Nel nostro paese un silenzio assordante

Intervista a Harold Hoxha di Aura Fico

In Albania la comunità Lgbtqia+ è ancora fortemente colpita da stereotipi e pregiudizi che spesso nascono proprio nel contesto familiare. Secondo i dati di Ndipoll del 2016 il 48% delle persone in Albania ritengono che lʼomosessualità sia una malattia e il 52% ritiene che in una famiglia “normale” non ci possa essere un bambino omossessuale. Sul lato uguaglianza di genere non va meglio: il 36% delle ragazze e delle donne albanesi (Un Women and Undp 2019) dice di aver subito violenza. Le cose peggiorano nelle zone rurali. In questo contesto COSPE lavora nella zona nord del paese con il progetto “Proud to Have Rights”, unʼiniziativa che ha lʼobiettivo di rafforzare le organizzazioni della società civile che promuovono lʼuguaglianza di genere e i diritti delle persone Lgbtqia+. Abbiamo parlato della situazione con Harold Hoxha attivista e case manager dello Streha, centro dedicato ad offrire rifugio e sostegno alle persone queer e vicino al “Proud to have rights”.

Può descrivere il contesto sociale e politico in Albania per quanto riguarda i diritti delle persone Lgbtqia+?

La comunità Lgbtqia+ in questo paese è ancora una delle più colpite dai pregiudizi, dai discorsi dʼodio online, dal bullismo nelle scuole, dalla mancanza di spazi sicuri sul posto di lavoro o nella comunità e dalla discriminazione, soprattutto nei confronti delle persone transgender. In molti casi fare coming out significa scontrarsi con varie forme di violenza, psicologica, emotiva e persino fisica, alcuni individui vengono rifiutati o abbandonati dalle loro famiglie, costretti a relazioni eterosessuali o sottoposti ad abusi solo per il fatto di essere sé stessi. Le persone Lgbtqia+ trovano unʼostilità simile nei luoghi di lavoro e negli ambienti sociali, il che rende quasi impossibile vivere in modo aperto e autentico. Nei rari casi in cui qualcuno può esprimere la propria identità senza paura o giudizio, significa che ha avuto la fortuna di nascere in una famiglia che lo sostiene, di trovare un posto di lavoro che lo accetta o di appartenere a una cerchia sociale inclusiva. A livello politico, cʼè un silenzio assordante quando si parla di diritti Lgbtqia+, quasi nessun personaggio pubblico ha mai espresso apertamente il proprio sostegno alla comunità. Nel frattempo, alcuni sono andati oltre il silenzio e hanno contribuito alla diffusione dellʼodio. Ricordo ancora quando un deputato ha definito le relazioni tra persone dello stesso sesso come un “crimine contro la vita e la natura”. Purtroppo, i media tradizionali hanno spesso avallato queste narrazioni, usando titoli omofobici per attirare unʼalta percentuale di clic. Una delle più recenti tempeste mediatiche si è basata sulla disinformazione basata su una presunta proposta di documento anagrafico che avrebbe eliminato le parole “madre” e “padre”. Sono atteggiamenti profondamente inquietanti che riflettono un ambiente tossico di odio e paura immeritati per le persone Lgbtqia+.

Parlaci di Streha, qual è lʼambiente sociale in cui si muove?

