Intervista a Luca Mercalli di Pamela Cioni
Abbiamo parlato con il meteorologo più famoso d’Italia, Luca Mercalli, in collegamento da casa sua. Per una scelta green ormai Mercalli riduce i viaggi e gli spostamenti ed è sempre più frequente vederlo solo on line. Insieme alla storica Società Meteorologica italiana, di cui è presidente, partecipa al progetto “Sentinelle Climatiche. In movimento per la difesa del Clima”, nell’ambito del quale ha fatto alcune lezioni nelle scuole e alcuni incontri.
Parliamo sempre più spesso di cambiamenti climatici come emergenza o urgenza: che cosa ne pensa?
Sicuramente si tratta ormai di un’urgenza: li conosciamo da oltre 30 anni ma siamo ancora fermi nel contrastarli. Da un punto di vista formale i cambiamenti climatici sono stati riconosciuti da tutte le nazioni del mondo già con la firma della convenzione delle Nazioni Unite sul clima del 1992. Non è un problema nuovo, è al contrario un problema ormai vecchio che è stato messo sotto il tappeto e su cui si è accumulato uno straordinario ritardo, arrivando al punto che ancora oggi il cambiamento climatico non è del tutto accettato da una parte dell’opinione pubblica ma neanche della politica.
È vergognoso pensare che tutti i paesi che hanno firmato una convenzione delle Nazioni Unite, mettendo all’articolo I che il cambiamento climatico era una grave minaccia per l’umanità e bisognava urgentemente fare qualcosa, ancora oggi abbiamo fatto poco o nulla. Abbiamo addirittura dei ministri che negano il cambiamento climatico, insomma siamo veramente al paradosso e questo non può fare altro che peggiorare l’urgenza, nel senso che la malattia sta andando avanti: il cambiamento climatico, che nel 1992 vedevano solo gli addetti ai lavori, oggi mi sembra che sia qualcosa che le persone intelligenti sperimentino sulla loro pelle. Solo chi vuole girare la testa dall’altra parte non si rende conto che i ghiacciai se ne stanno andando, che i periodi di siccità sono diventati più lunghi e gravosi, che le alluvioni stanno aumentando di numero e di intensità. Insomma siamo di fronte a nuovi scenari, come ad esempio le ondate di calore, con dei dati mai sperimentati prima nella nostra storia: siamo arrivati a 48,8 gradi in Italia! Una cosa mai successa, nemmeno andando indietro di centinaia di anni. Quindi direi l’urgenza oggi è il tema, perché se non facciamo qualche cosa entro una manciata d’anni, sostanzialmente entro il 2030, non saremo più in tempo a fare niente.
Secondo lei, in questa situazione, ha più senso investire in politiche di adattamento, mitigazione o nella gestione del rischio?
Bisogna affrontare tutti questi aspetti, di fronte a un problema così vasto non possiamo fare delle graduatorie. È in gioco l’esistenza dell’umanità, ne va della sopravvivenza della specie umana, lo ha detto anche Biden: “Il cambiamento climatico è un problema esistenziale”, nel senso che, anche se non scompariremo, avremo il rischio di avere un pianeta ostile alle nostre attività e, siccome siamo 8 miliardi, ci prenderemo una bella quantità di mazzate sulla schiena. Ci saranno paesi che patiranno di più, altri di meno; ci saranno delle migrazioni sem- pre più imponenti di popoli e questo metterà in moto altri problemi geopolitici. La crisi climatica va a riflettersi su tutte le nostre attività e allora è chiaro che non c’è una sola ricetta, una sola soluzione ma bisogna fare tutto quello che è nelle nostre possibilità, partendo dalla mitigazione che deve essere una questione internazionale: ovvio che la mitigazione non la può fare solo un paese, solo un gruppo di cittadini, ma funziona solo se la fanno tutti, come dice chiaramente l’Accordo di Parigi (alla COP 21 del 2015 a Parigi fu stabilito di limitare il riscaldamento globale al di sotto di 2°C e a proseguire gli sforzi per circoscriverlo a 1,5°C al fine di evitare le conseguenze catastrofiche del cambiamento climatico. L’accordo fu firmato da 194 nazioni ndr); e poi anche l’adattamento va perseguito perché purtroppo una parte di cambiamento è inevitabile, è già in atto e proseguirà quindi dobbiamo lavorare su tutte e due le strategie.
In questo quadro le scelte individuali che tipo di influenza possono avere?
