Intervista a Grasse Vergas di Elisa Aste
Con la sua complessità innata, lʼAmazzonia nasconde, protegge. Radici che si intrecciano sotto, affiorano sopra, si fondono. Piogge torrenziali che diventano grembo, che generano vita. Dallʼalto? Sì, perché nella giungla non esistono direzioni tracciate né cammini a senso unico. Un ecosistema non conforme ma indispensabile per lʼequilibrio climatico del pianeta: estraneo al concetto di binarismo, abita lʼeccesso, il margine, la molteplicità. Luogo sacro e solenne, minacciato dallʼavidità umana. Territorio di resistenza viva, dove le comunità resistono per memoria, giustizia e appartenenza. Là dove lʼAmazzonia incontra le Ande, e più precisamente nel territorio andino-amazzonico della regione del Putumayo, in Colombia, la comunità Lgbtqia+ tesse il proprio futuro. Lo abbiamo chiesto a Grasse Vergas, giornalista, attivista ambientale, leader femminista e orgogliosamente lesbica.
Grasse, quali ricordi hai dei tuoi primi passi nellʼattivismo?
Il mio percorso nellʼattivismo è iniziato nel 2011, quando ho partecipato per la prima volta alla marcia dellʼorgoglio Lgbtqia+ a Bogotá, entrando a far parte del collettivo Stonewall. Nel 2018, sono tornata nel Putumayo e, insieme a un gruppo di donne straordinarie, abbiamo dato vita al primo Pride della regione e alla Settimana della Diversità. Inoltre, faccio parte della Batucada Escándala, nata due anni e mezzo fa e che utilizza lʼarte e la musica come strumenti di resistenza e rivendicazione dei diritti.
Oggi sei lʼesperta di comunicazione dellʼAssociazione Alianza Departamental de Mujeres Tejedoras de Vida (Atv). Attivismo, ma anche lavoro. Quando hai capito che i tuoi interessi potevano diventare un vero e proprio strumento di cambiamento sociale?
Le due aree fondamentali del mio impegno – la difesa dei diritti delle donne e la lotta per i diritti della comunità Lgbtqia+ – sono intimamente connesse e si rinforzano reciprocamente. Non sono mondi separati, ma un cammino condiviso che promuove i valori di inclusione, visibilità e rispetto. Quando sono arrivata in Atv, ho avuto lʼopportunità di unirmi al collettivo Diversas Incorrectas, un gruppo impegnato nella visibilità delle persone lesbiche, bisessuali e trans. Insieme, abbiamo lavorato per mettere in luce la realtà delle donne lesbiche, bisessuali e trans, affrontando temi che troppo spesso vengono ignorati. È stato fondamentale per me portare avanti il discorso della difesa dei corpi delle persone Lgbtqia+ e, in particolare, dei diritti delle donne trans, la cui esistenza è troppo spesso oscurata e marginalizzata. La difesa del territorio, in questo contesto, non è solo una battaglia ambientale, ma un atto di protezione dei corpi delle donne diverse. Questo tema è diventato centrale nelle nostre lotte, come abbiamo sottolineato durante la Giornata delle Donne, unʼoccasione in cui abbiamo messo al centro la necessità di proteggere le donne diverse, rendendo chiaro che la lotta per i diritti delle donne e quella per i diritti della comunità Lgbtqia+ sono strettamente intrecciate e devono essere affrontate insieme.
Hai menzionato il concetto di corpo e territorio, cosa intendi?
Non possiamo tutelare il territorio se non proteggiamo i corpi che lo vivono, lo rispettano e lo difendono. Terra e corpo si intrecciano, custodendosi lʼun lʼaltro. Abbiamo dato vita alla campagna di sensibilizzazione “Senza acqua non esiste arcobaleno”: manifestando contro Libero Cobre, una multinazionale canadese specializzata nellʼesplorazione di rame e molibdeno, rifiutando ogni trattativa con la multinazionale. Difendere il territorio è riconoscere i nostri bisogni, i nostri limiti. Significa custodire i fiumi, linfa vitale del Putumayo e di ogni forma di resistenza. Essere attivistə in Amazzonia è questo: proteggere il corpo e la terra come un unico battito, in connessione con la nostra ancestralitá.
