Le bambine che combattono i draghi. Quelli veri.

Intervista alle Guerreras por la Amazonia di Elisa Aste

Tra betulle e olmi divampano fiamme. Non si tratta di un incendio ma di draghi sputafuoco. Gli abitanti di Lago Agrio nella provincia di Sucumbíos, in Ecuador, li chiamano “los Dragones del Imperio” (i draghi dell’impero). A guardarli, los mecheros, assomigliano a figure mitologiche, ma sono invece dispositivi utilizzati dall’industria petrolchimica destinati a bruciare il gas residuo in caso di sovrappressione dell’impianto. L’Amazzonia ecuadoriana diventa una brace, con circa 447 mecheros attivi che emettono ogni giorno tonnellate di CO2 nell’atmosfera. A contrastare il fuoco non può nulla nemmeno l’acqua, imbevuta con milioni di litri di sostanze tossiche.

Il decimo rapporto del registro provinciale emesso dall’organizzazione Udapt (Unión de Afectados por la Operación de Texaco), rivela che almeno 531 persone delle province petrolifere di Lago Agrio, Shushufindi, Sacha e Orellana sono affette da cancro. In particolare, le donne, che rappresentano il 73,8% dei casi, sono le più colpite dalle problematiche legate alle attività estrattive, con un’incidenza significativa di tumore al seno. Una situazione che degenera dal 1964, anno della scoperta di petrolio nella regione. Ebbene, quella che era stata definita “la nuova terra dei ricchi” è oggi un territorio segnato da conflitti socio-ambientali e sentenze esemplari.
A Lago Agrio, infatti la multinazionale petrolifera Exon-Texaco è stata accusata dalle popolazioni Siona, Siekopai, Cofanes, Waorani, Kichwas, Shuar e “campesinos” di aver deliberatamente riversato oltre 60 miliardi di litri di acqua tossica nella foresta pluviale amazzonica ecuadoriana, sversato più di 600 mila barili di petrolio e contaminato oltre 1000 chilometri di giungla con petrolio grezzo. La resistenza delle popolazioni originarie è arrivata fino alla Corte Costituzionale, ottenendo ben quattro sentenze ed una vittoria esemplare. Nel 2020 sono entrate in scena 9 tra bambine e preadolescenti, attiviste della generazione di cristallo, che hanno presentato una causa (o azione protettiva, come viene definita legalmente ndr) per eliminare la combustione di gas come pratica quotidiana.

Oggi, quelle bambine sono diventate riconosciute attiviste per la tutela dell’ambiente. Incontriamo Leonela Yasuní Moncayo Ordóñez, Dannya Sthefany Bravo Casigña, Denisse Mishelle Núñez Samaniego a casa loro; tra un’infanzia vissuta come tale e la lotta politica.

Leonela, cos’è un’azione protettiva?
Con l’associazione Udapt abbiamo presentato una causa contro le imprese petrolifere dello Stato ecuadoriano, persa in primo grado e poi vinta un anno più tardi. A questo punto, sono chiare le obbligazioni di tre ministeri in particolare: il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (energia y minas) per l’eliminazione dei mecheros, soprattutto quelli vicini alla popolazione; il Ministero della Salute, che ha l’obbligo di effettuare un censimento per evidenziare il numero di persone affette da cancro. Infine, il Ministero dell’Ambiente per uno studio sull’acqua, in particolare su quelle che definiamo piogge acide. Tutte queste obbligazioni non sono state adempiute.

Come proseguirà la vostra battaglia?
Noi siamo pronte a bussare alla porta delle Corti Internazionali.

Come vi organizzate?
Realizziamo varie riunioni e anche un boot camp che ci permette di aggiornarci sui dati e di valutare nuove proposte. In questi giorni stiamo lavorando a un manifesto che vogliamo presentare all’Assemblea Nazionale e, se possibile, anche al Presidente della Repubblica.

Tu non sei solo giovane, ma sei anche una femmina, come vivi il tuo essere attivista?
Essere giovani, essere femmine, ci rende, agli occhi degli altri, meno preparate, meno consapevoli. Come se stessimo giocando. L’anno scorso hanno lanciato un ordigno esplosivo davanti a casa mia per intimidirci, ditemi, questo è un gioco?

Non vi hanno assegnato un sistema di protezione dopo il fatto?
Abbiamo denunciato, ma le restrizioni che volevano applicare servivano più a farci tacere che a proteggerci. Abbiamo rinunciato.

Davanti a casa tua è evidente un tubo di trasporto del petrolio, verde, come la selva. Cosa significa per te quel tubo?
Sono cresciuta con quel tubo, è parte del nostro registro visivo, ma al contrario di altri genitori i miei non mi hanno mai permesso di avvicinarlo. È lì, so che c’è, ma non lo tocco, ma viviamo con la costante paura di un’esplosione.

