Hate speech: chi parla male pensa male

— I discorsi di odio cambiano e si espandono seminando veleno della nostra società. In campo professionisti dei media e della scuola per trovare un antidoto

Oggi del fenomeno dell’hate speech si parla molto, c’è attenzione mediatica e numerose iniziative di prevenzione e contrasto. Quando abbiamo iniziato noi a lavorarci, cinque anni fa, il clima era completamente diverso e oggi, un periodo in cui l’odio e la paura vengono alimentati coscientemente, serve un approccio differente. Noi siamo partiti dalla necessità di creare nuove narrazioni, di restituire complessità a temi come le migrazioni, che nel dibattito pubblico vengono affrontate con logiche di allarme e divisione. Obiettivo moltiplicare le voci e fornire prospettive originali e nuove chiavi di lettura. Professionisti di varie provenienze e settori hanno raccolto la sfida e a partire da una settimana di formazione londinese hanno realizzato inchieste, documentari, servizi fotografici raccontando realtà quotidiane delle vite di migranti e rifugiati in Europa, intrecciando storie migratorie di oggi e di ieri e indagando al di là del Mediterraneo le conseguenze delle politiche di esternalizzazione europee. Perché il primo antidoto contro i discorsi d’odio è un racconto veritiero e plurale, che dia voce diretta ai protagonisti.

L’avvento del digitale ha rivoluzionato il mondo dell’informazione: il lavoro del giornalista non finisce più con la pubblicazione del pezzo o del servizio, ma sempre di più è cruciale come quei contenuti verranno letti, condivisi e commentati in rete. Abbiamo realizzato quindi una ricerca per capire come l’odio online si sviluppa nei commenti agli articoli e indagare i modi in cui le testate si sono organizzate per gestire le community sul web, offrendo occasioni di confronto e formazione a livello europeo e nazionale.

Ma non è solo il mondo dei media che ha bisogno di ricorrere a contromisure per arginare i fenomeni di intolleranza in rete. Noi pensiamo che la responsabilità della diffusione dei discorsi d’odio in rete sia di ciascun utente: ognuno di noi è immerso in una vita i cui confini tra online e offline ormai sono totalmente sfumati ed è importante essere consapevoli che il virtuale è reale. Per questo abbiamo scelto di lavorare con il mondo educativo: crediamo fortemente nel ruolo della scuola come palestra di cittadinanza attiva, in cui è importante promuovere riflessioni vicine alla quotidianità dei ragazzi. Abbiamo promosso percorsi formativi per docenti ed educatori in tutta Italia, realizzato oltre 600 ore di laboratorio in varie città e cercato di dare strumenti e indicazioni pratiche in un manuale educativo.

Non si può andare dai ragazzi e spiegare a voce che cosa sono i discorsi d’odio, le parole entrano da una parte ed escono dall’altra. Per far capire che si tratta di un argomento complesso, è necessario far vivere loro delle esperienze, che li mettano in contatto con le proprie emozioni e con quelle degli altri. Lavorare sul tema del digitale con gli adolescenti significa prima di tutto ascoltare, senza cedere alla tentazione di salire in cattedra e fare prediche su quanto tempo i giovani spendano sul telefonino, pretendendo di sapere meglio di loro quali social network preferiscono, con quali giochi online si intrattengono, quali sono le app che usano… Di queste cose sono loro gli esperti. Noi adulti invece siamo, dovremmo essere, gli esperti di relazioni.  Siamo quelli che ci sono già passati, che hanno già sbagliato, che sono già andati per tentativi in questa cosa complicata che sono i rapporti umani. Quello che possiamo fare è lavorare insieme a loro per costruire un modo positivo, salutare per vivere Internet, utilizzando al meglio questo meraviglioso strumento di comunicazione.

