Mare nostrum ad alto impatto climatico

L’area del Mediterraneo è tra le più vulnerabili alle variazioni climatiche.

Il clima del pianeta sta cambiando a velocità crescente. La temperatura della Terra è cresciuta quasi ovunque, sia nei valori medi sia in quelli estremi. In un contesto globale del genere il bacino del Mediterraneo è definito un “hot-spot” perché manifesta segnali di cambiamento climatico anche maggiore della media globale. Per ostacolare gli effetti negativi degli impatti del cambiamento climatico è urgente iniziare a proporre politiche di adattamento.   

 

Il Mediterraneo 

Le modifiche del clima sono particolarmente evidenti nella regione del Mediterraneo, zona di confine climatica, geografica, socio-politica ed economica, tra le medie latitudini e le aree sub-tropicali. Uno degli aspetti più interessanti e che si deduce dagli scenari climatici prodotti dai “centri di modellazione climatica” globale ed europea, è l’evidenza di uno spostamento, indotto dal riscaldamento climatico, di qualche centinaio di chilometri verso nord della linea di confine climatico. 

L’area mediterranea è molto vulnerabile alle oscillazioni di questa linea: è sufficiente che essa si sposti di qualche centinaia di chilometri verso nord per produrre modifiche sostanziali alle condizioni climatiche che non si caratterizza più per l’alternanza tra periodi secchi e molto caldi e periodi normali e più piovosi, ma bensì per una persistente permanenza di periodi caldi e siccitosi. 

Questo si riflette anche sulle condizioni del nostro paese, che è immerso nel Mediterraneo, dove potremo avere, e sempre di più, un Sud Italia con un clima simile a quello del Nord Africa. Questa tendenza del clima è visibile anche negli scenari futuri prodotti dai diversi modelli climatici, tutti o quasi concordi nel “segno” del cambiamento. In ogni scenario è infatti evidente un generale aumento delle temperature e una diminuzione delle piogge invernali. I diversi scenari di emissione di gas climalteranti che fungono da forzanti per le simulazioni modellistiche mostrano più elevata è la CO2, maggiori sono, nelle proiezioni future, il riscaldamento e la diminuzione delle precipitazioni. Oltre al generale aumento della temperatura osservato nell’area mediterranea, accentuato rispetto a quanto si rileva in altre aree del pianeta, si sono verificati con più frequenza periodi prolungato di anomalia termica positiva con temperature record, come ad esempio l’estate calda del 2015, seconda solo all’eccezionale ondata di calore del 2003, e anche a quella del recente 2017 che ha visto in diversi punti del territorio nazionale il superamento, continuato per diversi giorni, di 40 gradi centigradi di temperatura massima giornaliera, durante il periodo estivo. 

I prolungati periodi di caldo anomalo sono poi quasi sempre associati ad altrettanto prolungati periodi di siccità, come appunto accaduto anche nel recente 2017, con impatti significativi su  agricoltura, industria, il turismo o addirittura i servizi di distribuzione di acqua potabile, a causa della carenza idrica. Parallelamente al notevole aumento di temperatura e ad una diminuzione delle precipitazioni, aumentano frequenza, intensità, estensione spaziale e tempistica degli eventi estremi, come mai si è osservato sul globo terrestre. 

 

Gli impatti dei cambiamenti climatici 

Più eventi estremi in aree fortemente vulnerabili e antropizzate producono un aumento del rischio e quindi un aumento dei danni alle infrastrutture, all’ambiente, per non parlare delle molte vittime che tali eventi purtroppo causano. Un solo esempio su tutti: l’alluvione di Genova nell’ottobre del 2014, durante la quale piovvero più di 500mm di acqua in poche ore, tipici delle aree tropicali del pianeta. La lista delle alluvioni in Italia negli ultimi anni è allarmante e purtroppo destinata a crescere rapidamente in futuro. In sostanza, se analizziamo gli impatti indotti dalle modifiche climatiche, e in particolare anche sulla società e l’economia, possiamo concludere che nell’area del Mediterraneo c’è da attendersi sempre una maggiore pressione sulle risorse naturali, e quindi un conseguente impatto su tutti i settori delle attività umane e gli ecosistemi. La biodiversità sarà profondamente alterata, ma anche la gestione delle risorse idriche con conseguente ricadute sulla produzione agricola, sulla produzione di energia, sulla salute, turismo, trasporti etc… 

