WATER GRABBING: “Ogni anno è il peggior anno”

di Marirosa Iannelli, Presidente Water Grabbing Observatory

Ogni anno degli ultimi dieci anni è stato considerato dalla comunità scientifica internazionale – raccolta nel Panel intergovernativo delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Ipcc) – l’anno più caldo di sempre, con una temperatura della superficie della Terra e degli oceani superiore di oltre 0,80 gradi rispetto alla media del XX secolo.
La temperatura della Terra, in costante aumento, è strettamente legata alla crisi idrica mondiale a cui siamo esposti. Alcune aree del Pianeta sono decisamente più sensibili di altre, a causa dell’impatto di fenomeni naturali come alluvioni o assenza totale di piogge, uniti alla scarsa capacità di adattamento ai cambiamenti climatici e dell’antropizzazione degli ambienti che, direttamente o indirettamente, condiziona la gestione delle risorse idriche. Il XXI secolo vedrà il 47% della popolazione mondiale vivere in zone ad alto stress idrico. Se consideriamo che il Pianeta Terra è ricoperto da 1.390 milioni di chilometri cubi d‘acqua, di cui il 97,5% è acqua salata, presente nei mari e negli oceani, e solo il 2,5% è acqua dolce, in gran parte sotto forma di ghiaccio nelle calotte polari, ci rendiamo conto che gli esseri umani hanno a disposizione appena 93.000 chilometri cubi d’acqua, pari a circa lo 0,5% del totale. Di quest’acqua, solo una parte è potabile o non contaminata, ed è distribuita in maniera diseguale tra le aree del pianeta. Per giunta, anche dove ci sarebbe abbondanza per tutti, gli esseri umani spesso limitano l’accesso all’acqua ai propri simili, per ragioni politiche o commerciali. Tutto questo si riflette in una grande iniquità nella distribuzione. Se, nel mondo occidentale, il consumo d’acqua è cresciuto a dismisura un cittadino degli Stati Uniti consuma oltre 1.300 metri cubi all’anno e un europeo circa 700), nei Paesi in via di sviluppo è crollato: un africano consuma in media appena 185 metri cubi all’anno. Nel Sahel, le famiglie consumano anche meno di dieci litri d’acqua al giorno.
In un mondo in cui più di un miliardo di persone non ha accesso all’acqua potabile e più del doppio non ha accesso a servizi igienico-sanitari di base, l’acqua è dunque diventata una risorsa sempre più contesa tra Stati, tra imprese del settore energetico e agricolo, tra classi sociali, tra città e regioni. A livello mondiale, il 70% dell’acqua è usato per produrre cibo (dunque riservato all’agricoltura e all’allevamento), il 22% è usato per produrre materia e oggetti (dunque riservato al settore industriale) e il restante 8% è riservato all’uso domestico. Attualmente, sono in corso oltre cinque-cento conflitti in fase di negoziazione per la gestione delle risorse idriche. Privatizzazione del servizio idrico, lotta per accaparrarsi le fonti d’acqua, grandi dighe per il controllo di fiumi e laghi, piantagioni di colture estensive che lasciano a secco intere popolazioni in tutto il mondo: il fenomeno dilagante del water grabbing mina la stabilità sociale ed economica di tutti i Paesi, soprattutto di quelli più svantaggiati. Con l’espressione water grabbing, o “accaparramento dell’acqua” (definizione da Jennifer Franco, Satoko Kishimoto et al., The Global Water Grab: A Primer, Transnational Institute, 20 ottobre 2014 ndr) , ci si riferisce a situazioni in cui attori potenti, statali o privati, per esempio multinazionali, prendono il controllo di risorse idriche preziose per deviarle a proprio vantaggio, sottraendole a tutti gli effetti a comunità locali o intere popolazioni la cui sussistenza spesso è basata sulle risorse e sugli ecosistemi depredati. La geografia del water grabbing interessa ampie fasce del pianeta, le zone equatoriali, i grandi bacini idrici dell’Asia, il Medio Oriente, l’America meridionale, l’area mediterranea, le zone desertiche dell’America settentrionale e dell’Australia.
Oltre 40 milioni di ettari, di cui una buona parte nell’Africa subsahariana, sono stati accaparrati da imprese private, soprattutto cinesi e degli Emirati Arabi Uniti, in cerca di nuove terre per soddisfare il fabbisogno alimentare interno e allargare il mercato di prodotti non-food derivati da biomasse forestali o agricole, come biocarburanti e altri materiali di origine organica.
Questo processo è caratterizzato da investimenti su larga scala per lo sviluppo rurale che, però, spesso vanno a scarso beneficio delle popolazioni, favorendo invece gli stakeholder delle grandi corporation dell’agrobusiness. Si tratta di una nuova corsa all’accaparramento di terra, meglio conosciuto come land grabbing, che coinvolge almeno 62 Paesi grabbed (predati) e 41 Paesi grabber (predatori), per cui l’accesso, l’uso e il diritto alla terra vengono controllati e gestiti in maniera impropria, provocando effetti negativi sui diritti umani, sulla sicurezza alimentare locale, sui mezzi di sussistenza rurali e sui territori. Nel quadro dell’accaparramento della terra e delle risorse energetiche, una delle più rilevanti forme di appropriazione è proprio quella dell’acqua, necessaria per “dissetare” le mega proprietà acquisite, con una continua sottrazione idrica alle popolazioni locali, che diventano così meno resilienti ai cambiamenti climatici. Ogni elemento del pianeta è sempre più visto come un bene di mercato. Da bene comune, liberamente accessibile, l’acqua si è trasformata progressivamente in bene privato, per il quale bisogna negoziare ed essere disposti a pagare un prezzo. I diritti di sfruttamento o concessione vengono commercializzati e scambiati sui mercati finanziari, come avviene in Cile, dove finora è stato letteralmente possibile acquistare i fiumi o le sorgenti, così come in Indonesia, in Brasile e nelle Filippine – le nazioni con il maggior numero di ettari di terre cedute, al di fuori del continente africano. Dopo i processi di mercificazione, ovvero di passaggio da bene comune a bene economico, e di liberalizzazione e privatizzazione, con l’apertura al mercato e alle imprese private, la finanziarizzazione dell’acqua punta alla trasformazione di una risorsa naturale liberamente fruibile in asset finanziari che possono essere scambiati nelle principali piazze azionarie globali. Ecco perché il water grabbing rappresenta uno dei processi più diffusi di appropriazione, privatizzazione, depauperamento, commercializzazione e finanziarizzazione non solo di terreni e risorse idriche, ma della vita stessa.

