I popoli indigeni colombiani nella morsa mortale del virus e dei gruppi armati.
Putumayo è una piccola regione al sud della Colombia al confine con l’Ecuador e con il Perù, dove la Cordigliera delle Ande comincia a dividersi per dare luogo a tre catene nel suo slancio verso il nord. Gran parte di Putumayo tuttavia discende verso il bacino amazzonico accompagnando la geografia d’oltre confine di Perù e Ecuador. In questa regione di 330.000 abitanti, circa 50.000 sono indigeni originari appunto della Amazzonia, e molti di essi appartengono a popoli per cui il confine tra i tre stati non è mai esistito. In questa regione si susseguono negli ultimi tempi i reclami e le proteste dei popoli indigeni di fronte all’abbandono ed incuria in cui sono stati lasciati dallo stato davanti all’avanzare dell’epidemia causata dal Covid-19. Sebbene in Putumayo i casi siano ancora limitati, spaventa quello che succede nella vicina regione di Amazonas, dove la media dei contagi è 60 volte superiore a quella del resto del paese. Le condizioni sanitarie sono estremamente precarie e le infrastrutture di prevenzione e cura praticamente assenti. Particolarmente drammatica la situazione delle popolazioni indigene che sono state costrette a migrare negli ultimi decenni a causa dei conflitti armati, in particolare quello tra le Farc e l’esercito nazionale: la pressione sui territori indigeni è continuata anche dopo la firma dello storico accordo di pace del 2016. Lo scorso anno la Cidh (Commissione interamericana di diritti umani) ha richiesto allo stato colombiano di proteggere gli ultimi 2800 indigeni Siona per evitarne la scomparsa a causa delle pressioni di gruppi armati che avevano invaso il loro territorio per coltivare e commercializzare coca o per reclutare minori per la lavorazione e istallare mine antiuomo per evitare l’ingresso dell’esercito. Esistono inoltre gruppi armati dissidenti dalle Farc, vari gruppi legati al traffico e alla commercializzazione di coca e gruppi di sicari o mercenari assoldati da coloni, miniere illegali o proprietari terrieri che vogliono espellere gli indigeni per appropriarsi dei loro territori. La Onic, Organización Nacional de Indígenas de Colombia, indica che nel paese ci sono 102 popoli indigeni. L’ultimo censimento ha stabilito che il totale degli indigeni in Colombia era pari ad 1,9 milioni di abitanti, di questi 168.000 (64 popoli) si trovano in territori che fanno parte del bacino amazzonico colombiano che occupa il 40% della superficie del paese ed è composto dalle seguenti regioni: Amazonia, Guainia, Putumayo, Vichada, Guaviare, Meta, Vaupes. I popoli indigeni dell’Amazzonia sono proprietari di più della metà del territorio, circa 27 milioni di ettari su 50. Tuttavia è molto difficile per loro riuscire a controllare questo territorio e, la scarsa presenza delle istituzioni dello stato, fa in modo che molti interessi economici spingano per estromettere gli indigeni, utilizzando anche forme estremamente violente. Il Covid-19, sembra, a detta delle organizzazioni indigene, aggiungere un livello di minaccia in più alla possibilità di sopravvivenza di queste popolazioni. Sono in gioco vite umane, ma sono in gioco anche culture e conoscenze millenarie di come vivere e convivere in questo ambiente tanto diverso e tanto speciale che è l’Amazzonia. Il territorio in mano agli indigeni nell’Amazzonia colombiana è tra quelli meglio conservati di tutto il bacino. In gioco quindi c’è anche i destino di questo polmone di cui beneficia tutta l’umanità. Spegnere la vita degli indigeni dell’Amazzonia significa perdere in qualche modo dei guardiani che collaborano anche alla nostra sopravvivenza.
“Spegnere la vita degli indigeni dell’Amazzonia significa mettere a rischio la sopravvivenza di tutti”
Di Roberto Bensi | 18 maggio 2020