Oggi la Tunisia guarda in faccia la realtà

— Dopo anni in cui il fenomeno razzista è stato sottovalutato, il paese ha emanato una legge contro le discriminazioni. Tra le promotrici: Saadia Mosbah

Saadia Mosbah è la fondatrice e la presidentessa di Mnemty, un’organizzazione nata nel 2013 che si batte per il progressivo sradicamento di tutte le forme di discriminazione, segregazione ed esclusione razziali presenti in Tunisia. L’abbiamo intervistata a proposito della recente legge contro il razzismo in Tunisia. Una legge storica.

Il 9 ottobre 2018 in Tunisia, è stata approvata una legge (125 voti su 217 parlamentari) di portata storica contro il razzismo e la discriminazione. Si tratta della prima legge di questo tipo nel Maghreb e in tutto il mondo arabo. Mnemty è stata impegnata in prima linea nel processo di approvazione di tale provvedimento. Che percorso avete fatto negli anni?

Abbiamo lavorato a lungo per spingere i politici ad affrontare questa tematica: gli episodi spiacevoli accaduti negli ultimi anni hanno sicuramente aumentato la consapevolezza in merito. In particolare, mi riferisco alle aggressioni a danno dei subsahariani, nello specifico quelle del 24 dicembre 2016, quando 3 giovani congolesi furono aggrediti. Pochi giorni prima un giovane ivoriano era a sua volta stato vittima di un’aggressione fisica dove aveva riportato delle ferite molto gravi. In quell’occasione, dopo che per anni la Tunisia ha costantemente negato l’esistenza del razzismo all’interno della propria società, il capo del governo ha apertamente espresso la necessità di una legge contro le discriminazioni razziali, che è proprio ciò che Mnemty chiede dal 2013. La legge infatti è stata proposta per la prima volta dalla società civile in quel periodo: nonostante nel corso degli anni siano state elaborate molte bozze, la redazione della legge è stata messa in secondo piano fino a quando, nel 2016, il capo del governo non ha costituito un’équipe dedicata a questo scopo. Da quell’anno siamo stati in piazza, abbiamo fatto lobbying in seno all’Assemblea Costituente e tra i parlamentari e molte persone si sono unite a noi e hanno preso parte alle nostre iniziative.

Chi sono stati gli alleati più preziosi in questo percorso?

Gli attori chiave nella lotta per l’approvazione della legge 11/2018 sono stati la società civile, il Parlamento e l’Alto Commissariato per i Diritti Umani della Tunisia. Inoltre, non va dimenticato il ruolo giocato in questa battaglia da Omar Fassatoui (un rappresentante dell’Hcdh ndr), il quale si è fatto portavoce delle vittime di varie forme di discriminazione e si è impegnato per riunire a uno stesso tavolo i vari interlocutori sotto la supervisione strategica dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani. Tra gli alleati più preziosi ci sono stati l’Association tunisienne de soutien des minorités (Atsm), l’Assemblée des représentants du peuple (Arp), e gli Amazigh che volevano essere tra i soggetti destinatari della legge. Per quanto riguarda la dimensione parlamentare, ha avuto un ruolo chiave Jamila Ksiksi Debbech, parlamentare di Ennahdha implicata in prima persona nella causa in quanto nera. Purtroppo però in aula al momento del voto, in molti, tra i rappresentanti del popolo, erano assenti.

In alcuni dei suoi interventi pubblici, ha dichiarato che il razzismo verso i tunisini neri (15% della popolazione) è da tempo un problema che la società tunisina non vuole affrontare. Secondo lei per quale motivo?

In primo luogo, perché sarebbe una fonte di vergogna ammettere la presenza del razzismo; in secondo luogo, la negazione del problema deriva probabilmente dalla volontà di dimostrare al mondo esterno e all’Europa che noi siamo un popolo straordinario e che in Tunisia tutto funziona a dovere e, diversamente dall’Europa stessa, non siamo toccati da questi problemi.

Quali sono le altre minoranze discriminate?

I nostri fratelli subsahariani, che vengono in Tunisia per studiare: si sentono figli del proprio continente e vogliono restarvi invece di trasferirsi in un’Europa che li rifiuta. Ci sono, poi, i migranti: data la sua vicinanza all’Europa, la Tunisia è da sempre un paese di transito, pertanto, un gran numero di persone è giunto qui nel corso degli anni e coloro che non sono riusciti a compiere la traversata sono rimasti in questo paese in condizioni d’irregolarità.

Quali sono stati gli episodi di razzismo più gravi di cui è stata vittima o testimone?

La Tunisia ha vissuto due 24 dicembre terribili, innanzitutto quello del 2016,  un episodio in cui la violenza, che fino ad allora aveva avuto un carattere verbale (parole di disprezzo o di divieto di accedere agli hotel) ha assunto una connotazione fisica. Va poi ricordato, ovviamente, il 24 dicembre scorso, tristemente noto per la morte di Falikou Coulibaly (presidente dell’associazione degli ivoriani in Tunisia ucciso per strada a coltellate ndr). Vi sono poi delle forme di aggressione di natura più blanda di cui sono testimone tutti i giorni e che, seppur di minore gravità, fanno comunque male. Lavorando io in aeroporto assito continuamente a episodi del genere. Molti però non denunciano per non avere problemi e questo è un deterrente per far capire la gravità del problema e un problema per l’applicazione della legge stessa che così viene depotenziata.

Secondo lei, quali sono le maggiori conquiste derivanti da questa nuova legge?

Sicuramente il fatto di poter esporre denuncia ed essere ascoltati. Inoltre, questa norma pone lo Stato davanti alle proprie responsabilità, questo vuol dire che esso deve trovare e mettere a disposizione i mezzi per poter non solo applicale la legge, ma anche per far sì che i libri scolastici siano modificati e che un processo di sensibilizzazione ed educazione sulla tematica in questione venga avviato.

A più di sei mesi dalla sua approvazione, quali sono le azioni concrete adottate o che devono essere adottate dal governo per l’applicazione concreta della legge?

Innanzitutto, lo Stato dovrebbe mantenere la promessa di creare una commissione composta di giudici, avvocati, professori, sociologi e attori della società civile per esaminare ogni singolo caso. Secondo quanto previsto dal governo, la commissione farà parte del Ministero per i Diritti Umani; noi, al contrario, vorremmo che essa dipendesse dal Ministero della Giustizia per avere la garanzia di continuità sotto ogni governo. La commissione avrebbe dovuto essere quanto meno annunciata ufficialmente entro due mesi dall’approvazione della legge, tuttavia, ad oggi ancora non esiste e le autorità continuano ad affermare di essere in procinto d’istituirla.

di Pamela Cioni

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