di Pamela Cioni
“Le azioni illegali a volte sono legittime. Si può non essere d’accordo con alcune di esse, ma riconoscerne la legittimità è fondamentale”. Le parole di Michel Forst, relatore speciale Onu sui difensori ambientali, si trovano sul sito di “Ultima Generazione”, gruppo di attivisti e di attiviste che in Italia si è fatto conoscere recentemente ma che fa parte della grande galassia che compone l’attuale movimento ambientalista internazionale che va dai “Fridays for Future” a “Extinction Rebellion” e che ha anche un coordinamento, l’A22. Cambiano i metodi e gli approcci ma le richieste sono le stesse: è ora di invertire la rotta sulla lotta ai cambiamenti climatici. È ora di prendere provvedimenti per cambiare davvero le cose, è ora di cambiare le politiche energetiche e la destinazione degli investimenti pubblici dai combustibili fossili alle energie rinnovabili. Perché la transizione ecologica o è adesso o non è più. Il futuro è il collasso: del nostro sistema, del nostro pianeta, della nostra vita. La reazione istituzionale è una forte repressione nei confronti del movimento (arresti, fogli di via etc…) e anche una certa ostilità dell’opinione pubblica che però, non può certo ignorare le iniziative messe in campo da Ug.
Abbiamo parlato di tutto questo con la giovane attivista Chloe Bertini, ballerina laureata in neuroscienze, reduce da alcune delle azioni del gruppo, tra cui il blocco del raccordo anulare di Roma lo scorso 17 maggio.
Cominciamo dal nome “Ultima generazione”: rimanda a qualcosa di ineluttabile ma cosa significa davvero?
Per noi ultima generazione ha un senso di monito ma anche di speranza: siamo l’ultima generazione di questo vecchio mondo che sacrifica la vita per il profitto ma anche quella che può ancora fare qualcosa per lasciare a chi verrà dopo di noi un mondo ancora vivibile. E per generazione non intendiamo soltanto i giovani ma tutti gli esseri viventi che in questo momento abitano il pianeta. Tutti noi, ora, possiamo ancora fermare questo treno in corsa verso l’autodistruzione. Crediamo anche che noi potremo essere la prima generazione di un nuovo mondo da costruire. Se ci stendiamo sul raccordo anulare è perché ci teniamo ad avere una società degna di questo nome.
Come ti sei avvicinata a questo gruppo?
È stato un processo. Avevo altri programmi ma ero già impegnata con le “Red Rebels” di Extinction Rebellion, un gruppo teatrale che usa le emozioni per parlare di questi temi. Poi ho visto un paio di presentazioni di Ug e ho capito che per mia coerenza questa era la strada che dovevo seguire, metterci il mio lavoro, il mio tempo, il mio corpo. Sono una ballerina ed ero affascinata dall’uso che proprio del corpo si fa nelle manifestazioni di protesta di questi gruppi.
Raccontaci meglio dell’utilizzo del corpo, che è centrale nelle vostre azioni…
Il corpo è qualcosa di molto democratico, è qualcosa che abbiamo tutti e che tutti possiamo usare. Il corpo denudato, usato come blocco o dipinto, mette in gioco la fragilità e rende più tangibili le battaglie. Vuol dire essere vulnerabili ed essere pronti a ricevere insulti e violenze fisiche. Tutti i più grandi cambiamenti sociali sono nati da azioni forti e dalla messa in rilievo della violenza di un sistema attraverso la vulnerabilità.
Come si finanzia Ultima Generazione, chi paga multe, spese legali etc…?
Ognuno di noi ha la responsabilità delle multe che prende, mentre cerchiamo di sostenere le spese legali con le donazioni dei sostenitori. La base economica ci arriva da grant finanziati dal “Climate Emergency Fund“ anche se stiamo cercando di svincolarci da questa unica fonte di ingressi.
L’utilizzo del corpo, il presidio di luoghi “sensibili” come luoghi culturali (Palazzo Vecchio a Firenze, la fontana di Trevi a Roma etc…) o cruciali come il raccordo anulare. Qual è la vostra strategia e perché questi gesti che voi dite “possono apparire estremi, ma non lo sono”.
Cosa ci può essere di più estremo di quello che ci sta accadendo intorno? Di quello che è accaduto in Emilia Romagna, delle inondazioni e delle siccità che stanno già attanagliando mezzo mondo e che causano migrazioni e spostamenti forzati? Come può essere considerato estremo sedersi per strada mentre con i soldi pubblici si finanziano i combustibili fossili? Stiamo parlando di 41,8 miliardi di euro solo nel 2022. Questo sì è un crimine. La nostra è coerenza: agiamo in linea con la gravità dell’emergenza. Le nostre azioni vogliono essere un modo di provocare una reazione vera, di alzare il conflitto, un modo di richiamare alle loro responsabilità la politica, il Governo italiano e le istituzioni internazionali. Sappiamo che non possiamo avere il consenso di tutti e non lo cerchiamo. Andiamo a piccoli passi. Del resto non abbiamo inventato niente, la disobbedienza civile e la non violenza hanno una lunga storia da Ghandi a Martin Luther King alle Suffragette. Quando parliamo di questi momenti storici tendiamo a raccontare il risultato omettendo che anche Luther King è stato arrestato per azioni dirompenti e che le Suffragette prima di ottenere il voto venivano prese per pazze. I grandi cambiamenti sono venuti da gesti estremi. Molti pensano che invece sia fondamentale piacere alla massa.
Cos’è che blocca l’azione della “massa”?
Oggi purtroppo stiamo vivendo un negazionismo leggero in gran parte della popolazione: so che c’è un problema ma in fondo non mi riguarda, ci stanno già pensando altri, la mia vita è sempre la stessa perché dovrei preoccuparmi? Non è così. Si continuano a ignorare dati scientifici ed evidenze concrete, si continua a spostare il problema o a negarlo. È quello che possiamo definire una dissonanza cognitiva applicata al problema dei cambiamenti climatici.
Cosa si intende con questa espressione?
La dissonanza cognitiva è un meccanismo psicologico che applichiamo in molte situazioni della nostra vita, è un modo di rendere logico qualcosa che stride. Con i cambiamenti climatici dobbiamo tenere insieme da un lato i dati scientifici e dall’altra la nostra vita quotidiana: so che c’è una catastrofe là fuori, ma io mi alzo, mi lavo, vado a fare la spesa, prendo l’auto… Il pensiero della catastrofe non è coerente con la parte prevalente della mia vita ed è la parte più facile da negare. Eppure continuando su questa strada verrà un giorno in cui non ci sarà più acqua o più cibo per tutti e i beni saranno razionati. In alcuni paesi sta già accadendo.
Si parla molto di eco ansia. Cosa significa?
Si intende un sentimento negativo verso il futuro causato dal non poter controllare la situazione climatica. Ma io non ne soffro, provo invece “eco- dolore”: dolore per quello che accade sotto ogni giorno e che viene minimizzato, dolore per le persone già vittime di questo sistema. Dolore e lutto per quello che stiamo perdendo.
È questo dolore che ti spinge a militare?
No, il dolore serve per mettere le cose nella giusta prospettiva, ma quello che mi muove sono la rabbia, sentimento sottovalutato, e la speranza. È grazie a queste due emozioni che scelgo ancora di scendere in strada.
Ultima Generazione ha promosso la campagna contro il finanziamento dei sussidi per i combustibili fossili. Maggiori informazioni su: www.ultima-generazione.com