CORAGGIOSA. STORIA DI UNA PICCOLA GUERRIERA DI PACE

MALALA YOUSAFZAI

Dal libro “Storia di Malala” di VIVIANA MAZZA

Questo libro è nato per raccontare la storia di una ragazza coraggiosa: Malala Yousafzai. Coraggiosa, perché non è facile difendere i tuoi diritti quando gli altri – più grandi, più forti, più prepotenti – la pensano diversamente. Malala ha alzato la voce per difendere ciò in cui credeva, non solo per se stessa, ma anche a nome delle altre ragazze, e l’ha fatto rischiando tutto: la sua stessa vita. Era il 9 ottobre 2012 quando le hanno sparato mentre andava a scuola nella valle di Swat, in Pakistan. Aveva quindici anni, e voleva semplicemente imparare. Ma c’erano persone che credevano che per le ragazze l’istruzione non fosse un diritto. Ho scritto di Malala prima nelle pagine del mio giornale, e ora in questo libro. Mi è stato utile il fatto di conoscere da vicino un Paese complesso e affascinante come il Pakistan, ma la storia di Malala tocca anche qualcosa di universale e profondo: parla direttamente a ciascuno di noi. Quando Malala era in ospedale centinaia di bambini e ragazzi di ogni età, religione, nazionalità le hanno mandato lettere e disegni colorati, aiutandola a trovare la forza per sopravvivere. Sei mesi dopo l’attentato è tornata a scuola in Inghilterra, mentre dal Pakistan giungevano nuove minacce di morte contro di lei. Ma ancora prima di uscire dall’ospedale, ha ricominciato a usare la sua voce, che oggi è più forte di prima, per promuovere il diritto all’istruzione e alla libertà di espressione. Questa storia non riguarda solo lei. Proprio in questo momento, tante altre Malala in Pakistan e in tutto il mondo cercano il coraggio di scommettere sui propri sogni e di lottare contro le ingiustizie.

GENNAIO 2009

Le pale dell’elicottero affettano l’aria. Il rumore si fa sempre più forte, sempre più forte, sempre più forte. Poi cominciano i colpi di mitragliatrice, e subito dopo vengono giù le bombe. Malala si sveglia di colpo. “Ancora questo brutto sogno” pensa, seduta nel letto, stordita. Da giorni non tornava a tormentarla. La verità, però, è che non sono solo sogni: anche a occhi aperti sente gli stessi rumori e la stessa ansia. Da mesi gli elicotteri continuano a sorvolare la sua casa. Dopo aver osservato per un attimo i ricchi ghirigori dorati della coperta color porpora, Malala si sdraia sul fianco destro, con le spalle alla finestra, e chiude gli occhi, cercando di riaddormentarsi al ritmo delle pale: se ascolta con attenzione, può capire quanti sono. Ma non è come contare le pecore. Non la aiuta a prendere sonno. La prima volta che gli elicotteri hanno sorvolato la città di Mingora, all’inizio della guerra, lei e i suoi fratellini Khushal e Atal, che hanno dieci e cinque anni, si sono nascosti sotto il letto. Un giorno i soldati hanno lanciato le caramelle da lassù, e hanno continuato a farlo per un po’. Così, ogni volta che i bambini del quartiere li sentivano arrivare, correvano in strada. Ma poi l’esercito deve aver finito le caramelle, perché ha continuato a sparare e basta. Malala sa che non cercano loro, che danno la caccia ai talebani nascosti tra i monti innevati. Ma sa anche che, se per sbaglio un missile mancasse l’obiettivo, potrebbe colpire casa sua e morirebbero tutti. Sul giornale poi scriverebbero: “Malala Yousafzai, undici anni, studentessa della scuola media, uccisa insieme ai fratellini, alla mamma e al papà”. Titolo: DANNI COLLATERALI. Ma gli elicotteri sono solo l’ultimo dei problemi che affliggono la sua adorata valle di Swat, nel Nord del Pakistan. Dalla fine del 2007 i talebani pachistani e l’esercito si combattono senza che l’uno abbia la meglio sull’altro. Ci sono dodici mila soldati, sono praticamente dappertutto a Mingora, hanno pure i carri armati. Si dice che i loro nemici siano solo tremila, eppure non riescono a stanarli. La gente ha paura, perché intanto i talebani impongono a tutta la popolazione i loro editti e i loro ordini. Spesso lo fanno attraverso volantini distribuiti per strada, come quando hanno messo fuorilegge la musica. Tutti i centri di musica, i venditori di cd e gli internet café sono informati che devono cambiare lavoro entro tre giorni e pentirsi delle cattive azioni commesse, altrimenti i loro negozi verranno fatti saltare in aria con una bomba. Al calare della notte i talebani parlano alla gente via radio. Usano un canale illegale. Solo qualche sera fa hanno annunciato: dal 15 gennaio, le ragazze non devono più andare a scuola. Altrimenti i loro guardiani e gli istituti scolastici saranno ritenuti responsabili. I talebani hanno già distrutto centocinquanta scuole nell’ultimo anno, solo perché erano frequentate da ragazze. Per la famiglia di Malala questa è una notizia doppiamente terribile: suo padre, Ziauddin Yousafzai, possiede una scuola femminile. Come faranno ad andare avanti? Per quattordici anni la scuola ha riempito la loro pancia, oltre che la loro anima. «Malala, la colazione è pronta!» È già mattina, dopo un’altra notte passata a contare le paure. Ad aspettarla ci sono le uova fritte, servite con da warro dodai, il pane piatto che a Swat è fatto spesso con la farina di riso. Finchè può, la mamma sembra determinata a nutrire per bene i suoi figli. Malala mangia, ma intanto pensa già con timore alla strada da percorrere per arrivare a scuola. Mancano ancora dodici giorni esatti al 15 gennaio, la scadenza dell’ultimatum dei talebani per la chiusura delle scuole, ma qualcuno potrebbe gettarle in faccia l’acido anche prima. Si dice che sia già successo a due bambine.

