LIBERTY MATTHYSE
di ANNA MELI
“Dobbiamo muovere i cuori e le menti delle persone”
Jack era un ragazzo apertamente gay, è stato violentato e pugnalato a morte il giorno del suo compleanno il 18 aprile 2021 a Mau-Mau, Nyanga East, in Sudafrica. Solo una settimana prima, Andile “Lulu” Ntuthela, altro membro della comunità gay, aveva subito la stessa tragica sorte. Sharon Cox, responsabile del servizio sanitario e di supporto del “Triangle Project”, ha affermato che ci sono stati sei omicidi di persone gay in due mesi in Sudafrica. Un’emergenza, quella sudafricana, non isolata nel continente. In gran parte del mondo, le persone Lgbtqia+ sono soggette a discriminazioni, violenze e abusi, ma in Africa il fenomeno è particolarmente grave: in almeno 4 paesi (Mauritania, Sudan, Nigeria e Somalia) esiste ancora la pena di morte. In altri 32 l’omosessualità è illegale e le pene vanno dai 2 ai 10 anni di carcere (cfr. rapporto Amnesty 2019 ndr).
In molti dei restanti paesi l’omosessualità è tollerata legalmente ma non culturalmente. Il tasso di suicidi nella comunità Lgbtqia+ è di circa il 10% in più rispetto all’Europa e al Nord America e circa due terzi di loro dicono di aver subito violenze. Le associazioni e gli attivisti Lgbtqia+ sono comunque numerosi, sebbene in alcuni stati, vivano continuamente sotto la minaccia di violenze ed aggressioni, come quelle tragiche recentemente subite da Jack e Lulu.
Ne è ben consapevole Liberty Matthyse, direttrice di “Gender Dynamix”, un’organizzazione non governativa con sede a Città del Capo fondata nel 2005 per promuovere J i diritti trans nell’Africa australe. “Gender Dynamix” è un’organizzazione transgender e trans specifica, il che significa che sia a livello di governance che a quello operativo, l’organizzazione è composta da circa il 60% di persone trans e altre di genere diverso. Con un team composto da circa 13 membri, l’organizzazione è cresciuta negli anni ed è diventata un punto di riferimento anche per altre associazioni di tutta la regione australe che vengono sostenute e rafforzate grazie ad un lavoro di rete: “Stiamo lavorando principalmente in 3 ambiti quello dell’assistenza sanitaria, della riforma legislativa e della lotta politico-culturale della rete dell’attivismo Lgbtqia+.”
La dolce espressione nel volto di Liberty e il suo sguardo aperto e accogliente non si oscura neppure quando racconta la sua storia personale. Nata e cresciuta in un piccolo Paese rurale del Sudafrica il percorso per la rivendicazione della propria identità è stato, come purtroppo spesso accade, lungo e doloroso: “Lo stigma sociale, la discriminazione e la violenza sono sempre stati un deterrente per me e molte persone trans che affermano la propria identità, rivendicando il proprio ruolo nella società. Quindi per me, ci è voluto un bel po’ prima che potessi affermarmi come la donna che sono oggi. Il coming out con la mia famiglia è avvenuto a 16 anni e ho vissuto sulla mia pelle lo stigma e l’oppressione all’interno della famiglia. Non riuscivano a capirmi né ad accettarmi come individuo, e per questo ho anche cercato di suicidarmi per sfuggire, ovviamente, al dolore…
Ho finito anche per dichiararmi di “genere non conforme”, per cercare di avere più sicurezza in quel momento, nel tentatiDINAMICA vo di evitare di rivendicare apertamente la mia identità di donna transgender. È stato un lungo percorso personale che è stato anche alla base della lotta che alla fine ho intrapreso nella società, anche se allora non sapevo ancora che sarebbe stata una lotta che avrei dovuto combattere anche per molti altri. Ma era una lotta che era necessaria per poter vivere con libertà, dignità e un senso di uguaglianza all’interno della società”. Ma c’è stato un momento in cui Liberty ha capito e ha deciso che questa non era solo una battaglia personale: “Sono stata una delle poche persone in grado di trovare una via d’uscita dalla città rurale, una città piuttosto povera in Sud Africa.