di Alessia Giannoni

Il progetto – Cambiare le parole cambia il mondo

#Silence Hate. Changing words changes the world è un progetto europeo biennale partito ad inizio 2018 che coinvolge 9 organizzazioni in 6 paesi. In Italia il progetto è coordinato da COSPE, Amnesty International e Centro Zaffiria. è stato realizzato un media camp europeo a Londra di 5 giorni a cui hanno partecipato 30 creativi di diversi settori professionali (giornalisti, blogger, fotografi, video maker…) per creare prodotti mediatici che raccontino le migrazioni in Europa. Sono inoltre stati formati insegnanti, educatori, attivisti per promuovere percorsi didattici sul contrasto all’hate speech nelle scuole e in contesti informali. Laboratori nelle scuole secondarie sono finalizzati a promuovere un approccio critico alle informazioni che circolano online e a creare prodotti originali per promuovere un uso positivo di internet, attraverso diverse tecniche, dal video, alla narrazione, alla radio, alla poesia. Campagna online, eventi pubblici in ogni Paese e conferenza finale a Bruxelles a novembre 2019 contribuiranno alla diffusione dei prodotti e risultati ottenuti, disponibili su www.silencehate.eu

La testimonianza – Siamo tutti videomaker / Intervista a Andrea Salvadori di Steven Cesaretti

Andrea frequenta il liceo Copernico di Prato, è neo maggiorenne ed è uno fra i tanti ragazzi e ragazze che hanno deciso di partecipare ai laboratori pomeridiani del progetto “Silence Hate” e alla realizzazione di un video girato durante le giornate di autogestione del liceo. Andrea va in palestra, parla tre lingue, suona la chitarra, ha una sincera passione per la fotografia e il videomaking. 

I laboratori si sono tenuti in un periodo impegnativo dell’anno scolastico: “Non è stato facile, ma ho provato a seguirli tutti”. Il risultato è stato un’esperienza molto stimolante, “Ho fatto principalmente il cameraman, è stato molto interessante, mi sono messo alla prova”. Alla novità delle proposte presentate nei corsi, si è sommata la curiosità per una tematica così attuale: l’hate speech (discorso d’odio) dilaga nei social network, è un fenomeno di portata mondiale capace di insinuarsi a tutti i livelli dell’universo-internet, di seminare violenza xenofoba in tutte le varie declinazioni del “diverso”. Il tutto protetto dall’anonimato virtuale del cyber-spazio. Ciò non toglie che è compito di tutti noi sentirci coinvolti, dimensione che è stata ampiamente percepita dagli studenti e delle studentesse del liceo Copernico e da Andrea stesso: “Mi sentivo completamente catapultato in questa esperienza”. Anche lui è infatti uno dei tanti e tante vittime di discorso d’odio. Cattolico credente, Andrea, dopo aver caricato un ringraziamento su instagram rivolto ad alcune figure della sua religione, ha ricevuto un messaggio con il suo stesso testo riadattato però sotto forma blasfema. A questo episodio se ne sono aggiunti altri in cui si denigravano le sue esternazioni di fede nei social. L’offesa esplicita alla sua religione e alla sua persona continuava così a unirsi allo stupore e sbigottimento provato in questi momenti: “Non sono cose che dovrebbero succedere”, dice subito dopo, raccontandoci di aver bloccato i commenti e i suoi artefici. Poi aggiunge: “Ho deciso di reagire così perché volevo rimanere saldo, ma se queste offese fossero state rivolte a persone più deboli, magari si sarebbero rinchiuse, non avrebbero espresso la loro opinione, cambiando modo di pensare perché considerati diversi”. L’esperienza negativa che ha vissuto gli ha permesso di sviluppare un punto di vista particolarmente sensibile sul tema convinto che per contrastare l’odio online si debba partire non tanto dal “mezzo” ma dalle persone: “Il punto di partenza sta nell’educazione, nella formazione, nell’umanità di chi compie questo gesto di odio”.

Guarda il video del Liceo Copernico contro l’hate speech

 

Leggi tutti gli articoli di questo numero.

Hate speech: chi parla male pensa male
Torna su