UTOPISTA. Tiziana Colluto. Visione Verde

di ROBERTO DE MEO

Tiziana Colluto è la presidente della Casa delle AgriCulture (sì, con la “u”) Tullia e Gino, con sede a Castiglione d’Otranto, in provincia di Lecce. L’associazione è attiva nella difesa  dell’agro- biodiversità, nelle pratiche di inclusione e nella sperimentazione di modelli inediti di restanza nei territori marginali. Opera dal 2012 – anno della prima edizione della Notte Verde – con gli obiettivi di ridare vita ai terreni abbandonati, ripopolare le campagne, generare economia sostenibile e rafforzare i vincoli di comunità.

Cominciamo dal nome: Tullia e Gino. Chi sono e che significato hanno avuto per l’associazione?

Tullia e Gino Girolomoni sono stati per noi una folgorazione, la risposta alle domande che noi – un gruppetto di giovani di paese – da tempo ci ponevamo in maniera assillante: che fare del nostro futuro, andare via o restare, ma restare come? Sin dall’adolescenza eravamo impegnati per la comunità, con raccolte fondi, organizzazione di concerti, animazione territoriale. Ma il problema di come progettare il nostro futuro rimaneva forte su un territorio che vedeva sparire sempre più posti di lavoro e sempre più giovani, con interi paesi spopolati e senza più servizi. Nel gennaio 2013 abbiamo preso un pulmino e in una quindicina di amici siamo andati a Isola del Piano, sulle colline marchigiane, a incontrare i figli di Tullia e Gino, i fondatori di “Alce Nero”, un modello di imprenditoria solidale e di successo creato trentacinque anni prima su un territorio che aveva gli stessi problemi del nostro. Dopo aver visto quello che avevano realizzato loro, non avevamo più alibi. Sulla via del ritorno nel pulmino regnava un silenzio irreale, ognuno pensava per sé, elaborando l’esperienza appena fatta. È stato così che anche noi abbiamo deciso di costruire qualcosa di nuovo, che aiutasse le persone a restare, offrendo posti di lavoro, che valorizzasse l’ambiente, con un modello di agricoltura dove i campi abbandonati venivano messi a coltivazione con metodi biologici, e che tutto questo aiutasse a ricreare quei vincoli di comunità che si andavano perdendo.

Quindi il vostro è molto di più che un progetto di produzione agricola?

Diciamo che realizzare un progetto di agricoltura di qualità, come avevamo visto, è stato il punto di partenza. Non avevamo soldi e quindi abbiamo iniziato facendoci dare in comodato d’uso dei terreni abbandonati. La terra era il mezzo per restare sul territorio e per creare una comunità. Ci siamo concentrati sulla selezione e la sperimentazione delle colture autoctone (cereali, ortaggi, legumi) tramandate da millenni e ormai quasi scomparse dal nostro patrimonio, bonificando terre abbandonate e maltrattate, praticando la semina e la raccolta collettiva. Oggi coltiviamo 15 ettari, parcellizzati sul territorio di Castiglione e dintorni. Ancora oggi ci chiediamo se la terra sia per noi il fine ultimo o il mezzo del processo che abbiamo innescato. O forse l’uno e l’altro insieme: praticare il bene comune, la solidarietà e l’uso consapevole delle risorse significa per noi costruire comunità sensibili, restituire significato ai luoghi e alle specificità locali. E ora, finalmente, la nostra visione inizia a divenire anche economicamente sostenibile, generando prospettive per il futuro.

Come vi siete organizzati per poter affrontare e risolvere queste sfide, molto diverse fra loro?

Dal 2019, cioè dall’apertura del mulino di comunità, ci siamo strutturati su due livelli: la Cooperativa, il braccio operativo, che segue la parte agricola, e l’Associazione, che sviluppa attività culturali e sociali. Due realtà giuridicamente diverse ma necessariamente interconnesse. Anche per statuto, ad esempio, abbiamo voluto che il presidente dell’Associazione rivesta anche il ruolo di vicepresidente della Cooperativa. La nostra è una struttura agile dove la distribuzione dei ruoli nasce dalla reale competenza di ciascuno: tra noi ci sono legali, contadini, artisti, giornalisti, comunicatori e ognuno dà il suo contributo secondo la propria professionalità.

Tu occupi un ruolo importante, di vertice, nell’Associazione e nella Cooperativa. In generale sono molte le donne impegnate con voi e, come donne, quale è lo specifico del contributo che apportano?