Ero all’Università e insieme ad una coppia di amici siamo stati cacciati da un pub da un gruppo di tre uomini dopo essere stati aggrediti verbalmente e fisicamente. Da allora ho detto basta: se non faccio qualcosa di concreto nella lotta per i diritti delle persone transgender, mi sono detta, nulla cambierà davvero. Ho quindi creato un’organizzazione all’interno dell’università chiamata “Gay Like You” con cui ho iniziato a combattere per i diritti delle persone transgender.
È stato il primo momento, credo, in cui ho assunto il ruolo di leadership nella lotta contro la transfobia, l’omofobia e la fobia queer più in generale. Dopo aver avviato questa esperienza, ho potuto partecipare a un gruppo interno all’Università, un’unità di trasformazione femminista chiamata “Unità per l’uguaglianza di genere”. Il suo compito era quello di affrontare questioni come le molestie sessuali, essere un punto di riferimento per gli studenti emarginati. Ho poi assunto un ruolo di leadership anche all’interno del sindacato studentesco e da allora non ho mai smesso di guidare le lotte per i diritti civili”.
Ancora oggi Liberty, all’età di 32 anni, si sente una ragazza di campagna. Figlia unica da genitore single, Liberty continua a essere molto legata alla sua città natale e alla sua famiglia, con la quale ha costruito un rapporto di amore sia pur con difficoltà e perseveranza: “Non mi vedo come una ragazza di città. Sono ancora molto legata al mio villaggio. Penso di aver navigato la mia vita nella realtà di ambedue gli spazi, rurale e urbano, così come penso di avere un rapporto molto più forte ora con la mia famiglia rispetto a quello che avevo anche prima dei 16 anni. Da allora siamo cresciuti fino a una grande dimostrazione di forza, comprensione, apprezzamento e amore reciproco”. Con la pandemia, la condizione delle persone transgender e in generale Lgbtqia+ si sono aggravate anche in Africa australe, come ovunque:
“La quarantena con familiari ostili porta le persone gay, lesbiche e transgender a essere più esposte alla violenza degli stessi familiari -ci aveva raccontato Sam Ndlovu dell’organizzazione “Treat” (Trans Research, Education, Advocacy & Training) in Zimbabwe- che spesso non accettano il loro orientamento sessuale. Molti lamentano gravi problemi per l’accesso ai servizi sanitari, anche per le cure ormonali o per assumere antiretrovirali.
A questo si aggiungono, in molti casi, la perdita di un alloggio e soprattutto del lavoro, spesso informale e precario. A questo si somma, inoltre, un aumento registrato dalle organizzazioni della società civile, di maltrattamenti da parte delle forze dell’ordine”. Tutti dati che Liberty ci conferma sottolineando come “il disagio mentale in contesti familiari ostili è stato davvero diffuso”. Ma come “Gender Dynamics”, hanno provato a rispondere a questi problemi a vari livelli, ci racconta: “Abbiamo messo a disposizione delle persone dei voucher-dati per rimanere in contatto online e fornito servizi specifici di protezione individuale alle persone più isolate.
Abbiamo anche dato dei buoni alimentari alle persone in difficoltà economica grave e realizzato tante azioni affinché le persone potessero semplicemente sopravvivere”. E adesso sono tante, secondo Liberty, le sfide che ci attendono sul fronte dei diritti civili nel periodo post pandemia: “Bisogna saper sfidare le complessità delle lotte che stiamo combattendo: penso che per quanto riguarda i diritti civili e le identità di genere per poter andare avanti in modo efficace e il più rapidamente possibile, sia necessario un approccio multidimensionale. Significa intervenire a livello istituzionale influendo sulle politiche da quelle religiose a quelle culturali, dalle politiche in genere a quelle sanitarie.
