LA FABBRICA CHIUDE E IL COLLETTIVO LA TIENE “APERTA”

di Alberto Zoratti

Erano ormai più di dieci anni che non si vedeva una resistenza operaia così forte e determinata, dalla lotta delle migliaia di operai e operaie allo stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco contro il neo-toyotismo di Sergio Marchionne. Quel modello, alla fine, passò, ma la lotta dei lavoratori rimase negli annali come l’ultima, strutturata reazione a un mondo del lavoro che andava cambiando in modo apparentemente inesorabile. Un cambiamento radicato nella sempre maggiore libertà di imprese e capitali di poter varcare confini investendo dove più conviene, anche in termini di minori diritti, un’economia finanziarizzata, dove contano più gli interessi degli shareholder delle necessità di una comunità di lavoratrici e di lavoratori e di un territorio.
La mattina del 9 luglio 2021, dieci anni dopo quella lotta e a poco meno di cinquecento chilometri da Pomigliano, a Campi Bisenzio in provincia di Firenze, arriva nella casella postale dell’RSU della “Gkn Automotive” un’email che non lascia spazio a interpretazioni: la fabbrica chiude. Senza alcun preavviso, senza nessuna avvisaglia, 422 operai e un’ottantina di lavoratori e lavoratrici degli appalti da quel giorno possono stare a casa. Il fondo finanziario britannico Melrose, che da alcuni anni è proprietario della Gkn, ha scelto di chiudere lo stabilimento campigiano. Quel giorno, in quel non luogo che è via Fratelli Cervi a Campi, una strada incuneata tra centri commerciali, fabbriche e magazzini della logistica, si spezza un equilibrio. Quello che ha visto per anni il mondo del lavoro italiano in balia del grande capitale, con contratti collettivi sempre più sotto attacco, diritti in bilico, aziende che chiudono delocalizzano.
Il Collettivo di Fabbrica della Gkn decide di forzare i cancelli e di entrare. Da quel giorno l’assemblea permanente dei lavoratori diventerà il punto di riferimento di una delle lotte più significative e rilevanti dopo quella di Pomigliano contro i diktat del corso Marchionne. Una lotta che ha visto la forte convergenza del territorio, delle centinaia di solidali che hanno scelto di mettersi a disposizione di una lotta che andava ben oltre l’opposizione a un licenziamento collettivo. “Se sfondano in Gkn, sfondano ovunque”. Perché spesso, quasi sempre, l’attacco ai diritti collettivi parte da situazioni specifiche, paradigmatiche, come quella dei 500 lavoratori archiviati da un fondo finanziario. Un caso che chiama in causa non solo la proprietà, ma anche il Governo e l’intero mondo sindacale: “il Governo aveva tutto il tempo di intervenire con un decreto di urgenza o con un disegno di legge antidelocalizzazioni che impedisse per l’ennesima volta uno scempio simile”, chiariva in quel tempo Dario Salvetti, Rsu Fiom della Gkn.
Un Governo che tentò un’operazione di facciata, con una legge antidelocalizzazioni che, di fatto, non cambiava nulla. “Se fosse stata votata prima del nostro caso” sottolineava ai tempi il Collettivo di Fabbrica, “saremmo stati ugualmente licenziati”. Perché, nei fatti, la lotta della Gkn ha parlato di una mobilitazione collettiva, con decine di migliaia di persone in piazza: 19 luglio, 24 luglio, 18 settembre 2021, 25 marzo 2022, 26 marzo 2023 solo per elencare le manifestazioni organizzate a Firenze, con punte di oltre 40mila manifestanti in sostegno della lotta. E senza considerare le mobilitazioni coorganizzate in altre città come Napoli, Bologna, Roma e le centinaia di incontri pubblici in tutto il Paese, parte dell’“Insorgiamo Tour” e del primo festival internazionale di letteratura working class, organizzato in fabbrica dal 31 marzo al 2 aprile 2023. Ma anche di ricorsi per comportamento antisindacale vinti, ricorsi al tribunale anch’essi a favore dei lavoratori. E questo nonostante il cambiamento, almeno apparente, di proprietà: dal dicembre 2021 al posto di Gkn, che dichiara di voler passare la mano, entra in ballo Francesco Borgomeo, imprenditore laziale a capo di Unindustria Cassino.
