— L’Africa che scompare dallo schermo: intervista a Leonardo De Franceschi
Parlare d’Africa al cinema è spesso un esercizio di stile per cinefili d’avanguardia, vista la cronica mancanza di spazi e visioni nel nostro povero e spesso monotematico mercato distributivo italiano. Ancora più raro incontrare appassionati a viso scoperto, che si dichiarano cinefili africanisti con orgoglio, passione e competenza. Uno di questi è sicuramente Leonardo De Franceschi, ricercatore all’Università di Roma3, autore del libro “Lo Schermo e lo Spettro, sguardi postcoloniali su Africa e afrodiscendenti” (Mimesis editore).
In Italia, a parte qualche festival, non si parla di cinema africano. è invece vivo e presente in tanti mercati cinematografici internazionali. Nel tuo libro analizzi il fenomeno da anni. Che idea ti sei fatto?
“Nel libro mi soffermo su alcune esperienze d’autore (Chahine, Sissako, Bouzid), sul cinema transnazionale degli afrodiscendenti e soprattutto sugli immaginari visuali legati all’Africa e alla nerezza, con un’attenzione particolare a come sono stati declinati in Italia. Lo spettro infatti è quello del colonialismo, matrice del razzismo da “italiani brava gente” che purtroppo infesta la vita politica e condiziona la vita di tanti non bianchi, cittadini e non. Ciò detto, in Italia in effetti film africani sono merce rara, in sala e tanto più sul piccolo schermo, anche se nel bouquet di Netflix per paradosso si possono trovare anche titoli nigeriani di Nollywood o qualche commedia sudafricana. Non rimane che approfittare dei festival che offrono la possibilità di recuperare le ultime produzioni da paesi con una tradizione e infrastrutture produttive di una certa solidità. Tranne che in Francia e in Belgio, il circuito cinematografico si è dimostrato poco ricettivo nei confronti di queste cinematografie”.
La rappresentazione cinematografica è legata ad un immaginario che ci riguarda anche come società civile. Si sta muovendo qualcosa? Quali ritieni siano gli scenari più interessanti al momento?
“Le cinematografie dall’Africa hanno sempre avuto la forza di proporre temi importanti, favorire un costante ricambio generazionale e lanciare figure di registi di talento. Basti pensare all’ultimo festival di Cannes, che ha visto premiati la franco-senegalese Mati Diop con “Atlantique” e il maliano Ladj Ly, con il francese “Les Misérables”, per non dire dei tanti talenti da Algeria, Tunisia e Marocco, spesso donne, emersi dalle sezioni collaterali. Migrazioni, condizione femminile, ma anche storie di genere e commedie, gli ingredienti di questi film toccano temi e sensibilità universali, spesso rovesciando l’immaginario su Africa e afrodiscendenti che emerge dai media mainstream, il problema rimane la distribuzione”.
Dacci un consiglio da cinefilo: un film africano di recente uscita che dovremmo vedere assolutamente.
“Praticamente l’unico titolo dall’Africa arrivato quest’anno in sala è “Sofia”, opera prima di una regista marocchina sulla trentina, Meryem Benm’Barek, premiato a Cannes e a Tunisi lo scorso anno e uscito a marzo, anche in questo caso una storia universale, al femminile, protagonista una giovane che viene da una famiglia borghese di città, che ha a che fare con una gravidanza inattesa e ci dà un’idea delle contraddizioni del Marocco di oggi. Mi auguro lo si riesca a recuperare almeno in qualche arena estiva”.
di Jonathan Ferramola