— L’agribusiness minaccia l’Amazzonia e, con lei, l’intero pianeta è a rischio
Lo scorso agosto le immagini dell’Amazzonia in fiamme hanno fatto il giro del mondo. Le più spettacolari e incisive sicuramente sono quelle rilanciate dall’astronauta italiano Luca Parmitano. I dati forniti dall’Istituto nazionale di ricerche spaziali (Inpe) – il cui direttore Ricardo Galvão è stato licenziato dal presidente brasiliano Jair Bolsonaro proprio per aver diffuso queste cifre – registrano un aumento dell’83% degli incendi rispetto al 2018. Si parla di 75mila incendi in tutto il Brasile, più di 39mila nelle zone coperte dall’Amazzonia. Dal 1988, il progetto Prodes in Brasile utilizza le immagini satellitari per tracciare la deforestazione nel bacino amazzonico del paese. Prodes è gestito dal National Institute of Space Research (Inpe) in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente (Mma) e l’Istituto brasiliano per l’ambiente e le risorse naturali rinnovabili (Ibama). Dal 2002, tutti i dati di Prodes sono disponibili liberamente online. I dati non lasciano dubbi sul fatto che ci troviamo di fronte a una situazione allarmante in Amazzonia.
Nel 2004 il governo federale aveva lanciato un piano di prevenzione e controllo della deforestazione. Quell’anno la deforestazione fece segnare 27.423 km². Tanto per capirci una dimensione superiore alla superficie della regione Lombardia. Da allora erano stati fatti numerosi passi in avanti grazie anche alle battaglie portate avanti da associazioni ecologiste e comunità indigene e la superficie deforestata si era attestata nel 2017 a 6947 Km2. Le pressioni delle compagnie agricole e l’amministrazione permissiva del presidente Jair Bolsonaro stanno rapidamente minando gli equilibri dell’area e rendendo vani i progressi compiuti dopo il 2004. Nel 2019 si è registrato un aumento della deforestazione: nei primi sette mesi dell’anno l’Amazzonia ha perso 9.762 metri quadri di foresta, un aumento del 29,5 per cento rispetto ai dodici mesi precedenti, secondo l’agenzia spaziale Inpe. Questo tasso di deforestazione equivale a perdere due campi da calcio al minuto. Un tasso che non è mai stato così alto da più di dieci anni. Abbiamo chiesto alla giornalista brasiliana Janaina Cesar di spiegarci meglio la situazione attuale.
La Cesar è una giornalista brasiliana che vive in Italia da 11 anni e collabora con diverse testate brasiliane (O Estado de S. Paulo, Opera Mundi, Projeto Colabora e IstoE) e italiane (L’Espresso). Come reporter ha uno sguardo particolarmente attento alle tematiche legate ai diritti dell’uomo e le sue inchieste cercano di denunciare i luoghi e le situazioni dove, per qualunque motivo, questi diritti vengono violati.
Perché la foresta brucia, e perché sta bruciando più degli anni passati?
Lo scorso 2 gennaio Bolsonaro nel suo programma settimanale in diretta su Facebook ha detto che gli incendi in Australia dimostrano che la situazione brasiliana non era tanto diversa e ha provocatoriamente affermato “Dov’è Macron adesso e la piccola Greta che dice?”. Ma la situazione in Australia è correlata direttamente con i cambiamenti climatici e con quanto è accaduto e continua ad accadere in Brasile. In Amazzonia, al contrario che in Australia, si è trattato di incendi criminali appiccati volontariamente per fare posto alle coltivazioni intensive, soprattutto di soia transgenica, di cui il Brasile è il primo produttore a livello mondiale. Così come assistiamo a delle vere e proprie occupazioni da parte di gruppi industriali minerari ed espropriazioni delle terre indigene, aree protette.
Qual è stata la reazione della popolazione brasiliana agli incendi?
Nonostante che le indagini abbiamo accertato che si è trattato di un’azione organizzata da un gruppo di appoggio a Bolsonaro, l’opinione pubblica rimane comunque molto divisa. Secondo le ricostruzioni degli inquirenti un centinaio tra fazenderos, taglialegna, politici locali avevano creato un gruppo whatsapp e si sono messi d’accordo per appiccare lo stesso giorno il fuoco in più punti della foresta. Hanno chiamato l’iniziativa il Dia du Fogo e hanno dichiarato che era una specie di omaggio a Bolsonaro.
