Politiche anti-rights? In fondo, a destra

di Giorgia Bulli*

La vittoria di Donald Trump alle presidenziali Usa del 2024 ha segnato lʼapice di una lunga traiettoria di retoriche anti-egualitarie, xenofobe e illiberali, fulcro di una campagna elettorale incentrata sulla polarizzazione politica e sociale. Assieme alle misure anti-immigrazione, gli attacchi ai diritti civili hanno rappresentato uno dei temi più rilevanti della contrapposizione populista tra il “bene” e il “male”, tra i “meritevoli” e gli “immeritevoli”, tra i “diritti giusti” e i “diritti sbagliati”. Le promesse elettorali sono state mantenute: nel discorso inaugurale della presidenza il 10 gennaio 2025, Trump ha affrontato il tema con questi impegni formali: “Questa settimana porrò fine anche alla politica del governo di cercare di manipolare socialmente razza e genere in ogni aspetto della vita pubblica e privata. Costruiremo una società senza distinzioni di razza e basata sul merito. A partire da oggi, la politica ufficiale del governo degli Stati Uniti sarà che esistono solo due generi: maschile e femminile”. Gli atti governativi successivi non sono stati meno coerenti: tagli alle politiche di inclusione, ridimensionamento delle strutture governative Dei (“Diversity, Equity and Inclusion”), minaccia di sospendere il finanziamento a prestigiose università come Harvard se queste non si piegheranno al diktat di chiudere i programmi a sostegno di diversità e inclusione. Guardando a quel che accade oltreoceano è facile chiedersi se questo sarà il programma politico, e soprattutto sociale, che investirà anche i paesi del vecchio continente. La domanda è più che legittima, dato che, a livello retorico, le campagne che mirano al ridimensionamento, se non alla cancellazione, dei diritti Lgbtqia+ sono tuttʼaltro che una novità nello scenario europeo. La crociata contro il cosiddetto “gender mainstreaming” nasce e si sviluppa allʼinterno del successo di partiti e movimenti populisti e di estrema destra. Nel populismo, il popolo puro e detentore di buon senso è contrapposto allʼélite corrotta. Nella retorica populista, il popolo non è solo puro e saggio. È anche omogeneo, sano e benestante. Su questi tre aggettivi si costruisce la narrazione che vede nelle minoranze, incluse le minoranze di genere, una minaccia al destino del popolo di preservarsi nella sua dimensione “naturale”, dove i generi sono due; dove esistono il padre e la madre, e non, il “genitore 1 e genitore 2”; dove la famiglia ha una struttura tradizionale a sostegno del nucleo originario della società.

Il popolo omogeneo. La narrazione del popolo omogeneo si fonda sul richiamo identitario che è la vera chiave di volta dei partiti e dei movimenti populisti. Allʼinizio della loro ascesa, attorno alla metà degli anni Ottanta, la minaccia allʼomogeneità del popolo erano le persone e le comunità migranti, nelle loro diverse connotazioni. A minacciare lʼidentità nazionale potevano essere gli immigrati interni, gli immigrati extracomunitari, i richiedenti asilo o i rifugiati. Si trattava di categorie anchʼesse rappresentate come indifferenziate, e – senza alcuna eccezione – declinate al maschile. A partire dalla metà degli anni Duemila, la già numerosa famiglia di “nemici del popolo omogeneo” dei partiti populisti ha cominciato ad allargarsi alle persone e alle comunità Lgbtqia+. Ad essere oggetto degli attacchi illiberali di questi partiti sono state da una parte le persone, descritte come immeritevoli delle politiche di inclusione spesso non ancora adottate, dallʼaltra le comunità politiche a loro sostegno. La critica, che assume a tratti la caratteristica della sollevazione, contro lʼ“ideologia di genere” è diventata sempre più un attacco a quella che è percepita come una cospirazione di élites progressiste e autoreferenziali, intente a perseguire il benessere di categorie inesistenti a dispetto del benessere del popolo.

