“A MIGLIAIA SONO VISSUTI SENZA AMORE, NON UNO SENZA ACQUA”

di Giulia Bartalozzi

Andrea Rinaldo, veneziano, laureato ingegnere civile a Padova, è professore di idrologia e risorse idriche all’École Polytechnique Fédérale di Losanna e al Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale dell’Università di Padova. Numerosi sono i riconoscimenti accademici internazionali conseguiti nella lunga attività di studio e insegnamento. Affezionato alla città natale, presiede l’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti. Ex nazionale italiano di rugby, è anche consigliere della Federazione Italiana Rugby, membro di quella internazionale (Epcr). Ad Andrea Rinaldo il 21 marzo di quest’anno è stato assegnato lo Stockholm Water Prize, identificato come il “premio Nobel dell’acqua”, essendo caratterizzato da un processo di selezione e una cerimonia di consegna del premio analoghi a quelli dei premi Nobel.

Dal 1991, lo Stockholm Water Prize viene assegnato a persone e organizzazioni per straordinari risultati legati all’acqua, dallo Stockholm International Water Institute (Siwi) in collaborazione con l’Accademia Reale Svedese. La cerimonia di consegna del Premio si svolge a Stoccolma, alla presenza di Re Carlo XVI. La ricerca di Andrea Rinaldo ha delineato un quadro ecoidrologico integrato, che unisce studi sperimentali di laboratorio, lavoro empirico di campo e sviluppi teorici che si sono concentrate sui controlli idrologici delle comunità vive (uomo incluso), che hanno contribuito in modo sostanziale alla comprensione dell’origine dinamica di forma e funzione delle reti fluviali. Questa funzione è rilevante per diversi processi fondamentali che controllano l’ecologia spaziale delle specie e la biodiversità nel bacino fluviale, la dinamica di popolazioni e delle “invasioni” biologiche di specie alloctone lungo i corsi d’acqua; e, non ultime, la diffusione e la demografia di malattie trasmesse dall’acqua, come il colera epidemico e la bilarzosi endemica per l’uomo, o le malattie renali, proliferative e letali, per i salmonidi. Rinaldo ha dimostrato che i processi ecologici dominanti nel paesaggio fluviale sono fortemente vincolati dall’idrologia e ha dato un fondamentale contributo alla nascita e allo stabilirsi dell’Ecoidrologia come scienza autonoma a pieno titolo e assolutamente attuale, chiave di volta per la comprensione e la risoluzione di molteplici problemi controllati dalle acque del ciclo idrologico.

Lei è veneziano, quanto ha influito questo nel suo interesse per l’acqua?

Molto, per almeno due ragioni. Intanto familiari: mio nonno aveva un’impresa di costruzioni marittime a Venezia, mio padre (come io stesso, un mio fratello, uno dei miei figli, mio suocero e mio cognato) era ingegnere idraulico laureato a Padova. La seconda ragione è stata l’avere vissuto in città l’alluvione del 1966 (che a Firenze fece altri disastri). Quando finalmente le acque si ritirarono, lasciando miseria e dubbi sulla sopravvivenza di Venezia, il mio interesse per le ragioni di quella fragilità fu molto forte. Lo è tuttora.

Che cosa significa per lei diritto all’acqua?