Dalla sua fondazione nel dicembre 2014, Streha (in italiano “riparo”, ndr) è stato un faro di speranza e resilienza per i giovani Lgbtqia+ in Albania. Nasce come il primo centro residenziale nellʼEuropa sudorientale non gestito dallo Stato, dedicato esclusivamente a offrire rifugio, sostegno e sicurezza alle persone Lgbtqia+. È un progetto pilota pionieristico, frutto della collaborazione tra due Ong, Aleanca Lgbt e Pro Lgbt, grazie agli sforzi incessanti di attivisti e alleati della comunità queer albanese. Streha rappresenta la prima risposta strutturata e istituzionale al clima ostile che continua a minacciare la vita e il benessere delle persone Lgbtqia+ nel Paese, la sua apertura ha rappresentato una pietra miliare nella lotta per i diritti delle persone Lgbtqia+ in Albania. Streha nasce a causa della dura e dolorosa realtà che le persone queer devono ancora affrontare in Albania: le storie di porte chiuse a chiave, di messaggi controllati e di crudeli rifiuti da parte dei membri della famiglia, sono fin troppo comuni. Queste situazioni sottolineano la necessità vitale di spazi come il nostro, rifugi sicuri dove i giovani Lgbtqia+ non solo sono protetti, ma anche visti, ascoltati e sostenuti.

Quali sfide sta affrontando la comunità Lgbtqia+ in Albania in questo momento storico?

Le sfide dei membri della comunità sono personali e uniche, ma condividono temi comuni: continuiamo a constatare lʼurgente necessità delle persone Lgbtqia+ di sentirsi al sicuro nella loro vita quotidiana, di sapere che il loro coming out non li esporrà alla violenza, allʼesclusione dalla società, o che non sarà negato loro un trattamento paritario negli ospedali e nei servizi pubblici. Tuttavia, nel mio lavoro ho notato una differenza significativa nelle esperienze delle persone Lgbtqia+ a seconda del luogo in cui vivono. I giovani che vivono in aree remote o rurali devono spesso affrontare un forte isolamento sociale oltre alla mancanza di accesso a informazioni accurate e la discriminazione allʼinterno delle istituzioni pubbliche. Queste barriere sistemiche li spingono spesso a cercare un trasferimento in città più grandi, insieme a un sostegno come un rifugio e unʼassistenza psicosociale. Nel frattempo, i giovani Lgbtqia+ delle aree urbane come Tirana tendono a concentrarsi maggiormente sulla ricerca di spazi sicuri per entrare in contatto con gli altri, partecipare a eventi comunitari e impegnarsi in iniziative che favoriscono lʼespressione e la visibilità di sé. Entrambe le realtà sono valide e testimoniano il più ampio divario sociale e la continua necessità di un supporto inclusivo e accessibile in tutto il Paese.

È vitale offrire rifugi sicuri per i giovani Lgbtqia+ che qui si sentono protetti, visti, ascoltati, sostenuti

Raccontaci qualcosa di te, perché ti sei interessato allʼattivismo?

La mia passione per lʼuguaglianza è iniziata nellʼinfanzia, quando ho osservato i ruoli di genere allʼinterno della mia famiglia che costringevano mia madre a occuparsi di tutte le faccende domestiche. Anche se allʼepoca non lo capivo, spesso esprimevo il mio pensiero su quanto mi sembrasse ingiusto, nonostante quasi tutti quelli che mi stavano intorno si opponessero, sostenuti da una mentalità patriarcale profondamente radicata. Sono sempre stato orientato verso una società in cui chiunque possa essere ciò che desidera, purché non calpesti i diritti degli altri. Mi è sempre sembrato assurdo che il genere potesse dettare ciò che si può o non si può fare nella vita, che lʼamore potesse essere proibito, che il proprio aspetto potesse “legittimare” la violenza, o che ad alcune persone venisse persino negato il diritto di essere semplicemente ciò che sono. Negli ultimi otto anni ho lavorato con vari ruoli (assistente sociale, facilitatore di workshorp, coordinatore di progetti) in organizzazioni della società civile, quattro dei quali con Streha, e ogni conversazione che ho avuto con persone appartenenti a comunità emarginate, condividendo le loro lotte e le ingiustizie che devono affrontare, ha solo rafforzato la mia determinazione ad alzare la voce e a sostenere il cambiamento nel mio Paese. È profondamente appagante per me essere parte di questo cambiamento.

 Leggi tutti gli articoli di questo numero

Facebook
Twitter
LinkedIn
Pinterest