IL MARE DELLA VICINANZA

di Giuseppe Cederna

Il Mediterraneo è il mare della vicinanza. È l’acropoli di Atene, è mio padre che mi leggeva l’Odissea di Omero. È Kastellorizo, l’isola del film Mediterraneo: “italiani greci: mia faccia mia razza”, una faccia una razza. Da molti anni il Mediterraneo continua a chiamarmi.
È un maestro generoso e severo.
E qualche tempo fa mi ha regalato una lezione che non dimenticherò più.
Ero tornato a Samos con Alessandra, la mia compagna. Avevamo affittato un motorino e dopo un paio di giorni avremmo preso il traghetto per Patmos, l’isola dove Giovanni scrisse l’Apocalisse.
Prima del porto superiamo una lunga, lunghissima fila di corpi seduti per terra. Le donne hanno la testa coperta e lunghe gonne scure, gli uomini giacche e felpe un po’ troppo pesanti. Ci sono anche vecchi e molti bambini. Tre generazioni sedute compostamente a terra. Famiglie. Questo mi ha colpito. Chi sono, cosa aspettano? In quale isola li rincontreremo?
Poi improvvisamente: “migranti”! Samos e le altre isole del Dodecaneso sono vicinissime alla costa turca.
Migranti: quella parola letta, ascoltata, pronunciata migliaia di volte era davanti a me in carne e ossa. Aveva corpi, facce, vestiti. Era quella fila immobile sotto il sole.
Migranti.
Cosa ci fanno nella mia vacanza? Un attimo brevissimo di vergogna. Poi via, in motorino, verso la punta più remota dell’isola.
Migranti.
Te ne dimentichi, sei in vacanza. Il Mediterraneo: che meraviglia saltare di isola in isola, salpare, scendere a terra, imbarcarsi di nuovo. Un pomeriggio il nostro traghetto per Patmos sosta su una piccola isola intermedia, una specie di atollo mediterraneo, e una decina di migranti salgono a bordo. Sembrano contenti, quasi in vacanza anche loro. Vorresti parlarci ma sono sorvegliati da poliziotti in borghese. Non possono muoversi dai loro posti. Tu invece sbarchi. E te ne dimentichi di nuovo.
Passano i giorni, stiamo tornando a Samos e il traghetto attracca nella stessa isoletta dell’andata.
Laggiù, in fondo al porticciolo c’è una mandria scura di corpi. A colpi di fischietto i poliziotti li stanno raggruppando per imbarcarli sul traghetto. Scendiamo. Discosta dal gruppo, seduta sulla riva del mare, una giovane donna fuma una sigaretta.
Un velo beige le incornicia la fronte. Vorrei fumarmi una sigaretta con lei, parlarle, raccogliere la sua storia. Ma come si parla a una migrante?
Chiedo ad Alessandra di aiutarmi. Ci avviciniamo. Parla inglese. Si chiama Amal. Ha trentacinque anni, viene da Homs, Siria, un viaggio lungo e faticoso: un anno in un campo profughi in Libano, poi un difficile passaggio in Turchia e finalmente un gommone fino agli scogli di quest’isola.
Amal, le chiedo, non sei partita da sola vero?
No, ho con me le mie quattro figlie.
Dove andate?
Svezia, Finlandia.
Lo dice guardando l’orizzonte. Tranquilla, senza esitazioni, come se fosse la cosa più normale del mondo. E lo è. Sta facendo la cosa giusta per la sua famiglia. No, non ha bisogno di niente. Vuole solo arrivare in Europa, sulla terraferma. La sigaretta è finita. Lei guarda verso il molo e ci indica le figlie. Sorride ad Alessandra e si alza per raggiungerle…
Tra gli spintoni e le urla dei poliziotti i migranti salgono bordo e il traghetto riparte. Bambini che giocano e corrono tra le panche e coppie di migranti che si fotografano come turisti in crociera. Sembrano tutti contenti, tutti felici. Il viaggio prosegue, via dalla guerra, via dalla paura, via dalla Turchia. Ecco il porto di Samos e il traghetto che si prepara all’attracco. Ecco il ringhio dell’ancora e dei motori, l’acqua che ribolle, le corde bagnate che si tendono e la pancia del traghetto che si apre con un lamento e si stende sulla terra.
Si viene partoriti in mucchio, tutti insieme: scalette, sacco in spalla, abbronzature.
Ho appena posato il mio piede destro sul molo quando un poliziotto mi afferra per il braccio destro e mi spinge violentemente verso la fila dei migranti. Mi divincolo e gli urlo qualcosa, forse un insulto. Mi allontano. Dopo qualche metro mi fermo e mi volto a guardarli. Una ragazzina, gli stessi leggins rosa shocking di mia nipote Emma, mi guarda negli occhi. Improvvisamente mi vergogno della mia reazione ma non posso farci nulla. Ora li vedo meglio. Non siamo uguali. Io ho la mia carta di identità, la mia vacanza, la mia casa che mi aspettano. Loro si sono lasciati alle spalle una terra in fiamme.
Ce ne andiamo, ma io sento ancora la morsa del poliziotto. Il mare della vicinanza quel giorno mi ha insegnato la distanza. Mi ha riportato da questa parte del mare.
E da quel giorno ho sempre queste parole con me. Mi aiutano a sopportare la vergogna e il dolore di quella mano sul braccio. Sono di Warsan Shire, una poetessa inglese nata in Kenia. Ora vive e lavora a Londra. Lei sa cosa vuol dire lasciare la casa e il bucato in fiamme. La sua poesia si intitola Home, “casa”.