L’acqua è un bene di tutti essenziale: come scrive il poeta W.H Auden: “a migliaia sono vissuti senza amore, non uno senz’acqua”. Le mie ricerche e quelle delle persone che in questi anni hanno lavorato con me, avevano e hanno come scopo quello di rendere equa la distribuzione dell’acqua per tutti nel contesto di una generale progressiva riduzione delle disuguaglianze sociali ed economiche e di una corretta percezione ecologica dei processi controllati dall’acqua. Nei luoghi dove è concentrato molto del mio lavoro di campo, l’Africa Subsahariana, il Bangladesh, l’isola di Haiti, ma anche nei fiumi alpini in Svizzera, si percepisce chiaramente la necessità di ripensare la giustizia distributiva della gestione delle risorse idriche su scala globale. Quando viaggio nel Sud del mondo per studiare come si propagano le malattie portate dall’acqua, vedo che la distribuzione di acqua sicura è per pochi privilegiati, mentre tutti hanno un telefono cellulare. Così, quando diventa evidente che piani di gestione delle risorse idriche possono causare perdite di biodiversità o portare malattie debilitanti in aree che ne erano prive, è facile valutare l’impatto economico positivo sull’agricoltura, ma non lo è dare un valore ai servizi degli ecosistemi che perdiamo per sempre, o al vero costo dei ritardi cognitivi causati dalle malattie debilitanti come la bilarzosi. Tutto questo deve cambiare: oggi abbiamo gli strumenti per poter stimare quantitativamente il vero valore del capitale naturale, essenziale per valutare la vera ricchezza (o povertà) delle Nazioni.

Quali sfide ci attendono?

Pensare a cosa significa l’acqua, per Venezia, per Haiti o per il Sud del mondo.
Una barena di Venezia sparirà fra cent’anni, lo sappiamo. Sparirà se non facciamo qualcosa. Ma esiste un’etica dello sviluppo capace di salvare quella barena? Sì se leghiamo quella barena alla bellezza, alla perdita di bellezza. Con tutto quello che abbiamo imparato finora oggi è il momento del cambiamento, dell’inversione di tendenza. Haiti è stata attraversata da un’epidemia devastante di colera sei mesi dopo un terremoto che aveva ucciso 300 mila persone. Perché? Lo capite osservando i fiumi, l’epidemia corre con i fiumi quando non esiste un sistema fognario. Persone infette utilizzano i corsi d’acqua e a loro volta ne infettano altri. L’Africa è l’esempio lampante delle nostre responsabilità. Lo è perché, nei prossimi 15 anni, in Africa ci saranno 800 milioni di persone che dovranno vivere in città che oggi non ci sono ancora. E proprio noi, occidentali, non possiamo risolvere tutto dicendo “non fate così”. Le grandi sfide che riguardano la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici non possono prescindere dal fatto che sempre di acqua si parla, sul doppio binario “acqua distruttrice” e “acqua salvifica”. E che sempre noi siamo responsabili. Se mitigazione significa il “dover fare”, l’andare a ricercare e rimediare alle cause del fenomeno, dico anche che adattamento è trovare il modo di affrontare il problema e sono convinto che di questo si debba parlare. Trovare un modo adesso, ma anche vederne tutti gli aspetti. Se costruisco piccole dighe nel Sud del mondo, gli economisti mi dicono che il Pil del paese aumenta, tuttavia la stessa rete di irrigazione porta con sé anche malattie. Purtroppo vediamo il vantaggio economico sul Pil, ma non il costo della malattia, del ritardo cognitivo, dei giorni di lavoro che vengono persi. Questo esempio serve a farci capire che quello che può essere un piano di gestione delle risorse idriche non è mai neutrale, che bisognerebbe includere nell’analisi costi benefici anche valori mai considerati prima. La verità è che nessuna economia può durare in eterno danneggiando il capitale naturale, decimando le foreste, distruggendo gli ambienti terrestri e marini e rovinando l’estetica del paesaggio. Un esempio di questa dura realtà è il destino ormai segnato degli ecosistemi naturali della laguna di Venezia.

Quindi, dobbiamo utilizzare l’ecoidrologia per cambiare prospettiva?

La piccola scoperta per cui mi viene assegnato quest’anno il premio Stockholm Water Prize è la possibilità di predire come si propagano e sopravvivono specie, popolazioni e patogeni in diversi scenari di sviluppo economico e sociale. Ma questa predizione parte dallo studio delle reti fluviali. Il messaggio che vorrei lasciarvi è quello che ho dato anche quando mi hanno chiesto un commento al riconoscimento: i tempi sono maturi per ripensare a una giustizia distributiva nella gestione delle risorse idriche che diventano chiave per la riduzione, su scala globale, della disuguaglianza.

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