Ovviamente, col cambiamento climatico si aggravano le condizioni di rischio idrogeologico. L’Europa ha già provveduto a porre l’accento su questo problema emanando la Direttiva 2007/60 (Direttiva Alluvioni) che impone agli stati membri di rivalutare e ri-perimetrare le condizioni di rischio idrogeologico-idraulico, tenendo conto in maniera esplicita dei cambiamenti climatici. Queste valutazioni potranno permettere di pianificare e realizzare in maniera più corretta le opere di difesa idraulica e in genere di difesa del territorio, in modo da minimizzare le condizioni di rischio. Anche la gestione del rischio idrogeologico residuo, che si attua attraverso i sistemi di allerta e l’attuazione dei piani di protezione civile, dovrà molto probabilmente essere rivista, alla luce anche delle modifiche del clima e, parallelamente, dell’incessante crescita della vulnerabilità dei territori, causata da un’antropizzazione troppo spesso incontrollata. 

 

Allargando lo sguardo anche agli impatti sugli ecosistemi, certamente le aree protette sono già sotto pressione a causa dei cambiamenti climatici e di altri fattori di disturbo. Come già accennato, gli impatti osservati dei cambiamenti climatici sono una minaccia reale per la biodiversità vegetale e animale, ma anche per la pesca, l’agricoltura e la salute umana. 

In risposta ai cambiamenti climatici, molte specie animali e vegetali terrestri stanno già modificando il ciclo di vita, ad esempio con lo spostamento verso nord o ad altitudini più elevate per compensare l’aumento di temperatura. Sono state osservate zone, anche in area Mediterranea, in cui è avvenuta una vera e propria estinzione di specie locali e l’arrivo di nuove specie esotiche che le hanno colonizzate o hanno ampliato il loro raggio di azione. Sul fronte sanitario, l’aumento dell’intensità e della frequenza delle ondate di calore ha già presentato i suoi effetti sulla salute umana, in particolare nelle città. Le ondate di calore stanno anche aumentando il rischio di blackout elettrici e d’incendi boschivi. Il sistema dei trasporti e il turismo sono stati colpiti dai cambiamenti climatici, con grandi differenze da regione a regione dell’Europa.

 

Conclusioni 

Il clima del pianeta e anche nell’area del Mediterraneo è certamente destinato a mutare in maniera considerevole nel futuro. Sono da attendersi estati più calde e secche, autunni più umidi e un numero maggiore di eventi estremi. Per contrastare gli effetti sarà necessario, da parte delle comunità, mettere in atto una serie di ambiziose misure e politiche di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra in atmosfera, così come concordato con l’Accordo di Parigi, che prevedeva di contenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto di 2 °C rispetto ai livelli pre-industriali. Il cambiamento climatico interessa tutte le regioni in Europa, ma gli effetti non sono omogenei. L’Europa sud-orientale e l’area del Mediterraneo sono, in Europa, le regioni certamente più calde e sensibili al riscaldamento anche in futuro, sia nei valori medi che negli estremi. I costi economici che il continente europeo, e quindi anche l’area del Mediterraneo, dovrà sopportare dipenderanno dall’entità e dalla velocità con cui si mostrerà il cambiamento climatico. Questi costi potranno essere realmente molto elevati, anche con modesti livelli di cambiamento climatico, ma potrebbero aumentare in modo significativo se si dovessero concretizzare gli scenari peggiori del riscaldamento, in assenza di azioni concrete di riduzione delle emissioni (mitigazioni) e contemporaneamente di adattamento da parte delle nazioni.

 

di Carlo Cacciamani e Elisa Palazzi

 

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