Nel suo pezzo su l’Espresso del 29 dicembre 2019 ha raccontato di minacce ed incarcerazioni di attivisti? Qual è la situazione oggi?
Gli ambientalisti e le Ong sono nel mirino di questo governo brasiliano. Sono 4 i leader indigeni uccisi solo nell’ultimo mese dell’anno e ci sono state anche incarcerazioni arbitrarie e intimidatorie. Alcuni pompieri volontari nell’area di Parà appartenenti al Progetto Salute ed Allegria (Psa), sono stati accusati di essere responsabili degli incendi. Sono stati arrestati in piena notte, incarcerati e per 2 giorni senza sapere il perché e poi rasati e trattati come delinquenti per poi essere rilasciati 4 giorni dopo. La reazione delle Ong brasiliane minacciate e sotto tiro dal governo brasiliano non si è fatta attendere. Centinaia di attivisti, scienziati e leader indigeni hanno partecipato a “Amazon: Centro do Mundo”, una conferenza per parlare della tutela dell’Amazzonia, e riportarla al centro della lotta contro la crisi climatica. La settimana di incontri è stata organizzata all’interno dell’Amazzonia brasiliana, a Manolito, una comunità fluviale nella Terra do Meio, nel comune di Altamira, una delle parti dell’Amazzonia più colpite della deforestazione e dagli incendi, e una tra le più pericolose del paese: il tasso degli omicidi è il più alto del Brasile, paese che a sua volta ha già uno dei tassi più alti di tutto il mondo. La conferenza ha ribadito che l’Amazzonia non è solo il polmone del mondo ma è quello che resta del mondo. Mi sembra che se ne stiano accorgendo anche le imprese. Alcune multinazionali hanno deciso che non compreranno più prodotti che vengono da zone disboscate dell’Amazzonia. Il 3 dicembre il The Guardian ha riportato l’appello che 87 aziende e fondi hanno fatto a Bolsonaro di mettere fine al disboscamento tra cui Google e Microsoft. Noi consumatori e cittadini possiamo fare la nostra parte, chiedendo la tracciabilità dei prodotti”. Al termine di quella che è stata rinominata la “Cop della foresta” e realizzata dall’organizzazione ambientale più grande del Brasile, Isa (Instituto socioambiental), Alejandra Piazzolla, una studentessa colombiana e attivista di Extinction Rebellion a Bristol ha affermato “Ci rendiamo conto che l’Europa ha iniziato solo ora la sua lotta per salvare il clima, ma le comunità indigene lo fanno da 500 anni”. “Saremmo in una situazione ben peggiore se non avessero lottato per noi tutto questo tempo”. Le popolazioni indigene, i guardiani della foresta, ogni giorno si battono per proteggere l’Amazzonia nonostante le crescenti minacce da parte dei taglialegna illegali e in un clima sempre più violento. È importante restare informati su quello che sta accadendo in Brasile e sostenere le lotte degli attivisti.
Focus
COSPE IN AMAZZONIA
COSPE è con diversi progetti nelle zone amazzoniche di Bolivia e in Brasile, dove sostiene le popolazioni originarie, che si battono oggi in mezzo a mille difficoltà e pressioni per difendere la loro e la nostra Terra. La conservazione della foresta amazzonica è interconnessa con la sussistenza delle comunità tradizionali indigene e campesinas. Sono infatti proprio le famiglie dei produttori che dipendendo dalla conservazione dell’ecosistema, di fatto ne diventano i guardiani e difensori, organizzandosi, attraverso diverse modalità, per prevenirne la distruzione e favorire una gestione sostenibile. Noi lavoriamo accanto a loro: nel corso del 2020, grazie a una campagna e tante iniziative (tra cui l’organizzazione di cene vegetariane), raccoglieremo fondi per sostenere un progetto incentrato sulla produzione del miele realizzato dall’ Associazione dei Giovani Riforestatori di Riberalta (Ajora), nell’Amazzonia boliviana, con il contributo dell’Associazione Veneta dei Produttori Biologici e Biodinamici/AVeProBI. Racconteremo, inoltre, delle donne e dei popoli indigeni che continuano la battaglia di Chico Mendes nello stato brasiliano di ACRE, contro le politiche aggressive di Bolsonaro.
Per maggiori info: wwww.cospe.org
GUARDA LA STORY MAP https://4amazon.cospe.org
Intervista a Janaina Cesar, di Anna Meli