Foto di Davide Costantino

Dannya, tu hai solamente 12 anni, cosa hai provato quando ti hanno chiamata attivista, la prima volta?
Avevo 7 anni, ma riuscii a convincere tutti di averne 8 per poter partecipare al programma. All’inizio, sinceramente, non capivo molto. Accompagnavo mia madre nel suo lavoro come operatrice della Udapt per i casi di cancro; la situazione mi rattristava, soprattutto perché mio padre è morto per questa malattia. Tuttavia, c’è stato un momento preciso in cui ho capito l’importanza di ciò che stavamo facendo. Con le mie compagne stavamo viaggiando verso Quito per esigere il rispetto della sentenza che stabilisce l’eliminazione dei mecheros. Una volta arrivate a Cascales, la polizia ci fece scendere per dei controlli di sicurezza. Ne seguirono degli scontri contro i manifestanti. Fu terribile.

Hai avuto paura?
No, ero furiosa. Com’è possibile che un intero squadrone di polizia, armato, si confronti con delle ragazzine? L’hanno fatto apposta, volevano spaventarci. Persino il presidente è intervenuto, dicendo che ci stavamo inventando tutto. Ebbene, lì ho capito che davamo fastidio per davvero.

E una volta arrivate a Quito?
Un’emozione unica; avevamo il sostegno di tantissime persone. Ci hanno chiesto foto, interviste, non me lo aspettavo.

Cosa ti dicono i/le compagni/e di scuola?
Ci sono poche persone con cui mi sento a mio agio nel parlare di questo aspetto della mia vita. Da quando temi quali la biodiversità e il cambiamento climatico sono entrati nel mio vocabolario, sono stata accusata di mentire o di essere manipolata, forse a causa della mia giovane età o perché, dove vivo, l’argomento è molto controverso. Guarda, abbiamo vinto sentenze, eppure, i mecheros sono ancora lì.
È complesso.

Come spiegheresti a scuola il valore dei Diritti Umani?
Ho compreso che abbiamo diritti ed obblighi. Se voglio bere acqua pulita, devo sapere dove buttare la spazzatura e me ne devono dare possibilità.

Come ti vedi tra 10 anni?
Mi vedo bellissima! A parte questo, mi vedo laureata in un indirizzo che sia di supporto alla lotta.

Foto di Davide Costantino

Denisse, tu hai iniziato questo percorso mentre tua mamma era ricoverata in ospedale. Raccontaci la tua esperienza.
La mia vita era come la campagna che stiamo portando avanti, Guerreras por la Amazonia. È stata una battaglia difficile, segnata non solo dalla mancanza di mia madre, ma anche dalle sfide economiche che abbiamo affrontato. Ammalarsi in queste terre costa molto. All’inizio del percorso di attivismo, abbiamo analizzato l’impatto negativo che i mecheros hanno sulla salute delle persone; lì ho potuto comprendere meglio quello che stava vivendo mia madre.

Sento uno strano odore, sono i mecheros?
Viviamo con un mecheros a 700 metri da casa e, a volte, l’odore diventa molto intenso, ma ormai ci siamo abituati. La Ministra dell’ambiente e della sicurezza energetica aveva promesso la riduzione dei mecheros, ma abbiamo constatato che, al contrario, sono aumentati anziché diminuire.

Senti di essere una attivista, oppure una attivista in formazione?
Sono una attivista, impegnata insieme alle  mie compagne nella salvaguardia dell’Amazzonia contro un governo corrotto.

Quale emozione provi più spesso?
Prima provavo paura, oggi provo coraggio. L’ho scoperto a Quito, durante le manifestazioni.

Cosa pensano i tuoi concittadini/e? 
Le persone del posto ci criticano spesso. Credono che stiamo ricevendo denaro in cambio del nostro impegno, ma non è così. È doloroso, mi piacerebbe che si informassero di più o che ci lasciassero spiegare.

Hai timore dell’esposizione mediatica?
No, credo che non convenga a nessuno fare del male a me o alla mia famiglia.

Come gestisci i tuoi social media?
I miei profili sono protetti, quindi non è possibile contattarmi senza il mio consenso. Inoltre, preferisco non divulgare le mie attività e sono molto attenta ai contenuti che condivido. Tuttavia, tramite le reti della Udapt siamo piuttosto riconoscibili. Preferisco mantenere un equilibrio e che quello rimanga il canale di comunicazione e divulgazione.

Se potessi dire qualcosa ai tuoi amici e amiche?
Cari e care, è il momento di unire le nostre forze e agire con determinazione per l’eliminazione dei mecheros, per un futuro migliore e perché lo dobbiamo alle nuove generazioni. Ogni piccolo sforzo conta. Con le nostre voci, stiamo costruendo un domani più sostenibile… andiamo avanti con lo stesso coraggio di sempre. Spero che questo messaggio vi motivi a unirvi alla lotta per la vita.

Grazie di cuore ragazze.

Le Guerreras por la Amazonia sono un gruppo di 9 giovani attiviste, oggi tra i 9 e i 19 anni, che con l’appoggio dell’associazione Udapt. Gridano a gran voce le ingiustizie che si stanno verificando in Amazzonia, ascoltiamole.

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