Ilan Pappé: il sionismo è fallito

“Israele è così brutale perché sta per finire”. Queste le parole di Ilan Pappé durante l’incontro Pace e giustizia in Medioriente” che si è svolto a Firenze nel febbraio del 2024 e dove lo abbiamo intervistato. Pappé insegna all’Università di Exeter ed è uno principali rappresentanti dei cosiddetti “nuovi storici” israeliani, un gruppo eterogeneo di studiosi che negli ultimi anni ha rivisitato in chiave non-sionista la storia di Israele. Chiaramente avversato in Patria, Ilan Pappé è una delle voci più lucide della questione israelo-palestinese: nella sua analisi relativa all’attuale guerra nella Striscia di Gaza afferma infatti “che un regime basato sull’ingiustizia, sulla colonizzazione, sull’oppressione, sulla pulizia etnica, non può sopravvivere per sempre. Ci sono chiare indicazioni che il sionismo come idea, il sionismo come progetto, il sionismo come ideologia, il sionismo come infrastruttura per uno stato non funziona. Non funziona economicamente. Non funziona politicamente. Non funziona moralmente. Non parlo da attivista, ma da storico che da 40 anni studia la storia della Palestina”.

In quanto storico, quali sono secondo lei, le principali cause che hanno determinato gli eventi del 7 ottobre?

Penso che ci siano una ragione storica profonda ed una più recente: la ragione storica profonda risale al 1948 e al fatto che la maggior parte delle persone a Gaza sono rifugiati e molti di loro provengono proprio dai villaggi su cui sono stati costruiti gli insediamenti attaccati il 7 ottobre; questa è la ragione più profonda, ma quella più recente, naturalmente, è legata all’assedio israeliano della Striscia di Gaza di 17 anni. In questi 17 anni la gente di Gaza è stata esposta per ben quattro volte a bombardamenti dal mare, dalla terra e soprattutto dall’aria, e questo ha creato condizioni insopportabili. Per ciò che riguarda Hamas ci sono anche due ragioni aggiuntive: una è l’attacco israeliano ad Al Aqsa, violazione di un luogo molto sacro per i musulmani, e la seconda riguarda i molti prigionieri palestinesi. Yahya Sinwar, leader di Hamas, rappresenta entrambi gli aspetti: viene da uno dei villaggi che sono stati distrutti nel ‘48 ed era un prigioniero, per questo ha promesso che, come leader di Hamas, avrebbe fatto tutto il possibile per liberare i prigionieri. Se mettiamo insieme tutto questo, abbiamo una buona spiegazione di ciò che è successo il 7 ottobre e di come questa guerra e le operazioni militari di Israele cambieranno gli scenari in Palestina e in Israele. Dipende molto da quanto Israele avrà mano libera e da chi reagirà a ciò che sta facendo. Israele vuole cancellare i palestinesi, l’Olp, Hamas, ma anche depotenziare l’Unrwa; vuole espellere i palestinesi dalle loro terre e creare un grande stato di Israele che comprenderà anche la Cisgiordania e Gaza ma come reagirebbero l’Europa e l’America? Come reagirebbe Hezbollah? Come reagirebbero i palestinesi stessi? Come reagirebbe il mondo arabo? Sappiamo cosa vuole fare Israele, quello che è difficile da valutare è se riuscirà o meno a raggiungere il suo obiettivo.

Secondo lei quali iniziative dovrebbe intraprendere la comunità internazionale, per superare le attuali condizioni del popolo palestinese?

Penso che la comunità internazionale debba fare tutto il possibile per fermare il genocidio e costringere l’esercito israeliano ad abbandonare Gaza. Come seconda cosa, deve iniziare a ricostruire la Striscia di Gaza. Non credo che possiamo andare oltre a questo finché non ci sarà un cambiamento dal lato palestinese. Abbiamo bisogno di un’organizzazione palestinese unita che ci dica cosa vogliono i palestinesi. Per ora non ce l’abbiamo ma nel momento in cui lo sapremo, la comunità internazionale dovrebbe sostenerli perché in questa storia loro sono le vittime, non i carnefici. Aggiungo che è giunto il tempo che l’Europa, e l’Occidente, assuma una posizione più umile e non dica alle persone nel Mashrek cosa dovrebbero fare, come dovrebbe essere il loro sistema politico. È tempo che altri assumano il ruolo di mediatori regionali, di mediatori internazionali e, si spera, insieme assicurino che l’inevitabile collasso del progetto sionista venga sostituito da una struttura politica di uguaglianza per tutti che ispiri l’intero mondo arabo a iniziare un nuovo capitolo di speranza e prosperità.

Qual è la percezione della questione palestinese nei media internazionali?

I media mainstream sono molto inclini a sostenere la versione di Israele: si concentrano sulla narrazione israeliana che giustifica ciò che è sta succedendo a Gaza come una guerra di autodifesa israeliana e questo è molto deludente. Sicuramente riportano più notizie sulle vittime palestinesi e sulla distruzione a Gaza rispetto ai media israeliani, ma non lo vedono come un genocidio e non spingono i governi ad agire. Fortunatamente abbiamo i media alternativi, abbiamo la società civile, che credo vedano le cose in modo diverso. Non riguarda solo la stampa italiana, purtroppo penso che tutto questo valga per tutti i media mainstream occidentali.

Molti studiosi, studenti e membri della società civile israeliana stanno denunciando che lo stato israeliano sta perdendo la sua moralità, cosa ne pensa?

Penso che Israele abbia perso la sua moralità molti anni fa. Non credo fosse una questione morale, ma sì, dopo il 7 ottobre forse molte più persone hanno cominciato a capire la natura immorale di Israele.

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