 

Mare Nostrum
Il Mediterraneo, i migranti, le migrazioni e il diritto alla mobilità sono al centro di tanti progetti e iniziative di COSPE. Tra queste anche un Festival “Mediterraneo Downtown” che è stato organizzato nella città di Prato insieme ad altre importanti realtà italiane come Amnesty International Italia, Libera contro le mafie e Legambiente Italia dal 2016 al 2019. Un contenitore culturale che ha portato alla ribalta, con talk, libri, concerti e tanti ospiti, proprio questi aspetti: “perché il Mediterraneo siamo noi e perché il Mediterraneo è quel centro nevralgico su cui riflettere, lavorare, raccontare” come diceva il direttore artistico dell’epoca Raffaele Palumbo. Ma il Mediterraneo nell’ultimo decennio è stato anche un enor¬me “cimitero a cielo aperto”, simbolo del fallimento di tutte le politiche migratorie italiane ed europee. Nel 2015 dopo le ennesime stragi e naufragi, è cominciato anche il nostro impegno con “SOS Mediterranee”, organizzazione marittima e umanitaria di cui siamo stati tra i primi fondatori e sostenitori. Grazie a quest’associazione dal 2015 la nave Aquarius ha compiuto operazioni di “Search and Rescue” (ricerca e salvataggio), che oggi si quan-tificano in 37mila vite salvate. Nel frattempo c’è stata la criminalizzazione delle ong, e le definizioni infamanti che qualificavano le navi provate di salvataggio come “taxi del mare”. Nonostante tutto comunque il nostro impegno su questo fronte è stato costante su questi temi sia in Italia che all’estero, con molteplici progetti. In Italia in particolare siamo nella Rete di “Accoglienza non Governativa” e lavoriamo nell’’inserimento lavorativo dei minori non accompagnati in progetti come “Inclusive zone”, “Grande”, per citare gli ultimi.
In Senegal, a partire dal 2019 sono attivi due progetti che lavorano proprio nelle zone di maggiore partenza dei migranti, e cioè le regioni meridionali e orientali come Ziguinchor, Tambacounda, Kolda, Sedhiou ma anche dalle zone periferiche di Dakar dove si concentra molta delle migrazione interna: “Nouvelles Perspective” e “Economie migranti”. Entrambi hanno l’obiettivo di migliorare l’informazione sui percorsi migratori, reinserire socialmente i cosiddetti migranti di ritorno e favorire l’occupabilità di giovani nel paese.

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