Dobbiamo lottare perché le nostre identità siano ridefinite e non relegate al disturbo psichico. Al tempo stesso, a livello culturale, si tratta di scavare nella conoscenza storica nel continente africano, e a far capire quanto le attuali leggi draconiane siano state importate dall’Occidente, nonché plasmate dalle opinioni religiose conservatrici e dalla medicina conservatrice.
Opinioni che hanno portato le persone a essere criminalizzate ed emarginate dalla legge, in vario modo. Allo stesso tempo dobbiamo essere in grado di parlare di altre questioni come gli altissimi livelli di disoccupazione e povertà e ciò che le alimenta”. Ma quanto e in che modo i movimenti internazionali di genere potrebbero aiutare le cause anche a livello nazionale o di area? “Per me, a livello internazionale parlare di diritti Lgbtqia+ nel contesto dei diritti umani è fondamentale e questo significa che dobbiamo assolutamente allargare lo sguardo e il senso sull’obiettivo di sviluppo sostenibile numero 5, quello dell’uguaglianza di genere. Dobbiamo allargare la concettualizzazione dell’uguaglianza di genere e comprendere i generi diversi.
L’uguaglianza di genere è molto più ampia e deve includere persone trans e di genere diverso, perché se non le integriamo, rischiamo di nuovo di creare altre esclusioni. Dobbiamo essere capaci di far muovere i cuori e le menti delle persone”. Alla fine della lunga intervista chiedo a Liberty se c’è un messaggio che vorrebbe inviare alle giovani generazioni, dopo tanti anni di lotte:
“Direi loro di lottare per avere una vita piena e appagante e che è importante affermare il proprio sé. Tuttavia, per essere davvero sé stessi e affermare la propria identità devono essere consapevoli del contesto in cui vivono e quindi dei rischi che corrono, per non esporsi ad una violenza che può costare loro la vita. Direi loro che se nell’affermazione di sé si sentono soli, devono sapere che questo non è vero. In ogni stato e territorio ci sono molte persone di diverso genere, trans, Lgbtqia+ e tante associazioni da contattare se sei in difficoltà e se hai bisogno di protezione o di una mano tesa.”
AFRICA ARCOBALENO?
In tutta l’Africa meridionale, le persone Lgbtqia+ rimangono vulnerabili all’omofobia, alla persecuzione e alla discriminazione a causa del loro orientamento sessuale e dell’identità di genere reale o percepita. In Malawi, Eswatini e Zimbabwe vi sono leggi che criminalizzano le relazioni omosessuali, con severe sanzioni legali e arresti documentati anche negli ultimi 3 anni. Le leggi, lo stigma e la discriminazione espongono le persone Lgbtqia+ a violenza e abusi a tutti i livelli, con un’incidenza che in Africa è ancora più alta rispetto a quella subita dalle stesse persone Lgbtqia+ in Nord America o in Europa. Inoltre lo stigma, la violenza, l’esclusione sociale ed economica e la discriminazione riducono la prevenzione e il trattamento dell’Hiv, in una regione con i più alti tassi di infezione al mondo. COSPE, grazie al progetto “Out and Proud: Lgbtqia+ uguaglianza e diritti in Africa meridionale”, co-finanziato dall’Unione Europea, lavora insieme una rete di organizzazioni della società civile in Africa Australe, non solo per migliorare la legislazione e l’ambiente non discriminatorio verso persone lesbiche, gay, transessuali e intersex e per sostenere e difendere i diritti delle persone Lgbtqia+ in Africa del sud, ma anche per tentare di cambiare la narrazione e renderla priva di stereotipi e discriminazioni. Per questo tra le varie iniziative ha lanciato un concorso per giornalisti e professionisti dei media, per realizzare reportage audio, video e scritti a tema Lgbtqia+.