TROPPA CARNE A BUON MERCATO: Il Vero Prezzo del Nostro Cibo

di ALESSANDRA MACINA

“Io mangio il giusto” è riflettere sull’origine di quello che mettiamo nel piatto. Essere informati e chiedere alle istituzioni massima trasparenza. In modo da poter scegliere, con tutti gli elementi in mano, cosa e quanto vogliamo veramente acquistare. Cosa sappiamo veramente dell’origine della carne che vediamo ovunque intorno a noi? In realtà molto poco. Eppure è così a portata di mano. È acquistabile 24 ore su 24, con un click sulle app del nostro cellulare, la possiamo mangiare tutti i giorni della settimana volendo. Anche perché è a buon mercato. Quello che i nostri nonni ci raccontavano essere un bene di lusso, delle occasioni di festa, per noi oggi è la normalità. La diamo per scontata, perché siamo invasi da una quantità di carne apparentemente infinita, carni in offerta, menù in offerta. Ma se il prezzo della carne è quello che vediamo stampato sulla confezione, non conosciamo mai il suo vero costo, quello non compreso nel prezzo: parliamo di costi sociali, sanitari, ambientali. Ma pensate che se l’industria della carne fosse obbligata a coprire tutti i costi reali – invece di scaricarli sui contribuenti, sugli animali e sull’ambiente – un hamburger da 4 dollari arriverebbe a costarne anche 11. Siamo portati a consumare tanta carne, troppa, più del necessario senza dubbio, senza farci troppe domande. E senza avere delle risposte. Non sappiamo per esempio che più di metà della carne sul mercato italiano, è estera. Non sappiamo che il nostro Paese è il primo importatore europeo di carne bovina dal Brasile. Non sappiamo di preciso dove va a finire, e cosa ci facciamo.

Una prima risposta è la filiera Horeca, hotel ristoranti e catering. E poi abbiamo una delle industrie di trasformazione alimentare più importanti del mondo. Nei cosiddetti “preparati” di carne non c’è l’obbligo di indicare in etichetta l’origine della materia prima. Ed è un mondo sempre più vasto, fatto non solo dei prodotti industriali a base di carne come sughi, ragù, brodi, paste ripiene, carni in scatola, surgelate. Anche la carne fresca – quella di cui è obbligatorio indicare non solo l’origine ma anche dove è stata allevata e macellata – può diventare molto facilmente un preparato di carne quindi senza obbligo di indicazione di origine. Basta aggiungere una spezia, un ingrediente, un rametto di alloro, il filo che lega l’arrosto. L’associazione europea dei consumatori da anni a Bruxelles si batte per una legislazione più trasparente, dove si indichi l’origine della carne tutte le volte che ce ne sia almeno l’8 per cento. Costa meno, la materia prima dal Brasile. E ce n’è tanta. Me lo hanno detto chiaramente anche i produttori di un noto prodotto made in Italy la cui buona parte – a marchio IGP – è fatta con carne di zebù proveniente dal Sud America, Brasile in primis. Viaggia congelata su navi container per un mese per arrivare nei nostri porti. Possiamo essere sicuri che la carne importata dal Brasile non arrivi da pascoli illegali che hanno contribuito alla deforestazione dell’Amazzonia? Chi ci garantisce che quello che abbiamo nel piatto non arrivi da terreni disboscati illegalmente o, seppur legalmente, abbia comunque contribuito alla distruzione della foresta amazzonica? Attenzione, non parliamo solo di carne, anche di mais, soia. Un mare di soia. Chilometri quadrati di piantagioni a monocoltura di soia a perdita d’occhio che hanno preso il posto di quello scrigno di biodiversità che era l’Amazzonia. Soia per alimentare gli animali degli allevamenti intensivi di tutto il mondo, Italia compresa. I grandi proprietari terrieri e gli imprenditori che lavorano all’estrazione delle materie prime rappresentano l’uno per cento della popolazione brasiliana ma concentrano nelle loro mani il 47 per cento di tutta la superficie coltivata nel Paese. Sono così potenti da esprimere un folto numero di parlamentari e, a prescindere dal partito in cui militano, sono una delle lobby più potenti in Brasile: la Bancada ruralista. Con Bolsonaro ha prosperato, mentre i difensori dell’Amazzonia sono stati attaccati e uccisi in gran numero. Più di 200 attivisti sono morti nel 2021 nel mondo, quattro alla settimana. È solo la punta di un iceberg. Noi cosa possiamo fare? Chiedere informazione innanzitutto. E pensare ai nostri consumi, cambiarli, come ci suggerisce il manifesto di COSPE: mangiarne meno, più a km zero, da filiere garantite e controllate, abusando meno di alimenti trasformati e confezionati. Alla fine la spesa complessiva non sarà più alta, non facciamo male al nostro portafoglio e nemmeno al Pianeta. L’unico che abbiamo. 

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