 

L’acqua si pianta
Da sempre COSPE è impegnato sui temi del diritto all’acqua, ma nel 2023 in particolare abbiamo lanciato al campagna Emergenza Angola perché la situazione in questo paese, in particolare nelle province meridionali di Namibe, Huila e Cunene, dove lavoriamo da più di 30 anni, è peggiorata in maniera esponenziale e la siccità sta stremando la popolazione. Secondo Fao siamo di fronte alla peggiore crisi ambientale degli ultimi 40 anni. COSPE qui oggi lavora per portare acqua a 4.000 persone minacciate dalla carestia e alle comunità agropastorali delle zone più remote piantando 40 mila alberi e realizzando opere idriche aggiuntive.
https://weangola.cospe.org/

Il Water Grabbing Osservatory è un osservatorio permanente composto da un gruppo di ricercatori, giornalisti, fotografi ed esperti, che documenta e divulga le violazioni dei diritti umani e ambientali e che ha come obiettivo quello di rilevare, analizzare, comunicare fenomeni sociali, ambientali ed economici legati ad acqua e clima, in Italia e nel mondo. E lo fa attraverso l’impiego del giornalismo d’inchiesta e di reportage, di infografiche e mappe cartografiche, di foto e di video divulgati attraverso molteplici canali digitali e non.
www.watergrabbing.com/

 

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