di GIAMMARCO SICURO
“I popoli indigeni sentono l’esigenza di occupare finalmente spazi politici”
L’intervista con Vanda Witoto avviene a distanza di migliaia di chilometri. Noi in Italia, lei nella sua casa di Parque das Tribos, enorme baraccopoli di Manaus, stato di Amazonas, dove vivono migliaia di indigeni in condizioni terribili di abbandono e discriminazione. Vanda è una giovane infermiera e un’attivista per i diritti umani e da anni lotta per il riconoscimento di una terra indigena per la sua gente, gli Witoto e per maggiori diritti e parità sociale per gli indigeni e le minoranze discriminate, in Brasile.
Vanda, negli ultimi mesi ti abbiamo vista molto attiva anche in politica e ti sei spesa molto, personalmente, per il presidente Lula. Perché hai deciso di fare questa battaglia?
Prima di tutto, voglio ringraziarvi per l’opportunità di dialogare con voi. È molto importante, per me, spiegarvi l’esigenza di questa lotta politica nello stato di Amazzonia e in tutto il Brasile e il perché questa lotta debba avvenire al fianco del presidente Lula. In questo Paese, la popolazione indigena soffre le conseguenze delle politiche statali e la nostra presenza in questi spazi politici è molto discriminata. Per questo, sentiamo l’esigenza di occupare questi spazi e di garantire che in questo modo le politiche pubbliche raggiungano anche i territori indigeni. Alle ultime elezioni mi sono candidata a deputata federale, raggiungendo quasi ventiseimila voti, ma purtroppo non sono stata eletta. La sfida, però, è ancora grande e per noi donne è oltremodo necessario occupare quegli spazi dove si prendono le decisioni che riguardano il nostro futuro: decisioni che limitano il diritto alla vita e a tutti quei diritti già conquistati e che non possiamo perdere. Penso soprattutto alla popolazione indigena che soffre, ancora oggi, la politica del passato governo volta a schiacciare le organizzazioni che avrebbero dovuto proteggere la foresta e chi la vive. Sono queste le politiche che indeboliscono maggiormente la nostra popolazione e l’Amazzonia tutta ed è per questo che stiamo lavorando per cercare di occupare quegli spazi.
L’ultima volta ci eravamo incontrati a Manaus, durante la pandemia. Com’è adesso la situazione nella tua zona? C’è stato un miglioramento o la deforestazione avanza ancora più rapidamente?
Negli ultimi due anni abbiamo vissuto una situazione molto grave e che avete potuto testimoniare anche voi: mi riferisco in particolare all’assassinio di Dom Phillips e Bruno Pereira (un giornalista e un antropologo uccisi da un bracconiere nel giugno 2021 ndr) all’interno del territorio indigeno dell’Alto Rio São Limões, nella Valle Javari. Da quel momento la violenza si è intensificata e nei territori molte persone vivono ancora sotto costante minaccia. Qui, nel sud dell’Amazzonia, continua ad aggravarsi soprattutto la questione dell’estrazione mineraria all’interno dei territori indigeni; una piaga che il popolo Mura sta affrontando da solo e con coraggio. Il problema è la totale mancanza di supervisione che tradotto vuol dire assenza di un potere pubblico che tuteli le popolazioni indigene. Dopo la pandemia, nel mio territorio, il Parque das Tribos, nella città di Manaus, la situazione per fortuna è migliorata e ciò è avvenuto grazie alla pressione che abbiamo esercitato sulle istituzioni. Grazie a questo nostro attivismo, stiamo finalmente costruendo un’unità sanitaria che servirà le comunità indigene. I lavori di costruzione di questa unità sanitaria di base sono ancora in corso e questo lo consideriamo uno dei grandi risultati di una grande lotta per il riconoscimento delle popolazioni indigene in un contesto urbano da parte del potere pubblico nel settore della Salute. Si tratta, certamente di una delle grandi cose positive accadute, qui, in questo processo di garanzia dei diritti alla salute. Purtroppo, però, all’interno della comunità permane il problema dell’accesso all’acqua. Le nostre sorelle e fratelli non ne hanno avuta per tutta la durata della pandemia e oggi abbiamo presentato una richiesta affinché l’acqua potabile esca dal rubinetto. Sarebbe una grande conquista riguardo a un problema chiave in Amazzonia: quello dell’accesso all’acqua potabile la cui assenza è causa di numerose malattie, diarrea e molti altri disturbi dovuti all’acqua non trattata. Questo è ciò che accade qui ed è per questo che stiamo dialogando con i governanti locali per avere una più efficace partecipazione all’interno del Governo, qui nel nostro Stato.
Non appena eletto, il presidente Lula ha fatto molte promesse alle popolazioni indigene, a cominciare dalla deforestazione zero. Secondo te è possibile raggiungere questo obiettivo? E speriamo di poterne parlare un giorno qui in Italia, come nostra ospite.
Promesse fatte non soltanto alle popolazioni indigene, perché l’Amazzonia è composta da una diversità di popoli tradizionali: quilombolas, ribeirinhos, pescatori, agricoltori. Sono tutte persone che hanno bisogno di essere protette perché sono queste persone che hanno mantenuto la foresta in piedi con la propria vita. Adesso i Paesi sviluppati devono impegnarsi e assumere un compromesso per l’Amazzonia perché l’Amazzonia è fondamentale per il mondo e per la gente di tutto il mondo.
Dobbiamo capire finalmente che si tratta di un tema importante non solo per chi vive qui nella foresta: è importante per l’ecosistema del pianeta intero e che oggi è estremamente influenzato da tutto lo sviluppo economico in atto. Sta di fatto che l’Amazzonia, offre una risposta positiva nei processi di mitigazione dei problemi climatici esistenti e a quei problemi anche legati alle malattie che si stanno diffondendo e per questo sarebbe molto importante che le nostre voci, quelle di noi difensori dell’Amazzonia potessero avere un sostegno efficace.
Purtroppo, però, noi attivisti non abbiamo alcun appoggio e soprattutto, non abbiamo le risorse per poter sviluppare una protezione della foresta in modo sicuro. Per questo, le nostre vite sono a rischio! Inoltre, non sappiamo nemmeno come poter partecipare ai tavoli negoziali dove si trattano accordi che noi, come società civile, non possiamo discutere.
Molti di noi, leader indigeni, sono stati assassinati per aver difeso l’Amazzonia, per aver difeso il proprio territorio, per aver protetto i fiumi e la foresta, ma ciononostante la gente non ci sostiene. Ci prendiamo cura di un pianeta, ma nessuno si prende cura delle persone che se ne prendono cura. Per me sarebbe un onore poter venire in Italia a portare questo messaggio e poter dialogare con i parlamentari, con le autorità del Paese, in modo da poter, in qualche modo, pensare a una strategia su come attivare meccanismi di protezione per le persone che custodiscono la foresta. Prendersi cura delle persone significa garantire sicurezza, garantire cibo e garantire protezione nei territori. Quindi sì, sarebbe per me un grande onore poter venire in un Paese come l’Italia per avviare questo dialogo.