Il linguaggio oggi è digitale. Non doveva dircelo una crisi

L’influencer e attore Edoardo Mecca parla della gestione sbagliata della scuola e del settore cultura. Ma non da ora

Edoardo Mecca è uno degli influencer più seguiti di questi tempi. Laureato al Dams di Torino, dal 2012 debutta sul web e successivamente approda sul piccolo schermo portando i suoi sketch e imitazioni. Alla sua produzione di intrattenimento affianca lavori che toccano tematiche quali il bullismo e la violenza di genere. Con più di quaranta date in giro per l’Italia, lo spettacolo “Avrei soltanto voluto” – di cui è creatore insieme a Simone Cutri – affronta proprio il fenomeno del cyberbullismo. Ambasciatore web dell’associazione Wequal e testimonial per Telefono Azzurro, collabora con COSPE al progetto “Conta su di me” sui discorsi d’odio. L’abbiamo incontrato per parlare insieme di scuola e del mondo digitale. 

 

Parlando di quest’ultimo periodo segnato dalla quarantena, secondo te come è stato gestito “il digitale” nella scuola? 

Credo che ci sia stato un errore epocale nella gestione del digitale nelle scuole. Tuttavia questa problematica non è di adesso: l’errore è stato non avvicinare le scuole al digitale già da prima, permettendo ai professori e agli allievi di “connettersi” con questo strumento dal vivo. Per questo motivo, in una situazione così improvvisa e imprevedibile come quella della pandemia, ci siamo ritrovati impreparati nell’utilizzo di questo strumento, con tutte le difficoltà che ne conseguono. In una società in cui il digitale è ormai una componente fondamentale, questa non doveva essere una soluzione di ripiego solamente in reazione alla pandemia, ma una soluzione correlata alla vita e al lavoro di tutti i giorni. 

 

Sono riaperte molte attività, ma ancora di scuola non se ne parla se non in termini confusi, come vedi questo atteggiamento? 

Non solo la scuola, ma direi in generale il mondo della cultura è stato messo in secondo piano. È indubbio che ci siano settori produttivi necessari per far andare avanti il paese, ma la sensazione è stata che la cultura fosse un problema ultimo. Per quanto riguarda la scuola, penso che il problema emerga non tanto sulla fine dell’anno scolastico – che forse non poteva che terminare in questo modo – quanto sulla ripartenza, su cui c’è un’incertezza generalizzata. Credo che sarebbe stato più costruttivo permettere ai ragazzi e alle ragazze di tornare a scuola almeno durante l’ultima settimana. In questo modo, si sarebbe potuto mandare un messaggio positivo sulla conclusione dell’anno e ci sarebbe stata una riflessione su quanto di buono e creativo è emerso durante questo periodo, così da cominciare al meglio l’anno scolastico a venire. 

 

Per quanto riguarda il futuro, quali sono le tue priorità? E quali le priorità per la scuola? 

A livello personale, la priorità è riprendere da dove mi ero fermato, portando in giro lo spettacolo “Avrei soltanto voluto”. Per quanto riguarda la scuola, mi auspico che ci sia un ridisegnamento di alcuni contenuti didattici che non possono più essere ignorati. Mi riferisco, ad esempio, alla comunicazione digitale, a nuove lingue e alla didattica dell’informatica. Il mondo va avanti in questa direzione, e i giovani lo sanno perché parla il loro linguaggio. E in una società che fa del linguaggio la sua colonna portante, i nuovi linguaggi non possono essere ignorati, perché in gioco c’è il sapere e la formazione culturale e umana delle nuove generazioni. 

 

di Flavia Fini

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