Lezioni africane: un’altra umanità è possibile

Un appello di 50 intellettuali esorta alla creatività per sconfiggere il Covid e non solo

 

L’epidemia da Covid-19, particolarmente clemente, finora, a livello sanitario con l’Africa, ha riportato in auge le istanze della società civile africana che, particolarmente in Africa occidentale, stanno animando una nuova stagione di lotte e rivendicazioni politico-sociali. In questo senso diversi intellettuali africani, facendosi portavoce del crescente malcontento popolare nei confronti di una classe politica percepita come estranea ai problemi quotidiani -i politici africani che si curano all’estero, mentre ai cittadini comuni viene negato il diritto alla mobilità è il paradigma di tale, ormai incolmabile, distanza-, hanno scritto appelli, lettere aperte e commenti diventati virali. Un patchwork che concorre a formare un’utopia panafricana nata dal fermento culturale e artistico dell’ultimo decennio (almeno) che oggi, cercando di trasformare la crisi epidemiologica in opportunità sociale, trova rinnovata linfa vitale e diffusione oltre i confini regionali e continentali. Ad aprire le danze è stato, ad inizio aprile, l’accorato appello firmato da una cin – quantina di scrittori, filosofi, ricercatori e professori universitari africani, fra cui spiccano i nomi di Kako Nubukpo, Alioune Sall, Felwine Sarr, Achille Mbembe, Reckya Madougou, Souleymane Bachir Diagne, Franck Hermann Ekra e Hakim Ben Hammouda. Una chiamata alla mobilitazione delle intelligenze, delle risorse e della creatività africana per sconfiggere il Covid-19, ma non solo. La straordinaria situazione che stiamo tutti attraversando, infatti, viene presentata dai firmatari della lettera come l’occasione capitale per ripensare le società umane e il contratto sociale che lega governanti e governati. “È un’opportunità storica per gli africani -si legge nell’appello- di mobilitare le proprie intelligenze disseminate in tutti i continenti, di raccogliere le nostre risorse endogene, tradizionali, diasporiche, scientifiche, nuove, digitali, la nostra creatività per uscire più forti da un disastro che alcuni hanno già previsto per noi.” Il riferimento diretto è alle “profezie auto-avveranti” e agli “scenari catastrofici da milioni di morti” di cui, all’alba della pandemia, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’Onu e Bill Gates, fra gli altri, hanno messo in guardia l’Africa. Ad oggi, se la crisi sanitaria prospettata per il continente da esperti e organizzazioni internazionali non ha avuto effetti profondamente nefasti -nonostante la fragilizzazione della salute pubblica causata da decenni di politiche di aggiustamento strutturale imposte dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale-, quello che preoccupa governanti e società civile africana è l’onda d’urto socio-economica e politica dell’epidemia. La strada da seguire per far fronte a tale sfida, secondo gli intellettuali firmatari della lettera, è chiara: “ È arrivato il momento che l’Africa reinventi le modalità della propria presenza nel mondo”. […] “Un’altra Africa è possibile così come un’altra umanità in cui la compassione, l’empatia, l’equità e la solidarietà definiscano le società. Quella che poteva sembrare un’utopia è ormai entrata nel regno del possibile.”[…] “Non osiamo perdere la fiducia nel futuro e in noi stessi. Sì, l’Africa sconfiggerà il coronavirus e non crollerà”. A fare eco, solo qualche giorno più tardi, a tale accorato appello è un altrettanto potente lettera indirizzata ai governanti africani firmata da un centinaio di illustri pensatori, fra cui lo scrittore nigeriano premio nobel Wole Soyinka e l’ex ministro del – la cultura del Senegal Makhily Gassama. Questo documento, redatto da Ndongo Samba Sylla, economista senegalese del – la Fondazione Rosa Luxemburg di Dakar, insieme a Amy Niang, docente di relazioni internazionali a Johannesburg e al profes – sore di diritto pubblico dell’Università Paris Nanterres Lionel Zevounou, va oltre le prospettive universaliste delineate da Achille Mbembe e Felwine Sarr, denunciando apertamente le derive autoritarie e le violenze poliziesche coperte dall’emergenza sanitaria che stanno colpendo diversi paesi africani. Al netto dell’attivismo politico di cui è intriso tale discorso, l’umanesimo militante sembra restare il tratto determinante di tali rivendicazioni, sentite soprattutto dagli ampi strati giovanili delle società africane odierne. “Bisogna rimettere al centro il valore di ogni essere umano, a prescindere dall’identità o dall’appartenenza, dal – la logica del profitto, del dominio e della monopolizzazione del potere”. La lettera ai governanti chiede una “ristrutturazione dalle fondamenta dei nostri sistemi politici”, un cambiamento radicale invocato da diverse piazze, soprattutto in Africa occidentale. Nelle ultime settimane, infatti, con i governi alle prese con la fine del lockdown, i movimenti sociali cittadini di questa regione hanno marciato da Dakar a N’Djamena rivendicando maggiori diritti e libertà. A Bamako, ad esempio, dal 5 giugno ogni venerdì sfilano pacificamente decine di migliaia di persone che, guidate dall’imam wahabita Mahmoud Dicko, figu – ra influente dell’Islam maliano, chiedono a gran voce le dimissioni del presidente Ibrahim Boubacar Keita, giudicato non più atto a guidare il paese. Nei vicini Senegal, Burkina Faso e Niger, analogamente, sono scoppiate manifestazioni di malcontento contro le misure di contenimento sociale messe in campo dai rispettivi presidenti, come la chiusura dei luoghi di culto, fra cui le moschee durante il mese di Ramadan. Il discorso sempre più radicale degli intellettuali africani si cristallizza tanto contro il capitalismo quanto contro l’”afroliberalismo” camuffato da finto panafricanismo di governanti-fantoccio tacciati di essere garanti di esogeni interessi economico-politici delle ex madrepatrie coloniali o delle potenze commerciali neo-coloniali. In particolare la gestione della crisi sanitaria attraverso uno smodato uso delle forze di sicurezza da parte dei governi viene criticato dalla società civile africana in quanto foriera di brutalità e violenze sommarie, come l’incarcerazione di attivisti e dissidenti accusati di attentare alla sicurezza nazionale. La lettera di Ndongo Samba Sylla e compagni si chiude così: “È essenziale non dimenticare che il continente ha risorse materiali e umane sufficienti per costruire una prosperità condivisa su basi egualitarie che rispetti la dignità di ogni persona. La mancanza di volontà politica e le azioni degli estranei non possono più essere scuse per le nostre turpitudini. Non abbiamo scelta: dobbiamo cambiare rotta. È giunto il momento!” 

 

di Andrea De Giorgio

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