termini come radici e ai secondi come i derivati. Nel caso del razzismo il rapporto si inverte: è il razzismo la causa scatenante che spinge a teorizzare o più semplicemente concepire la razza. La razza non è quindi la causa del razzismo, ma il suo pretesto, il suo alibi ed è per questo che oggi il razzismo esiste, anche in assenza di razza da un punto di vista scientifico e accademico.
E infatti non credo che basti togliere la parola “razza”, ad esempio dalla Costituzione o dai testi giuridici, per eliminare il razzismo. Capisco però perché antropologi e antropologhe facciano una battaglia in questo senso, tuttavia, non credo che questo basti e anzi penso possa anche essere una lama a doppio taglio. Quell’articolo della Costituzione fu scritto proprio per rispondere al razzismo reale, che aveva creato milioni di morti, l’olocausto, e io credo che quel concetto di razza, in quell’articolo della Costituzione, storicamente contestualizzato, debba rimanere, proprio per raccontarci che il 900 ha fatto della razza un feticcio, un monolite, un totem e del razzismo una delle sue più grandi tragedie. Che fare dunque oggi per combattere il razzismo? Bisogna aprire gli spazi, mettersi in discussione e partire dal concetto di razzializzazione, di persone razzializzate. Come avviene la razzializzazione? Quando? Sono domande importanti, che in qualche modo fanno avanzare il dibattito sul razzismo e anche l’azione di contrasto al razzismo, ma che ci obbligano ad aggiornare metodi, approcci, contenuti e soprattutto coinvolgere nel dibattito, nella decostruzione di un discorso razzista anche e soprattutto le persone cosiddette razzializzate. Spesso l’antirazzismo, non solo in Italia, ha parlato in vece di qualcun altro, non capendo fino in fondo le dinamiche del razzismo, non spiegando fino in fondo quali fossero gli stilemi che nel discorso antirazzista purtroppo riproducevano anche alcune categorie razziste, razzializzanti. Ecco, oggi ci vuole un modo diverso di combattere il razzismo, di fare massa critica ma anche di fare movimento collettivo intorno a questo tema. Non soltanto le persone razzializzate devono fare parte di questo dibattito, ma devono in qualche modo condurlo. Non devono avere uno spazio come se fossero in una teca di un museo: “Ecco le persone razzializzate, vedete quanto siamo bravi? Le abbiamo coinvolte”. Devono essere il motore. Perché per prime loro hanno subito il razzismo, perché per prime loro si sono confrontate con il privilegio anche dei movimenti antirazzisti (il privilegio bianco, ad esempio). Bisogna avere una moltitudine di voci, una molteplicità di punti di vista, bisogna accogliere i discorsi anche provocatori, anche in qualche modo potenti da un punto di vista della posizione politica, nuovi, di rottura delle persone razzializzate; che ci raccontano un presente ma che ci disegnano anche un futuro diverso.