BOLIVIA. MARIEL VERNAZA. Racconto I Miti e Le Lingue Perdute

di ANTONIO LOPEZ Y ROYO

“Il programma “Eco delle parole” racconta attraverso cartoni animati i miti dei popoli indigeni”

Mariel Vernaza, è la direttrice del progetto audio visivo “Eco delle parole”. Nata a Panama, ha vissuto in molti paesi dell’America Latina impegnandosi ovunque per la difesa della diversità culturale. Padre panamense, madre boliviana, Mariel ha passato gran parte dell’infanzia nella regione amazzonica. Sempre in Bolivia ha lavorato poi nel settore dei mezzi di comunicazione lavorando a programmi culturali, andando a documentare tante realtà comunitarie del paese. “In questo percorso – racconta – ho capito che il paesaggio è un elemento determinante nella costruzione identitaria e per l’orizzonte di vita di molte comunità. Il concetto di nazione non ha la stessa forza della costruzione dell’essere umano come lo è il territorio, i legami ancestrali con i genitori e gli avi”.

“Eco delle parole” è un progetto originale e innovativo che è nato durante la pandemia come programma in streaming che raccontava attraverso cartoni animati i miti dei popoli indigeni in tredici diversi luoghi del continente, con un forte messaggio ambientale e con l’obiettivo di diffondere le leggende delle popolazioni indigene. Il programma si è avvalso della collaborazione dell’illustratore boliviano Yasser Kim e con i ricercatori della comunità Mosetén y Ts’iman. Abbiamo incontrato Mariel Vernaza per farci raccontare del progetto e per capire il ruolo della Natura e della donna in queste antiche culture e quanta influenza esse abbiano ancora oggi.

Nei miti e nelle leggende degli indigeni originari della regione quale è il ruolo o l’approccio ambientale in relazione all’essere umano?

Praticamente tutti i miti narrano la cosmogenesi dei popoli indigeni, i personaggi non sono divinità esterne al pianeta, ma piuttosto degli dei della natura che reggono i cicli naturali e i calendari dell’agricoltura. È grazie al loro potere divino che la specie umana esiste. L’individuo non è alieno ai cicli naturali. L’America india o Abya Yala, come molti l’hanno ribattezzata a partire dal concetto di decolonizzazione, è fortemente politeista e animista.

Con l’arrivo delle missioni religiose e le colonie, si è costruito un percorso di sincretismo pieno di simboli, codici unici o archetipici. Si è perso molto, però i popoli hanno resistito, sapendo perpetuare questi valori nella pratica quotidiana. Nei miti sono molto presenti la vita e la morte non come un fine in sé ma come un ciclo di continuità che si ripete. Nelle comunità andine, le montagne vengono chiamate Apu e si venerano per essere le guardiane della Ande: sono entità energetiche e la ritualità si trova anche nell’immaginario della gente delle città, che si danno appuntamento per venerare la mamita del Socavón nell’Oruro, o per challar la tierra (rito indigeno di reciprocità con la terra, un dare e avere con la natura, per esempio si chiede attraverso una offerta un buon raccolto), per fare una k’oa (rituale di benedizione per una casa o altri oggetti materiali) o per ringraziare la Pachamama (madre terra) prendendo una manciata di coca per ringraziare e rompere il gelo tra gli individui e stabilire una comunicazione fluida.

Potrebbe sinteticamente raccontarci di uno o più leggende e miti?

Nei miti dell’Amazzonia si dice che tutto è prestato e che tutto ha un padrone, il suo Jichi o Jerere. Si entra nella selva con una orazione sollecitando al padrone il permesso per poter cacciare, perché tutto ciò che la Natura offre è prestato e non si può abusare. Esistono luoghi sacri, che conservano una georeferenza legata ai miti, queste narrazioni danno origine ai nomi di montagna, fiume, al contesto naturale: la cultura dei popoli, è spesso custodita nelle parole che sono considerate sacre. Nei miti dei Mosetén, per esempio, l’anima si divide in 3 parti: l’Uñuñe (ombra), Kuiki (anima cuore) e Zanzi (principio della vita). Ognuna di queste parti presiede a uno dei diversi cicli della vita e della morte e ha una corrispondenza con gli elementi naturali (cielo, acqua e terra). Dentro ognuna di queste narrazioni esistono elementi quantistici, di etnoscienza e analogie che appartengono all’oralità di questi popoli ed è affascinante il forte messaggio che troviamo: la terra è un organismo vivente, un tessuto dove tutto è interconnesso.

Questi concetti si sono mantenuti conservati custoditi in alcuni casi per le barriere naturali, oggi sfortunatamente un altro tipo di colonizzazione arriva in Amazzonia, lo sfruttamento di idrocarburi, la deforestazione, le coltivazioni illegali di coca, le miniere illegali, progetti idroelettrici, l’assenza o la complicità dei governi che pongono a serio rischio queste popolazioni. I criminali fanno e disfanno in queste regioni, la tratta e il traffico e la violenza sulle donne e i bambini oltre alle sparizioni forzate, sono ben presenti. Dobbiamo essere consapevoli di quello che succede in tutte queste zone, non solo in Brasile dove è alta l’attenzione mediatica sulle politiche del presidente Bolsonaro ma anche in Bolivia per esempio.

Mi chiedo quanti miti si siano diluiti nel tempo, considerando che i popoli preispanici erano esperti nella trasmissione orale e in un patrimonio di simbolismi e narrazioni iconografiche.

Navigare in questi passaggi storici è stato difficile, perché sottomettere è stato anche nascondere ciò che erano i popoli, si parla molto di lingue vive. Quante lingue abbiamo perso in America? E, ora siamo consapevoli di tutto questo contesto storico? Siamo ancora responsabili o stiamo ignorando il fatto che dobbiamo partecipare in collaborazione con i popoli e le comunità al processo di rivitalizzazione delle loro lingue? Per me è una questione di vita o di morte. Vorrei citare ad esempio lo scrittore Beniano Homero Carvalho quando ha parlato della perdita del territorio come implicante non solo l’ecocidio ma anche il mitocidio, neologismo proposto da Carvalho in un articolo dopo i terribili incendi del 2019 nel Chaco e in Amazzonia. Il mito è interconnesso con tutti i saperi di una comunità, è cultura viva, dal modo di lavorare la fattoria, all’arte tessile, al rapporto con i materiali, al modo di cacciare, di pescare, alla costruzione di una casa, ai rituali, alle celebrazioni, ai lutti, all’interrelazione con i propri simili, ci sono così tante cose implicite.

I miti permettono alle comunità di rafforzarsi, di condividere le proprie conoscenze, di riconfigurarsi e di aprirsi al mondo. Nel caso delle donne, sono stati creati modelli imprenditoriali per commercializzare prodotti tessili, alimentari, cosmetologici ed erboristici. I miti sono importanti perché in assoluto ogni marchio ha una leggenda alle spalle e una ragion d’essere, in cui ci sono valori e un discorso sul prodotto o sul servizio.

Tutte queste iniziative, comprese le mie pubblicazioni e i miei programmi, cercano di sostenere lo sforzo e la resistenza delle comunità indigene e dei leader che lottano per il futuro, per i loro figli, per una vita dignitosa.

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