Essere donna di teatro. Intellettuale, femminista, cubana.

di NORAH HAMZE GUILART

Il teatro di questo secolo nel nostro Paese ha sia la verve femminile per l’intelligenza, le capacità creative e organizzative, sia la consapevolezza del carattere patriarcale che ha mantenuto la donna in posizione di subalternità. L’interconnessione a livello globale del movimento femminista ha poi accelerato i progressi nella conquista dei diritti delle donne; quindi il XXI secolo nel mondo occidentale deve essere considerato “il secolo delle donne”. I postulati femministi devono molto alla filosofa francese Simone de Beauvoir (19081986) con il saggio Il secondo sesso (1949), dove difende l’esistenza del diritto autonomo delle donne, trasgredendo il pensiero androcentrico che la relega a essere “l’altro” e dimostrando che “l’essere donna” è costruito a partire dalla visione escludente dell’uomo, radicata nella disuguaglianza e subordinazione del sesso femminile. Queste idee, così emancipatrici per l’epoca, hanno sostenuto molte teorie del femminismo e altre filosofie esistenzialiste contemporanee sul genere e il sesso. Per secoli il patriarcato come sistema sociale ha governato le relazioni interpersonali, radicate e giustificate dalle differenze biologiche tra uomini e donne. Tuttavia, con l’autonomia che acquisisce il movimento femminista, si sta articolando un pensiero molto più coerente fino a definire concetti come “genere” opposto a quello di “sesso” e in cui il patriarcato è visto come un sistema di genere, che consente di isolare gli attributi biologici da quelli sociali e che rivela la relazione di dominanza-sottomissione tra maschi e femmine, stabilita per perpetuare gli uomini al potere come gruppo sociale (Astelarra, 2005). Gli studi di genere aumentano e si rafforza il movimento femminista, sostenuto dal contributo scientifico delle scienze sociali sulla teoria del patriarcato come studio sistematico dei fattori che condizionano lo spazio sociale delle donne nell’evoluzione storica. Così, progressivamente, negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, è emerso un concetto più preciso riferito al “ruolo di genere”, relativo all’esposizione pubblica delle identità, che ha avuto un andamento diverso in Europa occidentale e negli Stati Uniti da quella dei Paesi latinoamericani, culturalmente segnati dalla colonizzazione spagnola, dal loro conservatorismo e dal machismo esacerbato (Astelarra, 2005). Dopo il trionfo della Rivoluzione cubana nel 1959, il femminismo ha subito un arresto, nonostante le trasformazioni intraprese con la rivoluzione stessa che toglievano le donne dalla reclusione domestica per integrarle attivamente nella società. Il nuovo ordine sociale era contaminato dall’antifemminismo della sinistra latinoamericana, poiché le correnti radicali, socialiste e liberali che animano questo movimento differiscono per presupposti teorici e procedure politiche, sebbene coincidano nel riconoscere l’oppressione delle donne come una pratica abominevole. Grazie ad iniziative promosse dalla Federazione delle donne cubane (Fmc) sin dalla sua creazione nel 1960, il Paese ha realizzato grandi progressi per la posizione delle donne nello spazio pubblico e per la loro emancipazione. Tuttavia,
gli studi di genere come teoria fondamentale che promuove un cambiamento di paradigma dalla visione delle donne sui propri diritti alla realizzazione come bisogni e aspirazioni, sono ancora lontani dall’essere affermati in campo accademico, letterario e artistico. Un nuovo sguardo sulla condizione femminile ha cominciato a essere affrontato solo negli anni Novanta alla “Casa de las Américas”, Facoltà di Lettere dell’Università dell’Avana, con i ricercatori che hanno aderito a queste ricerche e con saggi e narrativa, dove spiccano figure in cui il tema della donna segna un terreno fertile e significativo. Quando sono stati creati i “Centri nazionali per lo Studio delle Donne” (1997) e l’“Educazione Sessuale” (1989), il ruolo del genere, come manifestazione pubblica di identità e individualità, ha occupato un posto privilegiato nelle ricerche e nelle azioni intorno alla necessità di riconoscimento del pluralismo dei diritti, del rispetto delle differenze, la lotta alla violenza fisica e psicologica contro le donne e ogni tipo di esclusione sociale. Il teatro occidentale – che per tradizione ha concepito i personaggi femminili dalla prospettiva maschile – si è quindi scontrato con il capovolgimento di un teatro esclusivamente androcentrico. Oggi molti gruppi si sforzano di recuperare l’immagine genuina delle donne in virtù dei loro interessi, per restituire loro la vera voce. In questa direzione, la critica teatrale femminista ha svolto un ruolo rivelatore nell’elaborazione dei testi e nella messa in scena. I primi decenni del XXI secolo aprono prospettive più ampie per gli studi di genere nella nostra nazione. Le campagne e le azioni di emancipazione che si stanno portando avanti nel mondo contro la violenza e in difesa dei diritti delle donne, insieme all’intensificarsi nel Paese degli studi sul femminismo, l’egemonia