Espinar: nel cuore di una terra spezzata

— La drammatica storia di una città andina racconta l’operato dell’impresa Glencore, che in America Latina lavora senza regole. Creando tante Espinar.

“La situazione ad Espinar negli ultimi anni è molto cambiata” afferma un ex minatore seduto all’ombra del patio antistante la sua abitazione. “Prima avevamo campi rigogliosi e animali da allevare, ora non abbiamo più nulla”. Attorno alla casa di Francisco, fatta di fango, una distesa di terra incolta; i canali di irrigazione sono vuoti e qualche mucca distrattamente rumina. La provincia di Espinar, Regione di Cuscu, Perù, fa parte del cosiddetto corridoio minerario meridionale che, giungendo fino a Challhuahuacho, si stima fornisca il 40% della produzione nazionale di rame contribuendo a far sì che il Perù sia il secondo produttore mondiale di rame, zinco ed argento.

Da oltre trent’anni l’attività di estrazione mineraria è entrata, a gamba tesa, a far parte dell’economia dell’area generando un netto peggioramento delle condizioni di vita delle popolazioni locali, indigene, il cui sostentamento si basa, invece, principalmente su agricoltura e allevamento. Fu nel 2006 che la miniera di Tintaya venne acquistata dalla multinazionale Xstrata Cooper che qualche anno dopo, nel 2013, si fuse con l’azienda svizzera Glencore dando vita ad uno dei più grandi consorzi mondiali in grado di controllare l’intera catena di produzione, trasformazione, stoccaggio e trasporto di materie prime nell’intera America Latina. La forza di una multinazionale di tale portata stravolse completamente gli equilibri dell’area dando forma all’enorme complesso di estrazione di Antapaccay (espansione di Tintaya, dopo la sua chiusura per esaurimento) e al sito in esplorazione di Ccoroccohuaycco, gettando le comunità della zona, in uno stato di povertà totale. Oggi circa il 40% del territorio della provincia di Espinar è concesso alle compagnie di estrazione mineraria e, se da un lato queste generano un enorme giro d’affari che sfugge al controllo dello Stato peruviano, contemporaneamente la Provincia viene considerata tra le cinque aree più povere dell’intera nazione.

I bilanci della Glencore non sono trasparenti e, nonostante, come da accordi con lo Stato peruviano, l’azienda avrebbe dovuto dedicare una percentuale dei suoi profitti Diritti umani e ambiente netti (circa il 3%) ad operazioni di beneficio sociale, non vi è alcun modo di verificare che questo stia o sia realmente accaduto. Inoltre, l’evidente disparità tra i lavoratori della miniera, spesso stranieri per la richiesta di manodopera specializzata, e il resto della popolazione genera squilibrio, tensioni e scontri.

Il livello di corruzione è molto alto e perfino le forze di polizia stringono accordi segreti con la direzione delle miniere, come accadde durante il ciclo di proteste “Espinar Se Levanta” del 2012.

