L’attivismo contro l’ansia del futuro

Intervista a Zoe Tartaro di Aura Fico

Tra il maggio 2023 e il giugno 2024 la Terra ha vissuto 12 mesi consecutivi di caldo anomalo, come documentato da Copernicus, il programma di osservazione Europeo che tiene d’occhio il pianeta e i suoi cambiamenti. L’aumento delle temperature causato dal cambiamento climatico ha coinvolto tutti e tutte e si fa sentire, anche da chi grida all’allarmismo delle nuove generazioni.

I giovani, spesso additati come poco resilienti, sono tra i più preoccupati per le conseguenze del cambiamento climatico che si aggiunge ad altre tematiche, come la disparità di genere e le disuguaglianze, in un’ottica in cui tutto è collegato e tutto è da cambiare. La mobilitazione dei giovani è fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi dell’agenda 2030 e la partecipazione a movimenti civici tesi al cambiamento, cresce sempre di più. Abbiamo parlato con Zoe Tartaro, esponente del movimento Fridays For Future e giovane attivista ambientale.

Si dice che i giovani di oggi siano “dipendenti” dall’immediatezza. Quando si parla di cambiamento climatico, i tempi per vedere il risultato delle proprie azioni sono solitamente lunghi. Pensi che questa regola dell’immediatezza si applichi anche all’attivismo ambientale?

In questo caso direi di no.

Parafrasando Ferdinando Cotugno nel suo libro Primavera ambientale: l’ultima rivoluzione per salvare la Terra, la crisi climatica porta con sé un senso di urgenza, l’ansia del tempo che si esaurisce, niente può essere più percepito come “cronico”, che è sempre stato e sempre sarà. Il riscaldamento globale impone un futuro scandito dalle solite tre scadenze precise: 2030, 2050, 2100. Premettendo che la dipendenza dall’immediatezza che si dice sia caratteristica solo delle nuove generazioni permea anche le generazioni più adulte, perché in piazza a manifestare non vedo tanta gente maggiore di trent’anni. Il target del nostro attivismo è la classe politica e la cittadinanza, e tenendo in considerazione quanto detto prima rispetto alle dead line imposte dalla crisi climatica, i tempi sono piuttosto brevi. In generale un calo di partecipazione numerica è fisiologico e normale in tutti i movimenti e attivismi, nel caso di Fridays For Future è stato esacerbato dalla pandemia.

I media tradizionali non dedicano attenzione ai movimenti come FFF, o più in generale all’attivismo ambientale. Perché, secondo te?

Capitalismo dell’attenzione. È più importante rincorrere l’interazione sui social, il sensazionalismo mediatico e la notizia che porta attenzione alla testata giornalistica piuttosto che la qualità del contenuto. Dopo un anno, l’attivismo ambientale non andava più “di moda” per i media tradizionali, non siamo più notizia fresca.

Non siamo più i ragazzi del “non c’è un pianeta B” o del “gli iceberg si stanno sciogliendo”, la qualità della critica ha raggiunto livelli superiori di complessità, è diventata più tagliente, e dunque più fastidiosa. Critichiamo la complicità dell’Italia e dell’occidente nel genocidio in Palestina, nella fornitura di armi belliche nei conflitti, parliamo dell’ipocrisia dei nostri governi quando partecipano alle COP ma poi la cooperazione internazionale nella quale investono maggiormente è quella bellica. Parliamo di economia, di reindustrializzazione, di transizione ecologica. Non facile da riassumere in un titolo e due righe o da semplificare in un post social.

I dati riportano che nei giovani tra i 10 e i 19 anni almeno 1 su 7 soffre di disturbi mentali, aggravati dalla pandemia e dal cambiamento climatico. Può l’attivismo aiutare a rispondere a queste domande?

Sarebbe molto pretenzioso da parte mia rispondere a questa domanda senza mettere prima in chiaro che di certezze per rispondere non ne ho. Credo, tuttavia, che l’attivismo possa essere uno strumento potente per costruire resilienza, creare connessioni significative e trovare un senso di speranza e scopo. L’attivismo permette di trasformare, ad esempio, l’ansia in azione costruttiva. Il senso di appartenenza e l’opportunità di agire possono ridurre sentimenti di impotenza che spesso accompagnano i disturbi mentali. Attivarsi e frequentare persone con gli stessi valori può portare alla creazione di reti di supporto sociale che aiutano a sentirsi meno soli e più compresi. Inoltre l’attivismo aiuta a sviluppare soft skills come la leadership e il teamwork nei momenti di progettazione ed attuazione del programma della giornata di sciopero globale, il dialogo con persone fuori e dentro la propria bolla. Nel mio caso, ho migliorato la capacità di parlare di fronte ad un pubblico, a mantenere i nervi saldi in momenti di tensione, e temprare la pazienza. Queste competenze non solo sono utili nella lotta, ma possono anche migliorare l’autostima e la fiducia in sé stessi.

La sostenibilità è un tema cardine dell’attivismo ambientale. Come si può rendere l’attivismo stesso più sostenibile?

Questa è una buona domanda. Mi fa tornare in mente ciò che mi ha raccontato Alice Franchi, attivista di Fridays For Future Pistoia e del suo viaggio-reportage in centro America “Diritto a Resistere” per raccontare le storie di lotta di donne indigene contro le ingiustizie ambientali. Alice mi diceva che l’ha colpita come la pausa sia considerata (dalle donne indigene e le persone che ha intervistato) parte integrante dell’attivismo stesso, altrettanto importante quanto i momenti di resistenza e lotta attiva. E ha colpito anche me. Probabilmente la nostra sorpresa è dovuta al fatto di essere abituate ad orizzonti diversi. Forse siamo abituati a concepire l’attivismo come una lunga campagna, dove è essenziale martellare sempre e tanto, prendere lo spazio mediatico, trottare e sudare. Invece la resistenza indigena è fat- ta per continuare nei decenni; è calibrata su un orizzonte di lungo periodo; pertanto, necessita di pause regolari e di coordinarsi anche in queste. Per rendere l’attivismo più sostenibile è importante dare spazio a momenti e attività rigenerative, sia personali che di gruppo, e considerarli come funzionali al benessere proprio e dell’attivismo stesso. È importante adottare una mentalità calibrata sul successo di gruppo e non su dinamiche personali. Ascoltare l’altro e tenere a mente che il successo dipende dalla buona collaborazione è fondamentale.

Facebook
Twitter
LinkedIn
Pinterest