Intervista a Taita Jesus Queta di Pamela Cioni
Ñagahngi a’i”, Io sono cofan”. È questa la prima frase che compare sul libro di grammatica che Taita Jesus Queta utilizza nelle varie scuole del municipio della Valle del Guamuez, nel basso Putumayo colombiano dove è insegnante e orientatore spirituale del popolo cofan.
Taita (che si potrebbe tradurre con maestro o guida) è un titolo che nelle comunità cofan viene assegnato a un membro che ha fatto un lungo percorso nella conoscenza della cultura ancestrale della popolazione a cui si appartiene e dopo aver ricevuto la “benedizione” di un Taita anziano. Jesus, parte avvantaggiato perché, discende direttamente dal Taita Querubin, morto lo scorso anno all’età di 103 anni, venerato in Putumayo quasi come Chiga (il dio dei cofan). Cinquanta anni e una buona parte della vita a cercare di trasmettere la storia, la cultura e i valori della sua gente alle nuove generazioni, abbiamo incontrato Jesus Queta in una piccola finca biologica gestita da Ana Queta anche a fini didattici, nel piccolo villaggio di Chiga Tuse: “Insegno da molti anni all’istituto di Santa Rosa, sono 9 scuole e conta circa 200 bambini e bambine. Per me è un lavoro bellissimo e molto importante. Insegno loro la lingua, che stiamo perdendo, e il valore della Natura che non solo ci circonda, ma che fa parte di noi. O meglio, cerco di fare loro capire che la Natura siamo noi, siamo una cosa sola”.
Alla base della vita cofan, e di molte popolazioni indigene c’è infatti questa totale compenetrazione tra essere umano, regno animale e Natura. La caccia e la pesca sono fatte per sopravvivere nel rispetto degli equilibri della foresta. Tutto il resto è sfruttamento, è offesa alla Madre Terra, è scempio. E di scempi la terra cofan ne ha visti molti negli ultimi anni.
“Gli ultimi 50 anni sono stati i più devastanti per questo territorio, quando ero piccolo ancora qui era tutta selva, tutta foresta, vivevamo nel rispetto delle nostre leggi e dei nostri valori. Poi è andato tutto veloce, sono arrivati sempre più coloni (cercatori d’oro, cacciatori di frodo, imprese petrolifere, miniere estrattive etc…) e abbiamo cominciato a perdere territori, a perdere le nostre usanze, la nostra identità”. Taita Jesus è una persona allegra che parla per metafore e racconta storie legate alla cosmogonia cofan. Attraverso quelle cerca di far arrivare agli studenti e alle studentesse anche questi concetti: il degrado portato dalle multinazionali, il tentativo di cancellare una popolazione a cominciare dal territorio e dalla lingua.
Uno dei suoi cavalli di battaglia è la storia della scoperta dell’acqua. Al tempo della creazione quando uomini e animali erano la stessa cosa, una famiglia scopre per prima l’albero dell’acqua. Un albero enorme da cui sgorgava acqua pulita, mentre sul resto della terra c’erano solo piccoli rigagnoli sporchi che gli altri animali si contendevano. Quando Dio (Chiga) si accorse che alcuni avevano scoperto il segreto dell’acqua li mise alla prova e volle capire se l’avrebbero condiviso con gli altri. Questo non accadde e chi aveva scoperto l’albero dell’acqua non svelò il segreto a nessuno, andando a bere e a fare il bagno di nascosto. Chiga li punì trasformandoli tutti in tartarughe e chiamò tutti gli altri animali perché buttassero giù l’albero e donassero acqua a tutta la Terra. Da quest’albero scaturirono i fiumi (nae in lingua cofan) e acqua pulita (tzac), il mare, dalle foglie nacquero le conchiglie e dai tronchi più grandi i pesci gatto. Un modo per raccontare come l’acqua e la natura debbano essere necessariamente beni comuni. L’egoismo delle tartarughe invece ricorda da vicino la prepotenza dei coloni e delle multinazionali che sfruttano le risorse della foresta amazzonica, escludendo le popolazioni locali dai loro benefici.
“Il problema è che molti anche al nostro interno, si stanno facendo corrompere dai soldi e dal potere. Molti vendono le terre, lasciano che le imprese entrino e distruggano tutto. Dove c’erano alberi adesso ci sono strade, autostrade. È molto doloroso per noi. Assistiamo ogni giorno a un cambiamento, in peggio. I fiumi e le sorgenti d’acqua sono avvelenati, la terra non è più coltivabile, la pesca e la caccia quasi impraticabili. E noi stiamo scomparendo”. L’unica speranza sono le nuove generazioni.
“Stiamo cercando di sensibilizzare, di educare, di insegnare il più possibile ai giovani che solo salvando la nostra terra, ci possiamo salvare e possiamo ancora vivere felici. Dobbiamo ricordare che siamo figli della Madre Terra. Siamo un tutt’uno e non possiamo maltrattarla. Dobbiamo difenderla. Per fortuna molti giovani ci seguono e ci aiutano: ci sono i guardiani del territorio per esempio. Giovani delle comunità che si uniscono e cercano di monitorare i confini, lo stato di salute dei territori ancestrali, la fauna, la biodiversità. Denunciando soprusi e invasioni”.
La resistenza di questa popolazione è importante e simbolica, anche se appare ancora come la lotta di Davide contro Golia. Per quanto numerosi, sono molto piccoli in confronto ai poteri e agli interessi economici che stanno sconvolgendo la fisionomia della foresta amazzonica, in Colombia e nel resto del Sudamerica. Eppure, rimane fondamentale. E Jesus insieme ad altri leader continua il suo lavoro anche creando alleanze e reti e facendo conoscere questa realtà anche al di fuori del Putumayo, per esempio, grazie al progetto “Sentinelle climatiche”, Jesus ha parlato anche ai ragazzi e alle ragazze delle scuole italiane che partecipano al progetto. Aprendo squarci di conoscenza e sensibilizzazione anche in giovani che vivono molto lontani da qui ma che non per questo possono ignorare quello che sta accadendo.
“È stato un incontro e uno scambio molto proficuo. Mi ha colpito molto la curiosità e l’interesse di questi ragazzi e ragazze che dall’altra parte dell’oceano ci chiedevano della nostra vita quotidiana, della nostra cultura, delle nostre tradizioni. Hanno voluto sapere anche alcune parole cofan. La nostra è una lingua molto difficile, spaventa molto perché è dura e piena di consonanti. Anche per questo la stiamo perdendo. I giovani non la sentono più parlare in famiglia e apprenderla può essere ostico. Ma che sia interessante anche per l’Italia, beh mi riempie di gioia. Negli incontri ho tentato di spiegare anche che per noi ogni percorso didattico è anche un percorso spirituale. Al centro di tutto c’è lo yahe (o ayahuasca) che porta a stati di coscienza superiori e che ti mettono in contatto e in connessione totale con la Natura e la Madre Terra. Lo yahe è l’unico e ultimo modo che abbiamo per rimanere quello che siamo”.