— Nato a Milano due anni fa, il Festival si appresta a inaugurare la sua prossima edizione, nel maggio del 2019 con nuove tappe in altre città italiane e tante derate off. La manifestazione è organizzata da Reset-Diritti umani.
La mattina del 5 ottobre, quando è stata comunicata l’assegnazione del Premio Nobel per la Pace a Nadia Murad (insieme a Denis Mukwege) abbiamo guardato il manifesto del primo Festival dei Diritti Umani con legittima soddisfazione: tra le firme dei protagonisti di quella edizione c’era anche la sua. Anzi, il suo era un appello: aiutatemi a fermare il terrorismo. La sera prima del festival, a cena, Nadia Murad non ha mangiato quasi nulla, parlava con un filo di voce, a volte s sembrava persa nell’abisso dei suoi ricordi. La mattina dopo ci siamo trovati davanti lo stesso scricciolo della sera prima ma… quando ha raccontato la sua storia, l’uccisione dei suoi familiari, le violenze sessuali subite, in sala è calato un silenzio glaciale, partecipato. Gli studenti delle scuole superiori di Milano ascoltavano con gli occhi sbarrati, senza fiatare. Nadia Murad trasmetteva fisicamente la sua forza, inversamente proporzionale alla sua corporatura così minuta. Era come se portasse sulle sue spalle tutto il dolore del mondo.
Il Festival dei Diritti Umani nasce con l’intento di far conoscere a più persone possibili, ai giovani in particolare, questi drammi ma anche le straordinarie persone che lottano per ottenere i diritti. Possono dunque essere le vittime della schiavitù sessuale sul Monte Sinjar o i lavoratori sfruttati nei campi della Puglia; abbiamo incontrato le portavoci delle comunità indigene dell’Amazzonia e i giornalisti minacciati dalla mafia in Italia. I giovani, gli studenti, devono sapere che i diritti non sono conquistati una volta per sempre – e in questo periodo storico ce ne stiamo accorgendo – ma anche che non ci sono persone di serie B a cui concedere meno diritti di quelli garantiti ad altri. Perché se non c’è uguaglianza sui diritti ne soffre tutta la società. Le strade del Festival dei Diritti Umani e quelle di COSPE si sono intrecciate più volte: per esempio per testimoniare delle richieste di parità uomo/donna in Tunisia o la lotta che abbiamo intrapreso assieme per contrastare i discorsi d’odio. Con COSPE la sintonia è piena: sono i progetti concreti e la loro socializzazione a rendere possibile gli avanzamenti. Ogni giorno ci domandiamo se un Festival dei Diritti Umani è in grado di cambiare lo stato delle cose. È velleitario pensare che un film, un documentario, una mostra fotografica, una lectio magistralis possano cambiare il mondo. Troppo grandi le ingiustizie per correggerle così. Ma è anche vero che occorre provarci. Occorre cioè introdurre nel discorso pubblico semi di sensatezza, bisogna smentire le bugie e rintuzzare l’hate-speech, è utile far conoscere persone che con coraggio non piegano la testa ai soprusi, è necessario valorizzare gli esempi funzionanti di fratellanza e cooperazione. Ora più che mai.
Il Festival dei Diritti Umani sta lavorando alla prossima edizione che si terrà a maggio 2019. E, incrociando le dita, magari avremo modo di vederci anche fuori dalla sede tradizionale di Milano.
di Danilo de Biasio