In un paese del Capo di Leuca c’è un’epigrafe sulla porta di un antico frantoio. Reca la data del 1789, anno della Rivoluzione francese. Dice: “Non spes lucri sed libertatis”. “Non con la speranza del guadagno, ma della libertà”. Ecco, le donne impegnate in “Casa delle Agriculture”, a tutti i livelli, hanno apportato questo contributo: non hanno semplicemente sostenuto il lavoro agricolo degli uomini dell’associazione e della cooperativa, ma hanno nutrito la consapevolezza su ciò che stiamo facendo, le hanno dato la profondità dello studio e della ricerca, hanno introdotto l’attenzione alla cura e alle relazioni, hanno coniato una nuova narrazione del nostro fare e, dunque, hanno creato coscienza civica attorno alle nostre azioni. Soprattutto, stanno coltivando da protagoniste la sfida più importante: educare bambini e adolescenti ai valori alti del rispetto della terra, dell’inclusione sociale, della pace, della militanza della speranza.

E così ha funzionato? Quali iniziative ha realizzato l’Associazione?

Tra le iniziative culturali, certamente l’organizzazione della “Notte Verde”, un evento che nasce in reazione alle tante “notti bianche” estive, che portano solo effetti devastanti sull’ambiente e niente vantaggi al tessuto sociale. La nostra “Notte Verde” è concentrata sui temi della valorizzazione delle campagne, si mettono a confronto produttori, appassionati e cittadini per discutere temi quali lo spopolamento dei borghi, la riforestazione, il riuso delle acque, la frammentazione fondiaria. Da noi vengono ospiti internazionali, anche COSPE ci ha portato personalità dall’Amazzonia, dall’Albania. Abbiamo un forte legame con artisti e attivisti internazionali che tramite i progetti “Confederacy of villages” e “Free Home University” risiedono ciclicamente a Castiglione. È diventata la manifestazione per l’ambiente più importante della Puglia. Sul piano sociale abbiamo avviato delle attività pedagogiche, che svolgiamo nell’Agriludoteca di Comunità, rivolte a bambini, anche con bisogni speciali. L’Agriludoteca ha sede nella ex scuola elementare di Castiglione, chiusa da anni a causa del calo delle nascite, costringendo le famiglie a iscrivere i figli nelle scuole dei Comuni limitrofi, creando così gravi problemi di disgregazione sociale.

Intanto proseguono anche le attività della Cooperativa…

La Cooperativa, dopo anni di attività, ha ora affrontato la sua sfida maggiore: chiudere il ciclo della produzione dei cereali in maniera biologica creando un “mulino di comunità” per i nostri prodotti e per quelli di terzi. Abbiamo avviato una raccolta fondi e in un mese abbiamo raccolto 37mila euro da donazioni private più 50mila dalla Regione Puglia e altri 15mila da Fondazione “Con il Sud”; inoltre come cooperativa abbiamo potuto accedere a un mutuo per la cifra restante. Con il mulino di comunità, oltre a dare lavoro stabile a quattro persone, abbiamo creato una comunità di contadini che partecipa insieme a noi all’acquisto collettivo dei semi biocertificati, aderisce a un patto di filiera con un preciso protocollo di produzione e vende a noi i cereali prodotti, perché noi siamo finora riusciti a garantirne l’acquisto a un prezzo triplo rispetto a quello fissato dalla borsa di Bologna. Oggi produciamo farine da grani antichi come il Cappelli, lo Strazzavisazz, il Saragolla, e poi Farro dicocco e monococco, l’Orzo Nudo, la Capiniura, il Maiorca e il Gentilrosso. Il mulino a pietra è l’unica alternativa per la produzione di farine di pregio e di gusto. È solo questo tipo di macinazione a permettere di conservare il germe, la parte più nobile del seme, consegnando farine meno fini, ma più ricche di vitamine, oli, enzimi e sali minerali. Avere un mulino con macine in pietra significa, dunque, garantire la lavorazione di qualità dei cereali antichi per ottenere farine sane. Se quel mulino, però, è di comunità, allora la sfida diventa doppia: significa dare a giovani contadini l’opportunità di reinventare dal basso, collettivamente, le sorti di un pezzo di territorio.

La sfida si può dire che sia stata vinta?

Sì, questa sfida è vinta, ma il lavoro da fare ancora è molto, ogni volta si pianta un nuovo seme. Il nostro nuovo progetto si chiama È fatto giorno (in omaggio a Rocco Scotellaro) ed è rivolto a 100 minori con iniziative culturali per sensibilizzare alla cura del territorio, alle buone pratiche agricole, alla lotta alle agromafie e alle ecomafie. Questa è la nostra prossima sfida.

Facebook
Twitter
LinkedIn
Pinterest