Stop a USAID, l’altra faccia del disordine mondiale

di Nicoletta Dentico

Per meglio inquadrare il contesto in cui parliamo dellʼattuale situazione delle persone e delle associazioni che in Africa lavorano e si mobilitano a vari livelli per i diritti e per il sostegno del movimento Lgbtqia+ e per il trattamento dellʼHIV, riportiamo, per sua gentile concessione, alcuni stralci dellʼarticolo di Nicoletta Dentico (Head of the Health Justice Programme per la Society for International Development -Sid- e advisory board di COSPE), sulla testata “Sbilanciamoci” del 4 marzo scorso.

Un focus su quanto le recenti politiche trumpiane e quelle europee della corsa al riarmo abbiano un impatto dirompente sulla cooperazione internazionale tutta (cosa che inevitabilmente impone anche una riflessione critica a lʼintero settore) ma soprattutto un impatto distruttivo sulla salute fisica e psichica delle migliaia di persone che improvvisamente, con il taglio dei fondi Usa, si sono trovate senza medicinali, assistenza e spazi di confronto. Tutto ha inizio con la scioccante chiusura di Usaid, la più grande agenzia indipendente di cooperazione internazionale americana. Anche se ci sono azioni legali che cercheranno di attenuare la situazione drammatica che si è venuta a creare, le riflessioni di questo articolo sono e rimarranno valide perché quello che registriamo è una tendenza in ascesa e forse la fine di un sistema così come lo abbiamo conosciuto finora.

Nel bene e nel male, come dice Dentico che, alla fine della dolorosa conta di morti e la constatazione che le guerre (tutte, anche quelle politiche) si fanno sulla pelle dei più vulnerabili, apre cautamente a uno spiraglio di speranza, parlando di nuove opportunità.

(…) LʼAmerica del Maga – Make America Great Again – ha dichiarato guerra aperta al mondo della solidarietà internazionale. Il 20 gennaio, terminata la cerimonia di investitura e rientrato alla Casa Bianca, il presidente Donald Trump ha firmato tra molti un ordine esecutivo che congelava (a partire dal 24 gennaio) gli aiuti esteri statunitensi per 90 giorni.(…) Trump è da sempre un critico feroce della cooperazione allo sviluppo. A pochi giorni dallʼinsediamento, sul suo social Truth ha scritto che “le spese di Usaid sono totalmente inspiegabili…chiudiamola!”. (…) Il 27 febbraio lʼamministrazione Trump ha definitivamente chiuso i contratti che riguardano circa 10.000 progetti di salute finanziati da Usaid (5.800) e dal Dipartimento di Stato (4.100). La repentina interruzione del finanziamento annovera nella fattispecie centinaia di programmi di organizzazioni africane impegnate nella lotta alle malattie infettive, con interventi di diagnosi e terapie per Hiv, tubercolosi e malaria. Ma coinvolge anche progetti di assistenza umanitaria e servizi di approvvigionamento di nutrizione, acqua e strutture di igiene nel mondo, interventi a popolazioni in pericolo per via di conflitti armati. (…) Confesso di non aver mai nutrito nella mia esperienza professionale una sperticata simpatia per Usaid, nata nel 1961 durante la amministrazione di J.F. Kennedy, nel bel mezzo della guerra fredda, con il compito di contenere lʼinfluenza sovietica nel mondo. Maschera dellʼimpero? Certo, inutile nascondersi dietro il dito dellʼingenuità. Va detto tuttavia che gli Stati Uniti non sono stati certo gli unici ad abusare lʼagenda della cooperazione per mantenere sfere di influenza nel Sud globale. I governi europei sono stati maestri nel metter a buon frutto, spesso senza scrupoli, la cattiva coscienza di colonizzatori – salvo fare della cooperazione un creativo strumento di continuazione del colonialismo con altri mezzi, per parafrasare Carl von Clausewitz.