Dunque, queste pratiche non dovrebbero svilupparsi direttamente dai luoghi di enunciazione, dove la realtà è vissuta ogni giorno? Mi sembra che troppo spesso queste riflessioni trovino maggiore risonanza a Bogotá, lontano dalle esperienze concrete di chi vive la lotta sul corpo.
La teoria è centralizzata, così come le politiche, che di fatto non funzionano nei nostri territori. Cʼè maggiore ascolto rispetto a qualche anno fa, ma il discorso non si concentra sulle diversità e sui territori colpiti dal conflitto armato.
“Essere attivista andino-amazzonica è unʼaffermazione di resistenza”, cosa pensi rispetto a questa dichiarazione?
Le forze che alimentano la bellezza e la biodiversità del nostro territorio sono immense, e il legame con la terra è essenziale, soprattutto per la popolazione Lgbtqia+. Questa connessione, radicata nel rispetto e nella continua pratica delle tradizioni, non solo definisce la nostra esistenza, ma ci dà la forza per resistere e lottare per ciò che è nostro: la nostra terra, la nostra identità e il nostro futuro.
Come possiamo comprendere la diversità della natura come un riflesso della nostra stessa diversità, in un senso più spirituale?
La natura, nella sua infinita diversità e colore, riflette esattamente ciò che siamo. Noi lottiamo per questo: non per imporre unʼideologia, come spesso ci accusano, ma per creare uno spazio sacro e inclusivo, dove ogni voce, come nella biodiversità, possa essere ascoltata e rispettata.
In Putumayo operano almeno 5 gruppi armati, cosa vuol dire essere leader in questo contesto?
La Colombia è uno dei paesi più pericolosi al mondo per l3 leader ambientali, e lo è ancora di più per chi appartiene alla comunità Lgbtqia+. I gruppi armati rifiutano ogni forma di diversità di genere e di orientamento sessuale che esca dallʼeteronormatività. In Putumayo, si può morire semplicemente per amare. Ancora oggi vengono affissi quelli che chiamano Pasquines, ovvero manifesti che minacciano di uccidere le persone della comunità Lgbtqia+, spesso con nomi e cognomi, dichiarando letteralmente: “Questa persona verrà ammazzata per essere lesbica, gay o trans”. Si sono anche modernizzati, ora li mandano per whatsapp! Ci sono leader che trascendono ogni trasversalità: Lgbtqia+, contadin3 e indigen3! spesso, scendono a patti con i gruppi armati, limitando alcune manifestazioni. Norme di convivenza, diciamo. Ti immagini un guerrigliero dire loro: “Basta con questa roba da froc3!” Non sono, però, solamente i gruppi armati a generare violenza verso i nostri corpi: il machismo radicato è presente anche allʼinterno delle famiglie. Le persone gay e le persone trans sono le più vulnerabilizzate, mentre le persone lesbiche lo sono meno, ma spesso a causa di una ipersessualizzazione che le rende esposte a unʼaltra forma di oppressione.
Esiste una resistenza?
Resistenza e persistenza. A Orito, uno dei luoghi più violenti del Putumayo, lʼassociazione Orito Diversa ha organizzato un enorme concorso di bellezza della comunità, un evento gigantesco, che continua a svolgersi da diversi anni nonostante le continue minacce che ricevono.
Quali altri membri della società civile si uniscono a questa resistenza, sostenendo la lotta contro la violenza e la discriminazione?
Le alleate più forti sono i collettivi femministi, ma si cercano anche alleanze con i governi locali. Abbiamo inoltre aperto i nostri workshop al pubblico, cercando di moltiplicare il discorso. È una strategia di protezione.
Come vedi il futuro?
Il futuro appare incerto, e anni fa sentivo una maggiore motivazione. La politica attuale si oppone alla comunità Lgbtqia+, e anche a livello nazionale è debole, nonostante Petro ne abbia parlato ampiamente durante la sua campagna. In molti continuano a lottare, ma le sfide sembrano crescere, alimentando il timore che le conquiste ottenute finora possano essere messe in discussione. Inoltre, non ci sono sufficienti programmi a supporto della comunità, e le risorse disponibili restano limitate, soprattutto nei nostri territori.
Grasse, qual è il tuo mantra?
Ogni cosa accade per una ragione, e sempre per qualcosa di meglio.