di Laura Guidi
Negli ultimi anni, le politiche per le persone trans e migranti hanno subito battute dʼarresto e, verosimilmente, si profila una pericolosa involuzione. Massimo Prearo, ricercatore allʼuniversità di Verona, evidenzia come movimenti neocattolici, pro-life e destra radicale populista abbiano consolidato un fronte anti-gender, anti-trans, anti-Lgbt alleandosi con femministe gender critical. Dal 2022, associazioni anti-trans parentali si oppongono allʼaffermazione di genere degli adolescenti. Queste alleanze promuovono politiche autoritarie, volte a ricostruire un ordine morale più in linea con la visione cattolica e la teologia cristiana, minacciando la laicità democratica emancipata dai fondamenti religiosi che tradizionalmente regolavano ruoli di genere, famiglia e sessualità. Gli attacchi alle ricerche Lgbtqia+, come quelli a un gruppo di ricerca dellʼUniversità di Roma Tre, impegnato nello studio dellʼinfanzia gender creative minacciano la libertà accademica (Art. 33 della Costituzione). Le campagne ideologiche contro la “teoria gender” minano i diritti e la dignità delle comunità Lgbtqia+, rafforzando disuguaglianze sociali.
La ricerca antropologica come atto politico
La ricerca antropologica sulle questioni sociali dà voce alle storie personali, rendendole visibili nello spazio pubblico. Questo processo rappresenta un atto politico: un impegno a decostruire le narrazioni stereotipate e a smascherare il modo strumentale e ideologico con cui vengono affrontati certi argomenti. Nella mia ricerca ho adottato un approccio queer per analizzare genere e sessualità come costruzioni sociali, mettendo in discussione anche la stabilità dellʼorientamento sessuale. Attraverso la pratica del posizionamento – una metodologia dʼorigine femminista – ho esplicitato il mio punto di vista esterno (etico) rispetto allʼesperienza situata, incorporata (emica) dei miei interlocutori e interlocutrici. Questo ha reso trasparente il soggetto della ricerca. Ho evidenziato il percorso della ricerca, trasformandolo in una narrazione che non nasconde né gli inciampi né i continui follow-up. La ricerca si è rivelata per ciò che realmente è: un percorso instabile, fluido proprio come il genere e la sessualità. Lʼantropologia queer non categorizza identità, ma si fa strumento di solidarietà e trasformazione politica, mettendo in discussione lo stesso soggetto che conduce la ricerca nel momento in cui incontra lʼaltro.
Le esperienze queer: il caso di Kàmila
Grazie alle interviste, allʼosservazione diretta e alla partecipazione ad alcuni eventi, sono riuscita a comprendere – almeno parzialmente – le esperienze queer di alcune vite. Ho solo sfiorato la punta dellʼiceberg: i dispositivi (tribunali, ospedali, psichiatria, scuola, religione e famiglia) e le prassi con cui il potere influenza la vita di tutti. Questi sistemi sviluppano dinamiche di potere che possono condizionare profondamente le vite delle persone trans e migranti: mettere in posizioni critiche di vulnerabilità e talvolta di oppressione. Kàmila è una migrante per motivi legati allʼidentità di genere e allʼorientamento sessuale. Grazie a Nosostras – unʼassociazione attiva sul territorio – ha avuto il supporto necessario per ottenere lo status di rifugiata politica. Oggi ha una nuova identità: il suo nome e il genere corrispondono a quelli da lei scelti e ottenuti attraverso un percorso dʼaffermazione di genere. Tuttavia, come accennavo, il clima politico nazionale e internazionale è cambiato radicalmente negli ultimi anni, ostacolando ulteriormente le richieste di diritti delle persone trans e migranti. Questo peggioramento rischia di aggiungere ulteriore sofferenza a percorsi già estremamente complessi. Se cʼè qualcosa che accomuna tutti gli esseri umani è la capacità di provare dolore – o infliggerlo. Alcune vite sono sottoposte a violenza fin dalla tenera età. Quella di Kàmila tra atti di discriminazione e numerosi tentativi di suicidio, è un esempio emblematico.