I numeri sono però inequivocabili: con i 40-43 miliardi di dollari distribuiti più o meno ogni anno in 130 paesi (cioè lo 0,6% della spesa totale americana per anno), e 10.000 persone dislocate per due terzi nei paesi in via di sviluppo, Usaid rappresentava da sola il 42% di tutti gli aiuti di cooperazione globali. La maggior parte dei finanziamenti erano indirizzati a programmi sanitari, ad es. i programmi di vaccinazione contro la poliomielite, ma grandi sforzi erano rivolti pure alla distribuzione del cibo in situazioni di emergenza, con il più avanzato sistema di identificazione della fame nel mondo, considerato da tutti gold-standard. Quindi il danno è semplicemente irreparabile.

(…) La dottoressa Natasha Davies, attiva in Sudafrica sul fronte dellʼHIV da due decenni tramite i progetti del Programma del Presidente contro lʼHiv, Pepfar, mi racconta il trauma del limbo in cui è entrata il 24 gennaio, con la prima notifica di Trump, che lʼha costretta “a disconnettermi improvvisamente dai pazienti e dal personale sanitario con cui ho sempre operato, e che dal 3 marzo non ha ufficialmente più un lavoro: sono 2.800 persone”. Il suo impegno di supporto al programma era rivolto in particolare ai casi complessi che richiedono cure speciali, soprattutto donne in gravidanza e adolescenti: “nella quotidiana confusione mescolata di speranza, casi legali, e mancanza di notizie certe, è stato difficile anche solo pianificare un futuro, visto che non avevamo idea di ciò che sarebbe accaduto nelle 24 ore successive”. Prevede un destino di morte per i suoi pazienti.

Lo ribadisce anche Catherine Kyobutungi, direttrice esecutiva del Centro Africano di Ricerca su Popolazione e Salute: “Moltissima gente morirà, eppure non la sapremo mai quantificare, perché anche i programmi per contare i morti sono stati tagliati”.

Inoltre, il Programma di Impatto di Pepfar, che supporta 20 milioni di persone con Hiv in 55 paesi, ha stimato che il congelamento dei fondi dal 24 gennaio abbia già prodotto la morte di circa 19.000 persone, tra cui circa 1900 bambini. (…) Si celebrano questʼanno gli 80 anni delle Nazioni Unite, in un clima mondiale a dir poco imbarazzante. I principi fondativi di quel processo di ricostruzione della convivenza subito dopo la Seconda guerra mondiale – la solidarietà, la coesistenza, la responsabilità, la cooperazione internazionale, la reciprocità – si stagliano come un polveroso ideale ricordo del passato, in collisione frontale con il piglio nazionalista e immobiliarista del nuovo presidente e dei suoi accoliti, potenti in ragione dei capitali che impersonano, bastanti a sé stessi. Lʼinternazionale sovranista, che interpreta a suo modo gerarchie di popoli e di diritti, ha moltitudine di corifei anche in Europa, dove dallʼinizio della nuova legislatura si imbandisce la tavola di tutta unʼaltra cooperazione, sempre più egemonica e in mano ai privati, sempre meno a favore dei popoli. Gran Bretagna, Francia, Germania, Olanda, hanno già ridimensionato in misura significativa i rispettivi bilanci di aiuto pubblico allo sviluppo, pronti a gonfiare i bilanci per la difesa.

Abbiamo permesso agli Stati Uniti di creare una sorta di monopolio anche nelle politiche di aiuto. Che lo tsunami trumpiano possa offrire la sponda per una profonda e quanto mai necessaria mutazione al sistema di cooperazione internazionale, fuori controllo, pieno di difetti e disfunzioni, e ancora troppo colonialista malgrado le buone intenzioni, è troppo presto per dirlo. Domina per ora un devastante senso di smarrimento. La lezione americana tuttavia – nel segno dellʼuscita dalle agenzie dellʼOnu e della interruzione del finanziamento della cooperazione internazionale – per quanto dolorosa libera spazi e opportunità. Spazi e opportunità che potrebbero essere occupati da nuovi protagonisti, nuove idee di giustizia, nuove prospettive ed epistemologie.

Sarebbe in proposito molto utile tornare sui passi della pandemia e della cogente pedagogia di Covid, che solo cinque anni fa arrivava in Europa dettando lʼevidenza della fragilità umana e della nuova autentica solidarietà planetaria da mettere in campo. Non è dato per ora scorgere cavalieri bianchi allʼorizzonte.

Articolo integrale: https://sbilanciamoci.info/stop-a-usaidlaltra-faccia-del-disordine-mondiale/

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