dell’interdisciplinarità e l’interconnessione globale, hanno rafforzato il discorso femminile nella creazione di testi teatrali e produzione teatrale e nella critica teatrale. Nella drammaturgia, nella regia, nella recitazione, nella produzione, nella ricerca e nella critica è cresciuta la presenza delle donne, che dalle loro parole fanno emergere l’identità femminile, smantellando il canone maschile imperante da tempo nella scena teatrale. Nel mio caso, non sono riuscita a staccarmi dalla mia essenza nell’esercizio della professione di drammaturga. Scegliere di fare l’attrice nel 1967 a Santiago de Cuba, all’età di 17 anni, senza aver ancora finito il liceo, opponendomi all’aspirazione di mio padre di farmi studiare Medicina o Giurisprudenza e alla mentalità dell’epoca che classificava le artiste come prostitute, è stata una sfida per una famiglia tradizionale come la mia. In quel contesto è stato fondamentale aver avuto l’appoggio di mia madre, una donna forte, che teneva le redini della casa e che contava nelle decisioni principali sui figli e sulla famiglia, capitanata da uomini — maschi induriti nel lavoro dei campi — ma allo stesso tempo sensibili e liberi da pregiudizi. È così che ho iniziato una carriera nel “Conjunto Dramático de Oriente”, portata avanti con passione giovanile che, con il passare del tempo, mi ha coinvolto nella regia teatrale e, successivamente, nella ricerca. Alcuni personaggi femminili fatti come attrice si sono basati sulla posizione di opposizione delle donne e sulla loro leadership di fronte alle ingiustizie sociali in generale. Solo “Historia de una mujer y un calzoncillo” (“Storia di una donna e una mutanda”) del 1990, scritto appositamente per me da Oscar Vázquez López, con una certa carica autoreferenziale, affronta criticamente la questione femminile e le sue contraddizioni nella società cubana del momento, attraverso il conflitto della donna che acquisisce responsabilità amministrative, deve prendersi cura della famiglia (figli piccoli, marito…) e affrontare le vicissitudini della vita quotidiana. Un testo che, pur giudicando il machismo e la subordinazione femminile nel corpo, nell’anima e nella voce della protagonista, si conclude solo con una “mezza liberazione” di fronte allo smarrimento e all’incertezza della stessa donna che “sbatte la porta”, ma continua ad essere trascinata dal legame con il coniuge e con la casa. Una visione un po’ compiacente dal punto di vista dell’autore, molto in sintonia con il contesto sociale cubano dell’epoca, la sua precarietà e
la mancanza di garanzie per intraprendere con successo una nuova vita da soli. Nella mia carriera professionale, motivata dall’empowerment femminile, sono stata coinvolta nella prima indagine di rigore investigativo con il saggio La donna e la sua performance nel teatro di Santiago, pubblicato in una compilation di autrici nel libro Lo scopo sociale del teatro. In questo periodo ho focalizzato la mia attenzione su tre temi inseriti nella mia “prassi”: il teatro dell’espressione popolare, la marginalità e le donne. Nel proporre la mia ricerca di dottorato, ho deciso di legare i tre aspetti che, peraltro, sono armonicamente interconnessi in uno spazio sociale di esclusione con una notevole presenza nei testi e nei codici di rappresentazione del teatro nazionale. Ho optato per tre autori e opere classiche della nostra drammaturgia degli anni Sessanta le cui prime rappresentazioni hanno segnato una pietra miliare nella scena cubana: “Santa Camila de La Habana Vieja” (1962) di José Ramón Brene, “El Premio Flaco” (1962) di Héctor Quintero e “María Antonia” (1967) di Eugenio Hernández Espinosa. Ho scelto i personaggi principali Camila, Iluminada Pacheco e María Antonia, con lo scopo di convalidare in loro la condizione di eroine classiche del nostro teatro, generate in un mondo marginale per definizione ed emarginato dai rapporti di potere; tre donne segnate dall’invisibilità come femmine sotto il peso di società ataviche e maschiliste. Da questo studio sostanziale con un approccio plurale deriva il libro Theatrical Heroines: Poetics and Marginality (2011). Non sono mai riuscita a dissociarmi da queste ossessioni, né nella mia vita personale né a teatro, dove il tema delle donne emerge oggi dalla regia, sulla violenza psicologica e fisica, sul femminicidio e su altre sfumature che accompagnano i comportamenti femminili nel nostro Paese. L’interruzione dovuta alla pandemia di Covid-19 dilata un processo che può essere arricchito. L’attesa, insieme agli eventi che spingono al progresso la nostra società, influenza un progetto creativo i cui sforzi possono essere convalidati solo nella realizzazione scenica. (…) I tempi nuovi fanno presagire l’apice del benessere che la donna merita e la gioia per l’autonomia conquistata nei secoli.

Articolo tratto dalla rivista culturale cubana “La Jiribilla”, con il consenso dell’autrice. Si può leggere qui l’originale: www.lajiribilla.cu/ser-mujer-desde-elteatro/

Foto copertina: Jorge Ramírez.

Essere donna di teatro. Intellettuale, femminista, cubana.
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