Il nostro futuro e la diversità bio-culturale

Bruschi: la difesa del patrimonio culturale indigeno non è romantica, è necessaria

 

Molta attenzione, in questi ultimi anni, è stata giustamente dedicata al problema dello sfruttamento incontrollato delle risorse forestali ed alla conseguente perdita di biodiversità, nella raggiunta consapevolezza che il futuro della Terra e quello della nostra specie sono strettamente dipendenti dalla conservazione della biosfera e della sua diversità. Un processo parallelo, anch’esso strettamente legato alla distruzione delle foreste, è la scomparsa delle culture tradizionali dei popoli indigeni. Una domanda legittima è chiedersi se il nostro interesse per la sopravvivenza dei popoli indigeni sia un po’ il frutto di una visione romantica, o espressione di qualcosa di cui dobbiamo preoccuparci seriamente. Possiamo vedere le comunità tradizionali come piccole piante che cercano, caparbiamente, di farsi spazio tra le molte crepe del sistema socio-economico imperante e la loro tenace sopravvivenza è la testimonianza della loro vitalità e volontà di resistenza. Dovremmo assicurare loro il nostro supporto poiché la loro capacità di affermarsi contro la storia ci fa sperare in un mondo alternativo, in cui sia possibile raggiungere una nuova consapevolezza del nostro posto all’interno dell’ecosistema e di stabilire un corretto rapporto nei confronti delle risorse naturali. Per decine di migliaia di anni evoluzione biologica ed evoluzione culturale sono rimaste in qualche modo intimamente legate, direi che la forza e il successo della specie umana si basano sulla diversità biologica esistente tra gli uomini ma anche sugli effetti, in termini di adattamento all’ambiente, della capacità di produrre e trasmettere cultura. Trasmettere cultura significa trasferire da un individuo ad un altro soluzioni di problemi e innovazioni. L’evoluzione culturale ha consentito ai nostri antenati di superare le limitazioni imposte dall’ambiente, di facilitare l’esplorazione di aree difficili dal punto di vista dell’adattamento biologico. Tutta questa conoscenza ha sempre trovato fondamento in un insieme di esperienze e saperi, peculiari di una determinata cultura, società e/o comunità, che si è accumulato e sviluppato, nel corso delle generazioni, all’interno di quella complessa rete di relazioni ecologiche ed evolutive che è l’ecosistema. Nella cultura Quichua di Pastaza, nell’Amazzonia equadoriana, tra l’uomo e l’ecosistema c’è una unione forte, nella misura in cui l’uomo trae beneficio dalla natura senza distruggerla: è il “sumac causana alpa”, la terra senza male. Questo rapporto della comunità con l’ambiente circostante non si caratterizza per il dominio dell’intorno e dei suoi abitanti, ma si riferisce alle conoscenze che la comunità ha accumulato col passare del tempo, nel corso dei centinaia, migliaia di anni sul territorio circostante e sulla vita della foresta. Una conoscenza fondamentale alla sussistenza delle comunità, che è al tempo stesso locale e fragile. È locale perché acquisita attraverso l’esperienza personale diretta, e trasmessa oralmente all’interno della comunità: il suo valore è in qualche modo dimostrato dall’importanza che essa riveste nella sussistenza giornaliera della comunità in tutte le sue componenti. È fragile proprio perché è locale, e molto specifica di un determinato ambiente. Quindi è una cultura che vive e muore entro la comunità che la sostiene e da cui al tempo stesso la comunità è sostenuta. Conservare una testimonianza di questi sistemi di conoscenza è per noi indispensabile, allo stesso modo con cui conserviamo il patrimonio genetico di una specie coltivata nelle cosiddette banche del germoplasma. I sistemi di conoscenza tradizionale appartengono alla diversità del patrimonio culturale della specie umana e il loro ruolo è importante per il futuro evolutivo della nostra specie, comparabile a quello svolto dalla diversità biologica. Entrambe, diversità biologica e diversità culturale, sono in grado di assicurare alle generazioni future scelte evolutive diverse. Vogliamo un modello culturale unico? O vogliamo invece la possibilità di scegliere fra varie proposte di cultura? Proteggere questo sistema di conoscenze, legate all’utilizzo delle risorse locali e quindi alla conoscenza dell’ambiente circostante, significa proteggere anche le comunità che lo producono offrendo ai loro membri l’opportunità di applicare questo insieme di conoscenze nella vita quotidiana. Di mantenerlo, modificarlo e trasmetterlo alle generazioni future. Il problema, oggi è che queste conoscenze si vanno perdendo, e con loro anche il futuro delle comunità, ma vorrei anche dire il nostro futuro, quello dell’essere umano. Se poi vogliamo essere più pragmatici basta ricordare che la perdita di conoscenze tradizionali significa ridurre la possibilità di accesso ad un bagaglio, potenzialmente enorme e senza prezzo, di informazioni su sostanze chimiche di origine naturale che appartengono al patrimonio culturale delle comunità indigene e che potrebbero essere di grande importanza nella ricerca farmacologica. 

Di Piero Bruschi Facoltà di Agraria, Università di Firenze | Estratto da Talk&Show “I popoli indigeni dell’Amazzonia tra Covid-19 e deforestazione” del 13 maggio 2020

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