ITALIANA. SKAM ITALIA, UNA SERIE SULLE “NUOVE GENERAZIONI” E IL FUTURO

di FLAVIA FINI

Le “Seconde generazioni” sono spesso rappresentate in maniera stereotipata

Scrittrice, sociologa e tra le fondatrici dei Giovani Musulmani d’Italia, Sumaya Abdel Qader è stata consigliera comunale di Milano fino all’ottobre 2021. Fra il 2019 e il 2020 ha lavorato come consulente alla sceneggiatura alla quarta serie di Skam Italia. Diretta dal regista Ludovico Bessegato, Skam Italia – remake dell’omonima webserie norvegese – parla di adolescenti, delle loro relazioni e problematiche, toccando anche tematiche importanti che fanno riflettere sull’identità di genere, su razzismo e sessismo. Le cinque stagioni (l’ultima è in uscita nel 2022) sono state prodotte da Cross-Productions-Timvision e sono visibili su Netflix e Timvision.

Parlaci di Skam Italia: da dove nasce e di cosa ti sei occupata principalmente all’interno della serie?
La serie Skam nasce in Norvegia e, successivamente, è stata riprodotta in vari Paesi europei (Francia, Belgio, Paesi Bassi, Spagna, n.d.r.) e negli Stati Uniti con personaggi e storie proprie anche se accomunate da un’ispirazione narrativa comune. Nella serie italiana ogni stagione ha come protagonisti uno o due ragazzi o ragazze, amici fra di loro, che frequentano lo stesso liceo di Roma. Nello specifico, io sono stata chiamata come consulente della quarta stagione perché la protagonista di questa stagione è Sana, una ragazza musulmana italo-tunisina, e mi sono occupata, insieme a Ludovico Bessegato e Alice Urciuolo, di scrivere il suo personaggio e di strutturare tutte le scene in cui è presente. Non solo questo, però: ho cercato anche di dare supporto nel ricostruire gli ambienti e di lavorare a fianco di Beatrice Bruschi – l’interprete di Sana — per rendere il suo ruolo il più realistico possibile attraverso un lavoro sui movimenti, sulla lettura del Corano e su come indossare il velo.

Com’è stato il lavoro di sceneggiatura? E cosa rappresenta il personaggio di Sana?

È stato un lavoro molto bello e stimolante ma anche intenso perché ci abbiamo lavorato per più di un anno. Un anno fatto di focus group con giovani musulmani e non, portando sia il regista che l’altra sceneggiatrice a conoscere questa realtà durante le attività, gli incontri ricreativi o in moschea, affinché si calassero il più possibile non solo nel personaggio di Sana ma anche nel suo mondo. Nella serie Sana rappresenta una cosiddetta “seconda generazione italiana” (nata e cresciuta in Italia) e quindi è stato fondamentale conoscere quel mondo.

La serie è stata pensata anche con uno scopo educativo?

Sì, Skam Italia è stata pensata con uno scopo educativo. Questo perché una delle condizioni per poter produrre la serie è quella di attenersi allo spirito della versione norvegese, che include l’impegno a lavorare sul tema degli stereotipi e dei pregiudizi. La serie pilota norvegese è infatti uscita sulla TV pubblica proprio perché lo Stato ne ha riconosciuto il valore e l’importante intento educativo, trattando di temi quali le problematiche legate all’adolescenza, la pluralità, etc. Questo riconoscimento fondamentale purtroppo in Italia non è avvenuto proprio a causa di alcune tematiche toccate dalla serie come quella dell’omosessualità.

A chi parla la serie Skam?

La serie nasce come un teen drama e quindi nella trasposizione italiana ha mantenuto lo stesso profilo dell’originale che aveva l’obiettivo di includere come pubblico principale gli adolescenti. Tra i giovani la serie è conosciutissima.

Skam è una delle poche serie che rappresenta una realtà italiana plurale. In Italia, infatti, il tema delle cosiddette “seconde generazioni” sembra essere sottorappresentato nei media, nelle serie tv e nel cinema.  Tu cosa ne pensi?

Le “seconde generazioni” non sono solo sottorappresentate ma, quando rappresentate, lo sono spesso in maniera stereotipata. Nel cinema e nella televisione la presenza della pluralità è penalizzata in tutti i suoi aspetti, a partire dall’orientamento sessuale per passare poi alle questioni legate all’immigrazione e, in generale, alle varie identità di persone con nazionalità diverse. L’“immigrato” infatti nei film e nelle serie tv è sempre lo spacciatore, il terrorista o la badante: in poche parole, viene sempre e soltanto collegato a quel tipo di immaginario che esiste, ma che non è l’unico. Basti pensare che l’Italia ancora non riconosce neanche la presenza dei cosiddetti “nuovi italiani”, ovvero i figli di immigrati che oggi sono persone che lavorano, che hanno delle competenze specifiche. Nonostante questo, ci sono solo pochissimi casi sporadici che si contano sulla punta delle dita di “nuovi italiani” che lavorano come presentatori/trici, o come conduttori/trici del telegiornale in televisione. In altri Paesi questa cosa è stata superata da
tempo. Adesso le cose stanno un po’ cambiando: stanno iniziando a nascere delle serie tv con intrecci nuovi, meno stereotipati e che danno onore e dignità a questi personaggi che rappresentano la pluralità italiana. Un esempio di questo è la serie Zero uscita nel 2021.

Quali passi sono necessari affinché ci sia una maggiore pluralità in Italia?

Ovviamente è necessario fare un grandissimo lavoro a livello culturale. Innanzitutto, per esempio nell’ambito cinematografico, cominciando anche ad avere attori e attrici di origini altre, che facciano ruoli “normali”: non è che se una ragazza è nera deve far sempre la parte dell’immigrata e basta. Sarà figlia di immigrati però può essere dottoressa, può essere poliziotta, avvocata, etc., una dimensione che nella realtà di tutti i giorni esiste già ma che non vediamo se non ridotta ai soliti cliché. Banalmente, già facendo questo passo l’immaginario cambia. Purtroppo, negli ultimi anni l’Italia è regredita molto sul tema dell’immigrazione perché c’è stata una guerra politica che ha spostato lo sguardo delle persone e ha sviluppato paure e preoccupazioni legate a questo fenomeno. Inoltre, ha volutamente confuso la condizione del figlio dell’immigrato che è nato e cresciuto qua fin da bambino e che è quindi inserito, integrato, stabile, con un’immigrazione più precaria o addirittura con la condizione dei profughi e dei richiedenti asilo. Insomma, temi completamente diversi, lontani fra di loro e che necessitano di approcci completamente diversi.

 

Foto in copertina: Sumaya

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