Francesca Albanese è una giurista e docente italiana, specializzata in diritto internazionale e diritti umani. Dal maggio 2022 ha assunto l’incarico, prima donna in questo ruolo, di relatrice speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani nei Territori palestinesi occupati dal 1967. Albanese è anche autrice del libro “J’accuse: gli attacchi del 7 ottobre, Hamas, il terrorismo, Israele, l’apartheid in Palestina e la guerra”, un libro-testimonianza basato sul suo lavoro, precedente all’attacco terroristico del 7 ottobre. Per ricordarci che la Storia non comincia quel giorno. Abbiamo incontrato Francesca Albanese a Firenze durante l’evento “Pace e giustizia in Medio Oriente”, organizzato nel febbraio scorso dal Consiglio comunale in collaborazione con la Rete Pace e Giustizia in Medio Oriente, di cui anche
COSPE fa parte.
Purtroppo la drammatica situazione attuale ci costringe a guardare al massacro nella Striscia di Gaza. Quali sono però i capisaldi del quadro storico a cui bisogna fare riferimento?
Il quadro storico è complesso nel senso che risale a quando è cominciata la migrazione degli ebrei europei, proprio con il dichiarato scopo di colonizzare la Palestina, come i britannici e i francesi avevano fatto, per renderla una terra per soli ebrei. Nel corso degli anni questo ha chiaramente creato delle tensioni laddove invece la minoranza ebraica in Palestina fino alla fine dell’800 aveva vissuto in grande armonia col resto della popolazione cristiana e musulmana. Con la creazione dello Stato di Israele c’è stato lo smembramento della parte araba della Palestina: i palestinesi hanno perso la maggior parte della terra e sono diventati un popolo di rifugiati. Le origini sono lì, in quel progetto di controllo esclusivo della terra. Nessuno nega che gli israeliani, e prima di loro gli ebrei europei e di tutto il mondo, potessero avere delle connessioni, dei legami fortissimi con la terra di Palestina; il problema è che ci sono andati da colonizzatori e non da gente che voleva viverci e condividere e questo è quello che poi ha caratterizzato il formarsi e il perdurare di un conflitto poiché si è creato lo Stato di Israele ma Israele ha poi occupato la Striscia di Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme est che dovevano, e dovrebbero, costituire lo Stato indipendente e sovrano di Palestina ed invece da quasi 57 anni sono zone poste sotto il controllo militare israeliano. Questa è la struttura che sostiene la violenta apartheid israeliana, fatta di segregazione, di arresti arbitrari, di confinamento fisico, di umiliazione e forme di annichilimento. Questo è il contesto in cui si è prodotto il 7 ottobre: Gaza era sotto assedio, tagliata fuori dal resto del mondo da 16 anni, e a stare in quella situazione la popolazione è esplosa.
Quali sono le principali infrazioni del diritto internazionale e del diritto umanitario che si registrano nel territorio palestinese?
Anche prima del 7 ottobre erano: la creazione di colonie nel territorio palestinese occupato e il mancato ritiro dell’occupazione israeliana. Non è normale che un’occupazione duri 57 anni e si trasformi in un veicolo per colonizzare territori su cui non si ha chiaramente la sovranità. Il diritto internazionale proibisce l’acquisizione di territorio per mezzo della forza. Un’altra infrazione è chiaramente quella che riguarda l’imposizione di misure di punizione collettiva, come ad esempio l’assedio a Gaza, la demolizione di case, gli espropri: c’erano tante violazioni del diritto internazionale anche prima del 7 ottobre. Dopo il 7 ottobre invece si è scatenata un’offensiva che è stata la più violenta nella storia delle varie offensive a Gaza, la sesta in 16 anni, e si sta compiendo una pulizia etnica con grave rischio di genocidio.
In base al diritto internazionale, gli Stati hanno le responsabilità di intraprendere azioni positive per porre fine allo stato di occupazione militare in Palestina e per ridurre le violazioni dei diritti umani. Quali, quindi, le principali iniziative da intraprendere?
Dovrebbero intanto imporre un cessate il fuoco, che è stato chiesto a più riprese, tanto dall’Assemblea Generale che dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ma il veto degli Stati Uniti ha impedito fino a oggi di trovare un accordo di cessate il fuoco anche per motivi umanitari. C’è già però un ordine cautelare della Corte di Giustizia Internazionale (Cgi) che ha ordinato delle misure per fermare gli eccidi, per fermare la distruzione di massa a Gaza che sta continuando ed implica la possibilità di complicità dei governi occidentali con quello che Israele sta facendo. Ci vuole quindi un cessate il fuoco con rilascio degli ostaggi e dei prigionieri, tutto l’aiuto umanitario che serve a Gaza ma soprattutto il ritiro delle truppe israeliane dal territorio palestinese occupato.
L’Alto Commissariato per i Diritti Umani dell’Onu ha pubblicato un documento redatto da diversi Special Rapporteur Onu, tra cui anche lei, che chiedono il blocco del commercio di armi con Israele…
Sì, siamo esperti indipendenti dell’Onu che diciamo che bisogna cessare l’invio di armi a tutte le parti. Hamas non le sta ricevendo più ma Israele continua invece a ricevere armi tanto dall’Europa che dagli Stati Uniti in modo cospicuo.
Cosa si può dire del diritto alle risorse naturali, al lavoro e al reddito dei palestinesi?
La violazione del diritto all’autodeterminazione si manifesta anche nella privazione delle risorse naturali che siano terra, acqua, giacimenti petroliferi nel mare territoriale fuori dalla Striscia di Gaza o risorse minerarie in Cisgiordania: tutto questo è controllato da Israele che quindi toglie i mezzi di sussistenza ai palestinesi, per sopravvivere tanto come individui/famiglie che come Stato.
Sui mezzi di informazione italiani parlare delle responsabilità di Israele è molto difficile. Secondo lei, da cosa dipende?
Ci sono giornalisti che non si occupano di Palestina perché è scomodo, perché c’è qualcuno che fa pressione sugli editori oppure è l’ambasciata israeliana che si lamenta e accusa tutti di antisemitismo: però questo è un atteggiamento estremamente pericoloso perché porta a limitare il diritto all’informazione, la libertà di espressione e anche il diritto di protesta. Al di là della Palestina e di Israele in questo caso sono in ballo anche le libertà e i diritti fondamentali degli individui che vanno difesi perché sono ciò che ci permette di essere una società libera.