Il popolo sano. Il popolo dei movimenti populisti è anche un popolo sano, che vive allʼinterno di valori tradizionali, con la famiglia come architrave di una società compatta. Il paradosso della mancata corrispondenza di questo quadro con le caratteristiche di molte tra le leader e i leader dei partiti populisti non intacca questa narrazione. Al contrario, la presenza di portavoce dichiaratamente gay o lesbiche di questi partiti suggerisce strategicamente la presenza di spazi liberali e di confronto nelle loro strutture organizzative. E anzi, sono proprio questi i partiti che presentano la retorica più incendiaria, basata su formulazioni come “follia del genere”, attacchi alla “sessualizzazione anticipata” e richiesta di chiusura degli insegnamenti universitari che si occupano di studi di genere. Il meccanismo che sta alla base di questa costruzione retorica e politica, oltre che basarsi sulla paura della diversità, si incardina sulla protezione dellʼinfanzia. Non a caso, per permettere alle bambine e ai bambini di crescere in un ambiente sano dal punto di vista dei valori e della tradizione, i programmi dei partiti populisti propongono la chiusura di percorsi di “pedagogia di genere”, colpevoli, a loro dire, della diffusione dellʼaumento di richieste di transizioni di genere, anche in età adolescenziale.

Nella retorica populista, il popolo è omogeneo, sano e benestante

Il popolo benestante. Il popolo dei populisti dovrebbe essere anche un popolo benestante, e per questo dovrebbe godere dei diritti del Welfare State in maniera esclusiva ed escludente. Espressioni tipiche della comunicazione populista (“prima gli italiani” “prima i tedeschi”) indicano lʼesistenza di quello che è definito come principio della preferenza nazionale. Le risorse dello stato devono essere destinate primariamente a coloro che si sono spesi per il benessere economico della nazione, e perciò ne sono meritevoli. Questo principio escludente nei confronti delle persone migranti è adesso applicato anche a coloro che sottrarrebbero risorse al popolo non più benestante perché impoverito dalla crisi economica, dai processi di globalizzazione e anche dalla sottrazione di fondi pubblici per la sovvenzione di programmi ritenuti inutili – come i progetti di inclusione – e minacciosi – come il finanziamento ai servizi per la transizione di genere.

È allʼinterno di questa concettualizzazione di popolo che sono nati e si sono sviluppato gli attacchi alle comunità Lgbtqia+ e allʼ“ideologia di genere” sostenuta, secondo lʼinterpretazione dei partiti populisti, da lobby che agiscono per la distruzione della famiglia naturale e per lʼinstillazione nelle giovani generazioni, fin dalla più tenera età, di una idea di società incompatibile con i valori naturali. Queste categorie, una volta agite nel terreno del confronto politico nelle campagne elettorali, diventano parte integrante della discussione politica sul versante istituzionale quando questi partiti salgono al governo, o ottengono un successo elettorale tale da influenzare le agende politiche anche se sono allʼopposizione. Da questo punto di vista, lo scenario statunitense non sembra essere così lontano.

La crociata contro il cosidetto gender mainstream nasce all’interno di partiti di estrema destra

*Giorgia Bulli è ricercatrice in Scienza Politica presso lʼUniversità di Firenze, Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, dove insegna Comunicazione politica ed elettorale e Analisi del Linguaggio Politico. Si occupa della trasformazione dei partiti e dei movimenti in Italia e in Europa, con particolare attenzione allʼevoluzione delle formazioni populiste e di estrema destra. È autrice dei libri “Fascisti di un altro millennio? Crisi e partecipazione in CasaPound Italia” con Matteo Albanese, Pietro Castelli Gattinara, ed Bonanno, 2014 – Migrazioni in Italia: oltre la sfida. Per un approccio interdisciplinare allo studio delle migrazioni, con Alberto Tonini, ed Firenze University Press, 2022 e “Nuovi razzismi e radicalizzazione dellʼintolleranza in Toscana”, con Nicola Labanca, Elena Mazzini, ed Unicopli, 2022.

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