Dal mare alla terra. Eventi sempre più estremi

di Stefano Liberti

Pianure riarse, fiumi secchi, ghiacciai che fondono in modo inesorabile. E poi: eventi estremi che si ripetono con una frequenza e un’intensità mai vista prima. L’Italia è al centro della crisi climatica: dall’agricoltura all’industria, dal sistema sanitario alla produzione di energia, gli effetti si dispiegano in modo rilevante su tutti i settori, gettando le premesse per una vera e propria tempesta perfetta.

Qualche numero per mostrare la rilevanza del fenomeno: secondo lo European severe weather database (eswd. eu), il database europeo che li monitora, nel 2023 in Italia ci sono stati 3.477 eventi atmosferici estremi. Ossia quasi dieci al giorno. Questo vuol dire che dieci volte al giorno su qualche parte del nostro paese si è abbattuto un vento particolarmente intenso, una grandinata eccezionale, una pioggia torrenziale. Sono tutte micro-crisi che scuotono un paese fragile, il cui territorio non è preparato a questi eventi e le cui infrastrutture non sono state edificate per uno scenario climatico simile. Perché il clima sta cambiando sotto i nostri occhi a una velocità vorticosa: sempre secondo il database Eswd, nel 2003, ossia vent’anni fa, c’erano stati in Italia appena 53 eventi estremi. Il trend di aumento colpisce tutta l’Europa ma in Italia è particolarmente marcato.

Che cosa sta succedendo? Perché questa moltiplicazione di eventi e perché il nostro paese è così colpito?
Lo spiega bene il fisico dell’atmosfera Antonello Pasini: “L’aumento della temperatura del mar Mediterraneo libera maggiore energia nell’atmosfera. Questo surplus di energia non può che scaricarsi violentemente sul territorio: fenomeni che un tempo erano gestibili diventano più devastanti proprio a causa del riscaldamento globale”. Insomma, l’area mediterranea è quello che viene definito dagli studiosi un hotspot dei cambiamenti climatici, una zona dove gli effetti del surriscaldamento globale si vedono in modo più vistoso che altrove.

Il risultato di questa grande quantità di energia che si libera nell’atmosfera sono i cosiddetti “medicane”, crasi un po’ sgraziata tra Mediterranean e Hurricane, ossia uragani mediterranei. Non è un caso che la gran parte degli eventi più catastrofici che hanno colpito l’Italia negli ultimi anni ha avuto origine da questi medicane. È successo nel 2018, con la tempesta Vaia, che ha distrutto i boschi del Veneto, del Trentino e della Lombardia (un milione di alberi rasi al suolo, villaggi interi rimasti isolati per giorni e per fortuna solo tre morti). È successo l’anno dopo, nel novembre 2019, con la grande acqua alta che ha sommerso Venezia, con danni inestimabili per la città d’arte e per gli altri centri della Laguna (e due morti sull’isola di Pellestrina). È successo più recentemente in Emilia Romagna, con la duplice alluvione del maggio 2023 che ha causato 17 morti, migliaia di sfollati e 10 miliardi di euro di danni.

Una cosa accomuna tutti questi eventi: partono tutti dal mare e si riverberano sulla Terra. E così il Mediterraneo, che era il principale fattore di mitigazione del clima alle nostre latitudini è diventato l’elemento che lo rende più instabile e distruttivo. “La capacità termica dei mari e la loro propensione all’assorbimento di CO2 ci ha consentito di limitare i danni prodotti dalle emissioni dei gas serra”, spiega Gianmaria Sannino, direttore del laboratorio di modellistica climatica dell’Enea. In sostanza, dobbiamo ringraziare i mari perché finora hanno incamerato una quantità mostruosa di calore e anidride carbonica impedendo alla temperatura dell’atmosfera di crescere eccessivamente.

Ma oggi i mari e gli oceani ci stanno presentando il conto. E il nostro mare lo sta facendo in modo particolarmente evidente.

“Il Mediterraneo presenta caratteristiche del tutto peculiari: è di fatto un grande lago, compreso tra il deserto del Sahara e il massiccio alpino, che è uno dei più alti del mondo. La sua unicità lo porta a scaldarsi più rapidamente: dal 1856 a oggi, ha registrato un aumento medio di 1,4 gradi, con un incremento particolarmente significativo negli ultimi trent’anni. Si tratta di 0,4 gradi in più rispetto alla media degli oceani”, dice ancora Sannino. Trasformandosi in un mare tropicale, il Mediterraneo scatena uragani di inusitata violenza sulla terraferma. I danni sono ingenti. Coldiretti ha calcolato che negli ultimi dieci anni gli agricoltori italiani hanno subito un mancato introito a causa dei cambiamenti climatici pari a 10 miliardi di euro. E la situazione è destinata a peggiorare.

Secondo un recente rapporto dell’Agenzia europea per l’ambiente, l’area mediterranea è letteralmente nell’occhio del ciclone, non solo perché questi fenomeni meteorologici straordinari stanno diventando ordinari, ma anche perché le nostre latitudini saranno sempre più soggette a prolungate ondate di calore. Il che si tradurrà in un inesorabile spostamento verso nord delle coltivazioni: se l’innalzamento delle temperature potrà avvantaggiare alcune parti dell’Europa del nord -che registreranno maggiori tassi di produttività– in quella meridionale le rese di colture come grano, mais e barbabietola potranno diminuire fino al 50 per cento entro il 2050. Di conseguenza, il rapporto prevede che in Italia – anche in aree produttive importanti, come la pianura padana o le colline del Chianti – il valore dei terreni agricoli potrà diminuire fino all’80 per cento entro il 2100. “L’Italia registra la maggior perdita di valore delle terre agricole, tra i 58 e i 120 miliardi di euro”, si legge nello studio. Insomma, un futuro di campagne abbandonate non è l’orizzonte distopico di qualche romanzo, ma una circostanza da prendere seriamente in considerazione.

C’è tuttavia una buona notizia: le previsioni dell’Agenzia europea per l’ambiente sono delle stime statiche, che mantengono la propria validità solo se non si fa nulla. Se invece si mettono in campo politiche di adattamento dei nostri territori e di mitigazione delle cause dei cambiamenti climatici attraverso una riduzione delle emissioni di gas serra, è possibile diminuire l’impatto di questa crisi nel medio periodo. Il susseguirsi di eventi estremi, con i danni enormi e le vittime che stanno provocando, ci dicono una cosa molto chiara: è sempre più urgente riconoscere la gravità della situazione e agire in modo deciso e tempestivo.

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