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La divisa della scuola è blu. Ha il colletto rotondo e il bordino bianco. Arriva fino al ginocchio e va indossata su un paio di pantaloni chiari. Se fa freddo, c’è anche un maglione rosso da mettere sopra. E, per ultimo, l’ampio scialle scuro, appoggiato sulla testa e avvolto intorno alle spalle. Come sempre, la mamma ha stirato la divisa e l’ha appesa in bella vista nella sua stanza. A Malala piace molto, tanto che, dopo colazione, sta per mettersela. Ma poi si ricorda che, stavolta, la preside ha chiesto di presentarsi con i vestiti normali, per non dare nell’occhio. E così, sceglie il suo abito preferito, rosa. Poi si mette sulle spalle lo zaino di Harry Potter e si incammina verso la scuola, che dista solo quindici minuti da casa. Mentre avanza con i sandali blu sull’asfalto della stradina, pensa che in tutto il mondo, a quell’ora del mattino, tante altre ragazzine stanno andando a scuola. Ma i talebani sostengono che le studentesse come lei andranno all’inferno.

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Molte delle compagne indossano abiti dai colori allegri, quel giorno. In classe c’è un’atmosfera così familiare… Ma all’assemblea del mattino la preside, la signora Aghala, raccomanda a tutte di mettersi abiti meno sgargianti, l’indomani. “Dimmi la verità, Malala. I talebani stanno per attaccare la scuola?” le chiede una bambina più piccola, Asmaa, trattenendo a fatica le lacrime. Malala non sa cosa rispondere. Sedici sedie su ventisette sono vuote. Tre delle sue migliori amiche sono già partite con le loro famiglie, si sono trasferite a Peshawar, Lahore e Rawalpindi, città più sicure, lontane da lì.

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Nonostante tutto Malala trova la forza di rispondere alla piccola Asmaa: “Stai tranquilla. Andrà tutto bene, se restiamo unite”. Ci vuole coraggio per restare, e anche se è poco più che una bambina, Malala sa già che non può permettersi di sembrare allarmata o spaventata. E poi il suo papà le ha dato il nome di una guerriera: Malalai di Maiwand, vissuta da quelle parti centocinquant’anni prima. […]

Malalai era la figlia di un pastore, aveva diciassette o forse diciotto anni e, proprio quando stava per sposarsi, gli inglesi invasero l’Afghanistan. Il padre di Malalai e il suo promesso sposo si arruolarono, e lei li seguì per curare i feriti e portare acqua e armi ai combattent1i. A un certo punto, mentre si scontravano in un posto chiamato Maiwand, uno dei portabandiera fu ucciso, e le truppe afghane stavano per perdere la speranza.

Fu allora che Malalai corse nel campo di battaglia, si tolse il velo che le copriva i capelli, ne fece una bandiera.

E cominciò a cantare:

Con una goccia del sangue

 del mio innamorato /versato per difendere la madrepatria / mi traccerò un puntino rosso sulla fronte/ e sarà di una bellezza tale / da far invidia alle rose del giardino.

La fierezza di Malalai fece arrossire di vergogna gli uomini che già si ritiravano, e li incoraggiò a continuare a lottare. Lei fu colpita e uccisa. Ma, grazie al suo gesto, il suo popolo vinse la battaglia. Anche Malala e le sue compagne spesso intonano quella canzone: è la prova che una ragazza coraggiosa può fare cose incredibili.

Photo: @Southbank Centre

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