Un cavaliere bianco che avrebbe salvato la fabbrica e i posti di lavoro, secondo l’establishment del PD toscano e le istituzioni da lui governate. Il tempo avrebbe chiarito cosa in realtà stava succedendo: nessun piano di reindustrializzazione effettivamente presentato, incontri al Ministero per lo Sviluppo Economico (il Mise, ora trasformato in Mimit nel nuovo corso meloniano ndr) che, nei fatti, hanno allungato il brodo di una lotta che, nella realtà delle cose, parlava di famiglie senza una certezza del futuro e di competenze che si andavano via via perdendo. Il fallimento di Borgomeo, e di un accordo nazionale di rilancio dello stabilimento firmato da lui e dalle controparti sindacali nel gennaio 2022 e nei fatti mai applicato, ha dimostrato la totale inadeguatezza della classe politica così come dell’imprenditoria italiana.
La risposta è stata un piano di reindustrializzazione progettato dal basso dagli stessi operai assieme a competenze solidali e a Università di prestigio come il Sant’Anna di Pisa e che si concentra sulla produzione di pannelli fotovoltaici di ultima generazione grazie al brevetto di una start up tedesca, e di cargo bike.
Il piano, presentato nel dicembre 2022 alla stampa, è stato sostenuto da una sorta di referendum popolare che ha visto più di 17mila fiorentini firmare a favore del rilancio dell’ex Gkn. “Questo piano di rilancio articolato” ha sottolineato l’RSU, “è il risultato dell’autorevolezza della mobilitazione che ha visto protagonisti un collettivo di lavoratori, le competenze solidali e un intero territorio. I quasi 17mila voti raccolti grazie alla mobilitazione di quasi un migliaio di volontari e l’impegno di elaborazione tecnica del Comitato Tecnico Scientifico Solidale Gkn del gruppo reindustrializzazione […], sono l’ingrediente sostanziale della credibilità tecnica e politica di questa proposta”.
A fianco del Collettivo dei lavoratori, esempio di democrazia operaia sulla base dei Consigli operai degli anni settanta, si è andata formando una Società Operaia di Mutuo Soccorso che gestisce gli eventi pubblici, il Gruppo di Acquisto Solidale Insorgiamo che mette in connessione la fabbrica con i produttori dell’economia sociale e solidale del territorio, e che ha lanciato assieme al Comitato Tecnico Scientifico un crowdfunding dal basso a sostegno della prima fase di concretizzazione del piano di reindustrializzazione dal basso che si baserà sulla creazione di una cooperativa, che ha raccolto 174.000 euro di crowdfunding, nonostante il primo obiettivo fossero 75mila euro. Tutto questo mentre, dal novembre 2022, l’azienda ha scelto di non anticipare più la cassa integrazione, i cedolini, la maternità, le ferie.
Una pressione in deroga al contratto nazionale, una forzatura che ha provato a disarticolare una lotta e una proposta di riorganizzazione operaia della produzione che, di fatto, non ha fermato nulla. La storia del Collettivo di Fabbrica ex Gkn non parla solo di un’assemblea permanente e di una lotta di più di due anni, e ancora in corso, in difesa di centinaia di posti di lavoro. È un racconto che guarda alla determinazione di un collettivo che ha coscienza di essere classe, di un mondo politico inadeguato e di un’imprenditoria predatrice, ma anche di un territorio a difesa di uno stabilimento, di una fabbrica integrata con il territorio, di convergenza delle mobilitazioni, di una riconversione ecologica e di cooperativa operaia e workers buyout.
Non è possibile una transizione ecologica e una trasformazione del mondo del lavoro sulla pelle di lavoratori, lavoratrici e a spese di un intero territorio. Questa è la faglia che si è aperta a Campi Bisenzio, ed è una frattura che non solo ha fatto storia, ma quasi certamente creerà futuro.

LA FABBRICA CHIUDE E IL COLLETTIVO LA TIENE “APERTA”
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