Le scelte individuali hanno sempre un’influenza perché i 54 miliardi equivalenti di CO2 emessi nel mondo sono frutto dei gesti quotidiani di 8 miliardi di persone. Siamo noi che lo facciamo, con i nostri consumi di energia fossile, con i consumi di oggetti, con la produzione di rifiuti, con la cementificazione, con la deforestazione. I paesi poveri e poverissimi hanno una responsabilità piccola, i paesi più ricchi hanno una responsabilità più grande, e alcuni anche una responsabilità storica perché hanno iniziato a inquinare 200 anni fa. La Cina oggi inquina molto, ma ha iniziato “solo” da 20 anni, il Regno Unito ha iniziato a inquinare con il carbone 200 anni fa e quindi bisogna tenere presente queste differenze e questi pesi di responsabilità. Alla fine è ovvio che anche i gesti personali hanno certamente un impatto, ognuno di noi ha un carico di CO2 di emissioni nella propria vita quotidiana e ognuno di noi è chiamato a ridurla facendo economia, risparmiando energia, passando alle energie rinnovabili, facendo meno sprechi, comprando meno oggetti, facendoli durare di più, viaggiando di meno in aereo, usando di più i mezzi pubblici o la bicicletta o i piedi: c’è tutto un elenco di buone pratiche della green economy che conosciamo benissimo che poi nessuno vuole seguire quando si tratta di fare qualche rinuncia.
Che cosa pensa dei movimenti di attivisti per l’ambiente?
Fanno bene ad essere preoccupati e a cercare di svegliare l’opinione pubblica e la politica, ma purtroppo non è che siano granché efficaci. Benvenuti nella lotta, ma al momento non abbiamo visto cambiare le cose nel mondo perché ci sono i Fridays For Future: speriamo che aiutino quello che la scienza dice da anni, quello che gli altri movimenti ambientalisti più organizzati da tempo già fanno. Non è che l’ambientalismo non esistesse prima dei giovani, i giovani semplicemente si sono aggiunti ed è giusto che lo facciano. Fanno bene a tentare di essere ascoltati ma non mi sembra comunque che finora queste iniziative abbiano avuto il minimo effetto pratico.
Nell’ottica della diffusione di buone pratiche per affrontare gli eventi estremi causati dai cambiamenti climatici, la Società Meteorologica Italiana che cosa fa?
La nostra associazione ha quasi 160 anni di vita: è stata fondata nel 1865 e ha proprio nel suo statuto anche la parte di informazione e divulgazione, oltre a quella di ricerca scientifica; già nell’Ottocento quando è nata si capiva che la meteorologia -allora non si parlava certamente di cambiamenti climatici- poteva dare un grande aiuto alle attività economiche e anche alla sicurezza delle persone: si capiva benissimo che una previsione meteorologica poteva salvarti la vita o esserti utile all’agricoltura però siamo nell’Ottocento, non ci sono ancora i computer e quindi si va per tentativi. Soltanto dagli anni Settanta in poi diventerà uno strumento veramente popolare. Prima la meteorologia rimane un prodotto di nicchia per addetti ai lavori, per cui noi abbiamo nel nostro dna fondativo la divulgazione; oggi in più ha aggiunto agli obiettivi tradizionali della meteorologia anche l’informazione sul cambiamento climatico. Fino al 1970/80 la divulgazione della meteorologia era semplicemente relativa al tempo e alle allerte meteo per salvarsi per esempio da un’alluvione, una tempesta o una nevicata oppure era legata all’agricoltura; con il cambiamento climatico si aggiunge una previsione a lungo termine, quella per il futuro dei prossimi secoli che interessa non solo noi, nel qui e ora, ma anche le generazioni a venire. C’è però un ambito dove forse possiamo agire con un po’ di speranza che è quello educativo nelle scuole.
La Società Metereologica Italiana è partner all’interno del progetto Sentinelle Climatiche: quale impegno crede che dovrebbe assumersi l’istituzione scolastica da questo punto di vista?
La didattica è fondamentale: questi sono temi sono così importanti che io chiamo le “istruzioni per l’uso” del pianeta Terra; quindi ognuno le dovrebbe conoscere, dovrebbero far parte di un programma formativo a qualsiasi livello, per tutte le scuole di ogni ordine e grado, mentre invece sono ancora troppo confuse nei programmi di svariate discipline: in quello di scienze in parte ci sono, come anche nel programma di fisica, insomma a seconda degli indirizzi lo studio dell’ambiente c’è, però non è così ben identificato come materia fondamentale per il nostro futuro, quindi bisogna farlo un po’ emergere facendo dei collegamenti con varie discipline e portando veramente il focus sulla sostenibilità ambientale. Invece spesso tutto è mischiato in altri percorsi e c’è un approccio purtroppo molto soggettivo: ci sono docenti sensibili al tema, e quindi lo fanno emergere e ne parlano, purtroppo ce ne sono anche altri che si limitano a un approccio molto conservatore delle materie, e quindi magari l’argomento del cambiamento climatico riceve un minuto di attenzione su tutto l’anno scolastico.