Rifkin: “la rivoluzione green conviene”

La visione sul futuro del pianeta di uno dei più illustri teorici dell’economia

Jeremy Rifkin, economista, saggista e attivista, è da tempo un punto di riferimento per il movimento ambientalista e pacifista mondiale. Con il suo ultimo libro “Un Green New Deal globale” entra nel vivo dell’attuale dibattito sul clima. Per approfondire le sue posizioni abbiamo intervistato Angelo Consoli, direttore dell’ufficio Europeo di Jeremy Rifkin e portavoce dell’autore in Italia. Consoli è anche autore di pubblicazioni di riferimento per il mondo dell’ambientalismo europeo come “Territorio zero” (2013), “L’Italia non spenga il sole” (2016) e “European psycho” (2019).

 

Nel suo ultimo libro “Un Green New Deal globale” Jeremy Rifkin si dichiara ottimista ritenendo la terza rivoluzione industriale inevitabile. Ma, alla luce del recente fallimento della Cop25, si sente di confermare che la transizione all’era post-carbonio avverrà in tempo per evitare il cambiamento climatico? Pensa che a Glasgow, a novembre 2020, assisteremo a un significativo passo avanti? 

Il cambiamento climatico è già in atto e niente potrà evitarlo. Quello che Rifkin ci dice è che possiamo ancora tentare di evitare le sue conseguenze più catastrofiche che potrebbero arrivare all’estinzione della razza umana. Per fortuna l’energia fossile, da sempre anti ecologica, oggi è diventata anche anti economica perché molto più costosa per quantità prodotta di quella rinnovabile. Quindi gli investitori se la stanno dando a gambe levate dalle energie fossili e cercano nuove opportunità di investimento che il Green New Deal può offrire loro. Questa è la ragione per cui Rifkin si sente di essere ottimista per il futuro: è il mercato che sta parlando. Non credo che la conferenza di Glasgow possa produrre risultati migliori di quella di Madrid. La verità è che i governi, che poi sono i principali responsabili dei mancati accordi in sede climatica, probabilmente condizionati dalle lobby fossili e vetero industriali, non si rendono conto che la posta in gioco è la sopravvivenza della razza umana entro i prossimi 100 anni. Forse è venuto il momento di ripensare il processo decisionale in sede Onu relativamente ai cambiamenti climatici introducendo un quadro di incentivi e disincentivi molto più efficace di quello attuale da decidersi a maggioranza in modo da sottrarsi al ricatto delle lobby che prendono in ostaggio questo o quel governo. 

 

Nel suo libro si rappresentano tre “player” in questa partita per il Green New Deal: l’opinione pubblica, l’economia, i governi e la politica. Può uno solo di questi riuscire a bloccare o far trionfare la rivoluzione oppure è necessario il concorso dei tre insieme? Più in particolare, l’opinione pubblica è pronta a cambiare il proprio stile di vita e affrontare problemi economici per realizzare la rivoluzione verde o si rischia il ripetersi di situazioni alla francese? 

Quello che è successo in Francia è il tipico esempio di ciò che non si deve fare. La Terza Rivoluzione Industriale va pianificata accuratamente e il disagio delle fasce più deboli della popolazione va prevenuto con la rapida accelerazione verso modelli economici ad alta intensità occupazionale. La transizione energetica non deve solo combattere il cambiamento climatico ma anche redistribuire la ricchezza che nella seconda rivoluzione industriale, quella del petrolio, si è concentrata nelle mani di pochissimi e potentissimi gruppi finanziari in grado di fornire i mezzi economici necessari allo sfruttamento dei fossili, operazione ad altissima intensità di capitali. Nel suo libro Rifkin ricorda che la carbon tax e l’eliminazione di tutti i sussidi alle fonti fossili (valutati globalmente in eccesso di 700 miliardi di euro annui) devono servire a liberare risorse economiche per aiutare le comunità più svantaggiate, cosa che infatti è già in corso di programmazione con la previsione del Just Transition Fund da parte dell’Unione Europea. Le organizzazioni della società civile devono essere coinvolte in questo processo, mentre le aziende già lo sono perché loro mirano a fare economia e le rinnovabili sono, come ripeto, già oggi competitive. Così il Green New Deal diventerà presto una realtà in tutti i paesi che sapranno approfittare della situazione e pianificarlo in modo completo e interconnesso, creando migliaia di posti di lavoro e aiutando le classi più povere a uscire dall’indigenza, come dimostrano le esperienze virtuose dei nostri Master Plan in Nord Europa.

