DOLCEAMARA. DOÑA JULIA LAPO. Forte come il Cioccolato. Jiulia Che Non Cede alla Palma

di CHIARA SGRECCIA

“In Ecuador oggi la maggior parte degli habitat agricoli sono distrutti”

Verde è verde, ma è oro solo per pochi. La palma da olio rivela la mancanza di controlli in un settore chiave dell’economia dell’Ecuador. Lo Stato fa il possibile per incrementare la sua produzione e le esportazioni ma non si preoccupa delle conseguenze ambientali e sociali. Così si arricchiscono le imprese che comprano i terreni a basso costo e stravolgono  l’ecosistema mentre sono sempre più difficili le condizioni degli abitanti delle comunità contadine che rimangono senza terra e diritti. Se fino agli anni duemila la vita nelle aree rurali era molto diversa, l’acqua dei fiumi era pulita, gli abitanti avevano accesso al bosco e vivevano dei suoi frutti, con l’arrivo delle enormi piantagioni monocoltura hanno perso tutto.

Nella Foresta del Pacifico, o Chocó-Darién ecuadoriano, l’ecoregione ai piedi della cordigliera delle Ande che taglia in due la piccola Repubblica del Sudamerica, ci sono le piantagioni di palma da olio più grandi del paese. Anni fa quest’area era ricca di specie e piante autoctone. Oggi la maggior parte degli habitat originali sono distrutti e l’alto tasso di deforestazione minaccia ambiente e persone. Resta solo l’agricoltura locale come strumento di difesa e di sostenibilità. Lo dimostra doña Julia Lapo che resiste all’avanzata della monocoltura grazie alla coltivazione del cacao. Vive una piccola comunità, nel cantone di Quinindè, a Esmeraldas, la provincia settentrionale dell’Ecuador che, secondo Global Forest Watch, ha perso 116 mila ettari di superficie forestale tra il 2001 e il 2019.

Doña Julia ogni mattina, insieme al marito Rosendo Moran, attraversa un piccolo fiume a bordo della canoa, entra in quel che rimane della foresta e arriva al campo: ventuno ettari di terra in grado di produrre fino a ventidue quintali di cacao l’anno. Lavora con la sua famiglia, cura le piante, raccoglie le fave di cacao quando sono mature, le ripone nella grande cesta di vimini che porta sulle spalle. La sua impresa fa parte della cooperativa Cospe che raggruppa i piccoli produttori locali facendo in modo che il cacao raccolto possa essere commercializzato a prezzi concorrenziali, che il prodotto offerto sia d’alta qualità e che agli agricoltori arrivino i proventi che meritano. Ma non solo. Doña Julia è anche la fondatrice, con il contributo di COSPE, di un’associazione di donne che non si accontentano di vendere il cacao grezzo ma che hanno aperto un laboratorio del cioccolato che produce tavolette e cioccolatini per il mercato interno ecuadoriano. «Lavoriamo per offrire alla popolazione gli strumenti necessari all’emancipazione. L’incentivo a coltivare specie autoctone, come il cacao criollo, prodotto di pregio dell’Ecuador, è una via per invitare le comunità locali a resistere alla logica del profitto effimero, contrastare la deforestazione e per promuovere l’autodeterminazione della donna », spiega Francesco Bonini, responsabile COSPE per l’America Latina.

Per raggiungere la casa di doña Julia dalla città di Santo Domingo, ci vogliono circa due ore: dopo highway 20, la strada diventa di terra e fango. Lungo i lati della carreggiata ci sono le case dei residenti, per gran parte in vendita perché sono sempre meno quelli che riescono a sopravvivere grazie ai frutti della terra. A comprarle sono famiglie benestanti che arrivano dalle città per passare le vacanze. Oppure gli intermediari, sconosciuti che approfittano della disperazione per acquistare le proprietà a basso costo e venderle alle aziende che vogliono i terreni su cui, altrimenti, non avrebbero alcun diritto. Tra queste c’è Energy & Palma, un’impresa del gruppo ecuadoriano La Fabril, che ha relazioni commerciali con multinazionali come Nestlé, Pepsi, Kellogg e General Mills alle quali la società civile ecuadoriana e alcune organizzazioni per la tutela dell’ambiente hanno chiesto di sospendere gli acquisti dall’azienda accusata di violare i diritti umani. La pratica di acquisto di terreni tramite gli intermediari, già diffusa agli inizi degli anni duemila, ha trasformato l’Ecuador nel secondo produttore dell’America Latina e il quinto nel mondo, di palma da olio, molto richiesto sul mercato perché utilizzato per l’industria alimentare, dei cosmetici e come bio-combustibile.

Doña Julia, però, al contrario della maggior parte dei vicini, non ha venduto la sua terra. Così oggi grazie alla coltivazione del cacao locale mantiene la famiglia e non vede la sua dignità violata ogni giorno. In più ha ridato un lavoro al marito che, dopo un incidente avvenuto quando faceva l’autotrasportatore per un’azienda produttrice di olio di palma, era rimasto senza occupazione. «Il reddito che un agricoltore ricava dalla sua terra se ha gli strumenti e le conoscenze per coltivarla è più sicuro rispetto al guadagno di chi lavora nelle piantagioni. Per questo è fondamentale offrire sostegno e formazione agli abitanti delle comunità che sono i legittimi proprietari della terra in cui vivono», conclude Bonini.

Come dimostrano i dati dell’Istituto Nazionale di Statistica e Censimento Inec, nella provincia di Esmeraldas, dove c’è il 40 per cento delle piantagioni di palma da olio di tutto l’Ecuador, il 72,2 per cento della popolazione non ha i mezzi per soddisfare le esigenze essenziali per condurre una vita dignitosa. Un terzo degli abitanti vive in condizioni di povertà estrema. Perché le imprese produttrici di palma da olio non rispettano i diritti dei lavoratori e sfruttano le risorse delle comunità senza generare beneficio.

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