La lotta contro lo stigma e il linguaggio
Kàmila è nata e cresciuta in un Paese dove lʼomosessualità e le persone trans sono criminalizzate severamente dalla legge – anche con la pena di morte. Fino allʼetà di 37 anni si era identificata con il genere maschile pensando di essere omosessuale. Da bambin* desiderava essere come la madre ma le venne imposto il ruolo maschile: “Devi fare lʼuomo!” Prima dei sette anni le fu detto: “Sei un maschio, però sei femminile allora sei frocio!” Questo insulto rappresentava ciò che Pierre Bourdieu definisce un “atto di dominio”, o “violenza simbolica”: unʼazione che produce effetti concreti nella realtà. Infatti, incorpora lo stigma e assume la categoria attribuita dal dominatore per lungo tempo. Lo stigma, dunque, si configura come una sorta di profezia che si avvera. Solo dopo molte vicissitudini Kàmila ha deciso di intraprendere un percorso medico-legale di affermazione di genere. Si è trasferita a Firenze per essere seguita dallʼéquipe medica dellʼOspedale Careggi ma i tempi lunghi della struttura pubblica lʼhanno spinta a operarsi privatamente in Spagna. Ogni persona trans è da ritenersi unica: non si possono fare generalizzazioni e non esiste un unico modo di essere transgender. Nemmeno la disforia di genere è vissuta da tutte le persone trans. Nel libro ho cercato di rendere questa dimensione parlando del non binarismo iniziale di Kàmila, delle soggettività non-binarie includendo anche le persone intersex. Come ci ricorda Michela Balocchi, sociologa e attivista, lʼintersessualità riguarda le variazioni congenite nelle caratteristiche di sesso (cromosomico, gonadico e/o anatomico). Alcune persone intersex si ritrovano a fare un percorso di transizione perché non si riconoscono nel sesso loro assegnato alla nascita e nelle modifiche di femminilizzazione o maschilizzazione che hanno subito nellʼinfanzia. Comunità trans e intersex sono quindi diverse ma entrambe sfidano la norma eterosessista e cisgender e subiscono lo stigma per la loro diversità di sesso e di genere. Se le parole sono atti, il linguaggio è campo di battaglia politico. Le comunità queer rivedono continuamente il vocabolario per affermare identità plurali, consolidarsi come soggetti politici e contrastare oppressioni. Lʼespansione della sigla Lgbtqia+ è un esempio significativo di come diversi posizionamenti politici cercano di ottenere visibilità allʼinterno del panorama queer italiano e internazionale.
Ordini immaginari, leggi, miti e norme culturali plasmano genere e sessualità
Conclusioni: ordini immaginari, genere e mobilità
Nel momento in cui si pubblica un libro, una ricerca antropologica, lo studio di un caso come quello di Kàmila, si racconta qualcosa che forse non esiste più o che a breve subirà dei cambiamenti. Paradossalmente, proprio questo aggiunge valore al lavoro se non altro come testimonianza storica. La storia di Kàmila testimonia come ordini immaginari (leggi, miti, norme culturali) plasmino genere e sessualità, modellino i nostri comportamenti sin dalla nascita e siano più legati al desiderio che alla realtà. La capacità di amare o di vivere la sessualità con persone dello stesso sesso/genere o dellʼaltro sesso rientra nelle naturali possibilità della nostra specie, così come accade in altre specie animali. Non riconoscersi nel genere assegnato alla nascita e vivere nel ruolo, nello spirito, nellʼessenza di un genere diverso è anchʼesso parte delle nostre capacità. Lo facevano i lhamana e i winkte, i membri di “genere misto” dei Nativi americani: società che vivevano in armonia con le componenti transgender e omosessuali prima dellʼarrivo del colonialismo europeo. Lo facevano utilizzando le tecnologie a loro disposizione e seguendo la propria cultura; lo si fa oggi ricorrendo alla chirurgia e seguendo il costume e la cultura contemporanei. Uomini e donne sono categorie sociali, non sono deterministicamente o direttamente collegati alla biologia – allʼavere un pene o una vulva – ma a quellʼordine immaginario che stabilisce cosa significhi il genere in ogni società. Una donna è tale perché appartiene a un insieme di leggi, miti, norme culturali che attribuiscono ruoli e significati al suo “essere donna”. Poiché i miti e la morale che definiscono le leggi variano da cultura a cultura, anche il significato di “essere donna” cambia di società in società. Infine, gli esseri umani non sono una specie stanziale. La mobilità fa parte della nostra storia: da due milioni di anni gli umani si diffondono dallʼAfrica agli altri continenti senza mai fermarsi. La mobilità non è solo un concetto analitico per studiare le migrazioni o le politiche di inclusione o esclusione dei vari Stati; è anche una caratteristica intrinseca della nostra specie che ci ha permesso di sopravvivere ed evitare lʼestinzione – purtroppo, spesso, a scapito delle altre specie viventi.