Il maggior problema che affligge territori e popolazioni, accresciuto anche dai cambiamenti climatici in atto, è la scarsa presenza d’acqua. L’attività di estrazione mineraria, infatti, necessità di ingenti quantità d’acqua che quotidianamente vengono prelevate dai bacini idrici della zona costringendo la popolazione locale, che in precedenza aveva accesso, per la sua sussistenza, a fonti d’acqua naturali come sorgenti e fiumi, ad utilizzare, oggi, l’acqua pompata e controllata da Glencore. Ed anche se, su carta, l’azienda svizzera si era impegnata a garantire l’accesso all’acqua pulita, dai rubinetti non esce più nulla. Gli abitanti, invitandoci ad entrare, ci mostrano sconfortati i rubinetti arrugginiti da cui a malapena scende qualche goccia d’acqua. Mentre in città le pompe forniscono acqua per circa due ore al giorno, nelle zone di campagna sono soltanto i rudimentali silos, che accolgono la pioggia, a garantire la sussistenza. Nel Distretto di Espinar il 64% della popolazione vive in uno stato di povertà ed il 51% degli abitanti è privo di accesso all’acqua. A tutto questo si aggiunge l’inquinamento; se da un lato gli scarichi della miniera molto spesso finiscono nei fiumi, dall’altro le particelle di polvere prodotte durante l’estrazione e lo stoccaggio di rame, percorrendo enormi distanze, pervadono aria, acqua, suolo e vegetazione nelle zone di coltivazione e pascolo. Un’allarmante situazione dei servizi igienico-sanitari è il risultato. Gli animali bevono al fiume e muoiono, oppure nascono già morti; non c’è acqua per irrigare i campi che sono aridi e neppure per lavarsi. “L’acqua che beviamo non è potabile, lo si capisce già a prima vista. È scura, densa e non ha un buon odore. Ma nonostante gli studi e le proteste “non c’è modo di fermare la miniera” ci spiega una donna a cui due dei cinque figli sono già morti. Entriamo nella sua casa, piccola e piena di cose disposte alla rinfusa. Sembra anziana ma ha poco più di quarant’anni ed è malata di cancro. Oggi gli abitanti delle comunità locali vivono in case senza elettricità, nonostante le centrali elettriche presenti per dare energia alle miniere, sono prive di accesso all’acqua pulita, le loro terre sono aride ed il bestiame decimato.

Forti emicranie, dolori allo stomaco e alle ossa, diarrea, insufficienza renale, problemi respiratori e insufficienze cardiovascolari sono le cause di malattia e di morte degli abitanti, il tasso di mortalità infantile è molto così come quello di bambini nati con malformazioni. Le strutture sanitarie della zona non sono in grado di supplire all’emergenza sanitaria in atto nella Provincia di Espinar: una volta diagnosticata la contaminazione da metalli pesanti nel paziente nulla viene fatto al fine di curarlo. E se le condizioni delle campagne appaiono tragiche non è migliore la situazione in città. L’incremento del giro di affari determinato dalle attività di estrazione mineraria ha infatti generato uno sviluppo economico impari: il costo della vita è aumentato impedendo l’accesso a beni e servizi a gran parte dei cittadini ed è evidente lo squilibrio tra popolazione locale, sempre più povera e i benestanti lavoratori della miniera.

La prostituzione è in aumento, il numero delle ragazze madri abbandonate dai compagni, l’abuso di alcol, le tensioni razziali, i crimini, le rapine, gli omicidi anche. Il caso di Espinar quindi, è davvero paradigmatico di quanto troppo spesso avviene in America Latina a causa dell’operato di multinazionali, come Glencore, che sfruttano vaste aree di territorio ricche di materie prime, con il fine di ricavare ingenti profitti, non curandosi delle esigenze della terra e dei diritti delle popolazioni locali. Tali multinazionali sono molto spesso il risultato di affiliazioni, fusioni e affiancamenti di aziende diverse che strutturandosi riescono a  coprire aree di mercato vastissime e a raggiungere un’enorme potenza, in termini di forza e potere d’acquisto, contro cui gli stessi stati non riescono o non vogliono porre abbastanza resistenza; rendendo, conseguentemente, complicato individuare le effettive responsabilità di ciascun ramo. In questo modo i diritti delle popolazioni locali vengono violati palesemente, senza alcun ritegno, ma non esiste de facto la possibilità di fermare i colpevoli. Spesso alta è, anche, la difficoltà per la libera informazione di varcare i confini territoriali senza essere sottoposta a manipolazione e questo contribuisce a fare sì che le condizioni di vita di piccole comunità finiscano nell’oblio. Approfittando dei bassi costi delle operazioni di estrazione in America Latina Glencore opera in Argentina, Bolivia, Colombia, Cile, Perù causando, nonostante le numerose sanzioni legali ed amministrative e le indagini a cui è sottoposta, continui danni all’ambiente, ai territori, alle persone di portata enorme.

di Chiara Sgreccia

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