Migranti e rifugiati all’angolo

Diffa: migliaia di sfollati in campi profughi stretti tra Boko Haram, desertificazione e una crisi alimentare in arrivo.

 

Un’emergenza nell’emergenza quella che ha vissuto durante la fase Covid la regione del lago Ciad, teatro di una delle crisi umanitarie più gravi al mondo. Nonostante che dal 28 marzo il governo nigerino avesse provato ad adottare tutte le misure di contenimento legate alla pandemia da Covid-19, il proseguire delle violenze nel nord-ovest della Nigeria ha portato, solo ad aprile, altre 23.000 persone a fuggire in Niger e 19.000 nigerini a spostarsi all’interno del paese, secondo quanto riportato dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr). Si tratta principalmente di donne e bambini disperati ai quali è stato permesso di entrare in Niger nonostante la chiusura delle frontiere. Questo ultimo afflusso porta a 60mila il numero totale di persone fuggite dalla Nigeria o sfollate dall’aprile 2019. Un numero che si va ad aggiungere ai più di 200.000 tra rifugiati nigeriani, migranti e sfollati interni che già vivono nell’area di Diffa. Una crisi umanitaria emblematicamente drammatica in cui le persone vivono sotto la minaccia della desertificazione da un lato e del terrorismo islamista di Boko Haram dall’altra. Il lago Ciad, il quarto grande bacino di acqua dolce dell’Africa dopo i laghi Vittoria, Tanganica, Niassa, è da secoli fonte di ricchezza e sostentamento per gran parte della popolazione costiera, nonché meta di nomadi che vi conducevano mandrie di buoi, capre e cammelli. Negli ultimi 40 anni però la sua superficie si è ridotta di circa il 90%. Ad aver causato il prosciugamento di quello che è considerato il mare d’acqua dolce nel cuore del Sahel, sono stati soprattutto la costruzione di dighe sui fiumi immissari e i cambiamenti climatici, che negli ultimi anni hanno portato ad un’implacabile avanzata del deserto. Il terrorismo di matrice jihadista di Boko Haram ha approfittato di questa situazione di crisi per penetrare nella regione del lago ed espandere i confini del califfato in Africa occidentale. COSPE lavora a Diffa dal 2017 insieme ad altre Ong e alla Cooperazione Italiana per favorire la creazione di attività di produzione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli, e migliorare così le condizioni di vita di sfollati, rifugiati, e comunità ospitanti dell’area. Alternative Espace Citoyen, partner di COSPE, è un’associazione nigerina che dal 1994 opera per difendere e promuovere i diritti umani in particolare attraverso la sua stazione radio con sede a Niamey. Il direttore dell’associazione a Diffa, Abdou Marah Mamadou, cerca di far capire cosa ha significato vivere nei campi profughi in questi mesi difficili: “Migliaia di sfollati e rifugiati vivono in tende o rifugi costruiti con della paglia, gli spazi sono molto ridotti, quindi anche l’igiene non può essere assicurata. Solo in alcuni campi c’è l’acqua, ed è comunque insufficiente. Quando diciamo alle persone di lavarsi le mani, dove vanno a lavarsi le mani?”. Ma qual è la composizione attuale della popolazione migrante e rifugiata nell’area di Diffa? “Qui -continua Mamadou- ci sono maliani, nigeriani, ghanesi…Da quando è arrivato Boko Haram tutti sono usciti dalla Nigeria, ma molti erano “migranti stagionali”. Adesso anche chi era di passaggio è restato”.

“Sono più di 40.000 le persone rifugiate a Diffa solo nell’aprile 2020”

di Anna Meli 

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