 

È vero che la Generazione Z e i Millennials sono sensibili al problema dell’emergenza climatica, ma sostanzialmente il modo di consumare di gran parte della popolazione mondiale è ancora legato a un vecchio stile di vita. Quanto vale l’“effetto Greta” appena nominata da “Time Magazine” personaggio dell’anno? 

Quella di Greta è una rivolta planetaria globale senza precedenti nella storia umana. Questa sarà la generazione del cambiamento che Rifkin auspica fin dal suo primo libro “Entropia”. Ma perché le cose vadano alla velocità richiesta dalla crisi climatica è importante che tutti i giovani che oggi protestano riescano a trasformare la loro protesta in proposta, assumendo anche responsabilità dirette nell’amministrazione della cosa pubblica e nella pianificazione dell’economia.

 

Il Green New Deal proposto da Ursula von der Leyen e Timmermans è praticabile? Le cifre indicate sono adeguate? Le piace la proposta del “patto climatico” che prevede lo stanziamento di 100 mld tra 2021 e 2027 per mitigare gli effetti della decarbonizzazione sulle popolazioni più colpite? E si riusciranno a superare le solite fratture tra i Paesi carboniferi (Est Europa) e quelli più avanzati? 

È ovvio che servano molti più soldi. In linea di principio tutti i 750 miliardi di euro annui spesi in Europa in infrastrutture fossili dovrebbero convertirsi rapidamente in investimenti green. Bisogna ricordare che la rivoluzione dell’energia verde ormai è tecnologicamente possibile e politicamente desiderabile. Certo bisogna tenere la barra dritta ed evitare che tutto diventi “green”, dal nucleare al carbone “pulito”… Qui l’Europa potrà beneficiare dalla visione sistemica del Green New Deal espressa da Rifkin con il suo libro. Sta ai poteri pubblici pianificare il Green New Deal a tutti i livelli, da quello europeo a quello comunale, restituendo protagonismo e sovranità alle comunità locali, ai cittadini e ai consumatori, che ne sono stati espropriati dal modello economico fossile imperante da 200 anni. Non per niente Rifkin parla di “Power to the people”.

 

Veniamo agli Stati Uniti, che Rifkin descrive più indietro di Cina e Ue nella rivoluzione verde. Il prossimo presidente degli Stati Uniti, infatti, dovrà ratificare l’uscita degli accordi di Parigi deciso da Trump. Ritiene che Trump verrà rieletto, con conseguenze catastrofiche non solo per gli Usa ma per tutto il pianeta? 

Rifkin ricorda sempre che il presidente degli Stati Uniti ha poteri molto limitati perché la maggior parte delle decisioni per l’infrastruttura industriale e energetica sono nelle mani degli Stati che fortunatamente dimostrano molta più visione di Trump. L’eventuale, ma non probabile, rielezione di Trump in questo senso potrebbe ritardare ancora di più la lotta al cambiamento climatico, ma alla fine sono convinto che Europa e Cina faranno le scelte giuste se non per un auspicabile conversione ecologica, almeno per ragioni puramente economiche. Perché continuare a investire in tecnologie fossili che creano inquinamento e impatto climatico quando quelle pulite di fonte solare sono anche meno costose?

Intervista a Angelo Consoli di Roberto di Meo

 

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