Non solo Covid-19

La nazione indigena boliviana è già vittima di epidemie, di un cattivo sistema sanitario e di isolamento istituzionale

Come già descritto dall’antropologo e biologo Jared Diamond nel libro “Armi, acciaio e malattie” del 1987, le malattie hanno da sempre svolto un ruolo drammaticamente importante nella decimazione d’intere popolazioni, tragedia, per esempio, che ha accompagnato l’epoca del colonialismo. Il coronavirus non è un’eccezione e, oltre alle innumerevoli morti in vari paesi del mondo, minaccia gravemente le popolazioni indigene del pianeta, più vulnerabili rispetto ad altre fasce di popolazione, perché non possono accedere a servizi di salute adeguati, non hanno accesso né a informazioni né a metodi di prevenzione e, spesso, per via di situazioni sanitarie pregresse hanno un sistema immunitario già gravemente compromesso. Ricordiamo che secondo dati delle Nazioni Unite più del 50% di indigeni della regione sud americana, sopra i 35 anni, soffre di diabete di tipo 2, inoltre ci sono alti tassi di mortalità materna, moltissimi casi di Hiv/Aids e diverse altre malattie. In Bolivia esistono 37 popoli indigeni riconosciuti ufficialmente e il 40,6% della popolazione boliviana si riconosce come parte di un popolo o nazione indigena. Le varie comunità si dividono tra le alte montagne delle Ande, le valli interandine, i boschi del Chaco e le ampie foreste dell’Amazzonia. La maggior parte hanno contatti con altre comunità e le città, mentre ancora un piccolo numero di queste non ha ancora contatti con il resto del mondo e vive in forma nomade spostandosi soprattutto nella zona amazzonica tra i vari paesi che condividono questa sconfinata foresta. Alla luce dell’emergenza Covid-19, le organizzazioni indigene, soprattutto della zona Orientale che include l’Amazzonia, hanno preso delle misure preventive. Le comunità dell’Amazzonia sud, Chiquitania e Chaco hanno adottato di base tre azioni parallele alla quarantena stabilita dallo Stato boliviano: evitare l’ingresso e l’uscita di persone dalle singole comunità; garantire appoggio medico a chi è arrivato dalle città; delegare a una persona o un gruppo di persone l’acquisto e fornitura di beni di prima necessità e alimenti al di fuori delle comunità. Queste misure adottate a livello statale e comunitario però stanno creando anche problemi collaterali per la maggior parte delle popolazioni indigene, in particolare quelle amazzoniche. La distanza, la quarantena, l’inaccessibilità e l’isolamento di molte comunità non permettono in queste settimane neppure l’ingresso di personale medico e medicine. Stesso problema con le derrate alimentari. In quasi tutte le comunità esistono centri di salute, ma a mancare è il personale medico e quasi tutte le medicine a partire dalle aspirine. Molte volte per curare gravi malattie gastro intestinali (dovute alla mancanza di acqua potabile) o del dengue, malaria ecc. si fa ricorso alla medicina tradizionale e solo qualche volta si riesce a raggiungere telefonicamente un medico. Ci sono luoghi, come il Parco nazionale Isidoro Secure, in cui, per riuscire ad approvvigionarsi di medicine di base, ci vogliono 3 o 4 giorni di canoa.

RICETTARIO. Tutte le erbe che tengono lontano le malattie 

Un ricettario di 38 farmaci tradizionali, contro la tosse, il raffreddore, e altre malattie minori, da assumere sotto il controllo dei promotori di salute comunitari: non per combattere il Covid-19, ma per ridurre al minimo i contatti con i centri medici delle città, abbassando così i rischi di contagio. Anche in questo modo si difendono le popolazioni indigene dell’Amazzonia ai tempi del coronavirus. 

In questi mesi le richieste di aiuto da parte delle popolazioni indigene in Amazzonia sono state numerose e molti mezzi di comunicazione in tutto il mondo hanno dato voce a vari appelli e situazioni di emergenze dovute o meglio aggravate dall’attuale pandemia. Qui in Bolivia, tra vari appelli, impegni ed azioni per aiutare le comunità in difficoltà, mi ha colpito una notizia del tutto diversa dalle altre, un esempio concreto di resilienza delle comunità indigene dell’Amazzonia e di quanto possiamo imparare dal loro sapere ancestrale. Dal territorio indigeno multietnico dell’Amazzonia Sud in Bolivia è arrivata la notizia di una pubblicazione di un “Ricettario di medicina tradizionale” delle comunità indigene della zona, una risposta non al Covid-19, virus di recente scoperta che non incontra una soluzione medica tradizionale come nella medicina classica, ma una soluzione al problema dell’isolamento che non permette un contatto facile e giornaliero con le cliniche e centri medici delle comunità più isolate. Un ricettario medico quindi basato sulle conoscenze locali tramandate di generazione in generazione tra le comunità indigene amazzoniche della zona e che in base all’uso di risorse naturali locali della foresta sono presentati come rimedi per alcuni malesseri come tosse, raffreddore, problemi di stomaco, febbre, asma, ecc… Gli anziani e soprattutto gli sciamani continuano a tramandare oralmente le antiche conoscenze che svelano una relazione con la natura unica, un adattamento alla foresta che con il tempo si sta perdendo. Questi custodi della foresta conservano conoscenze antichissime in vari ambiti, ci presentano anche in queste tragiche circostanze una risposta al nostro modello di vita ben distinta da quelle che conosciamo, basata su una cosmologia andina e amazzonica dove l’uomo non è al centro del mondo ma ne fa parte e il suo sviluppo, salute e felicità dipendono da un rapporto di armonia e di reciprocità con tutte le altre specie.

Di Antonio Lopez y Royo | 24 aprile 2020

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