Intervista a Sam Ndlovu di Laura Subissi
“Peggio dei cani e dei porci” è così che nel 2011 l’ex Presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe ha definito le persone queer. Ce lo racconta Sam Ndlovu, attivista trans zimbabwiano, direttore esecutivo di Treat (Trans Research Education Advocacy and Training) e vicepresidente del Southern african trans forum, un’organizzazione che lotta contro le ingiustizie e le discriminazioni subite dalle persone trans e non-binary in vari Paesi dell’Africa australe.
A causa della sua identità, Sam ha vissuto in prima persona cosa significa essere queer in Zimbabwe. Limitato nell’accesso agli spazi, nella sua carriera e nell’espressione di sé, il suo lavoro oggi gli permette di aiutare le persone trans e queer del suo Paese, ma anche di rivendicare i propri sogni. Fianco a fianco con altre persone trans africane, Sam ha cercato di aiutare le persone queer nel processo di accettazione della loro identità, di partecipazione e di empowerment, nelle loro lotte quotidiane (per diventare economicamente indipendenti e aver equo accesso al sistema sanitario ed educativo). Perché anche le persone trans hanno il diritto di vivere i propri sogni, di poter esercitare i loro diritti.
Diritti che sempre più spesso vengono negati: a partire dal riconoscimento della propria identità nei documenti. “Devi utilizzare i tuoi documenti di identità per poter fare anche le cose più semplici, proprio come il viaggio per venire qui”, ci ha spiegato quando lo abbiamo incontrato in Italia nell’ottobre 2022, all’indomani delle elezioni politiche vinte da Fratelli d’Italia. “Ogni volta che devi attraversare i controlli di sicurezza in aeroporto hai il cuore in gola, non sai mai se sarai fermato perché i documenti non corrispondono. Si tratta di vivere ogni giorno una vita a cui hai accesso, ma solo a discrezione di qualcun altro, quando qualcun altro decide che te lo meriti, quando qualcuno decide se ti spetta qualcosa”. Tutto dipende dalla discrezione di chi si ha davanti perché in Zimbabwe, come in molti altri Paesi, non esistono leggi che riconoscano l’esistenza delle persone trans.
Anche l’enorme lavoro che da anni viene fatto sull’Hiv contribuisce paradossalmente a stigmatizzare la comunità queer africana. In Africa – ci racconta Sam – le persone Lgbtqiap+ vengono infatti spesso associate esclusivamente alla malattia, riducendo la loro identità a questo aspetto. Questo ha una chiara influenza sulla loro vita, le loro aspirazioni e il valore che viene dato alle loro esperienze individuali, oltre ad essere fonte di discriminazione.
Anche i media sono spesso portatori di narrazioni distorte e quindi nocive quando si tratta di temi legati alla comunità Lgbtqiap+ (e non solo). “A volte c’è rabbia senza conoscenza. “Out&Proud” ci ha permesso, invece, di costruire una nostra narrazione come persone queer”.
La questione del linguaggio e dell’autocorrezione diventa quindi fondamentale nella comprensione di questi temi. Creare parole che richiamino l’identità, che permettano di esprimerla, è importante per potersi riconoscere e sentirsi rappresentati, ma anche per trasmettere e far capire subito l’umanità di chi siamo. “Per me è davvero difficile comprendere perché sia difficile guardarsi semplicemente come esseri umani”.
Le parole giuste
Out&Proud è un progetto di COSPE in Africa australe, di cui Sam è partner e che riguarda proprio le tematiche su cui lavora. “Un aspetto che ho subito amato del progetto riguarda la possibilità di dare un’opportunità a tutte e tutti”. Dare voce alla comunità Lgbtqiap+ e dare l’opportunità a quante più persone possibili di informarsi, conoscere e capire cosa succede all’interno di questa è infatti l’obiettivo primario del progetto. Questo è stato raggiunto attraverso la diffusione delle storie delle persone queer coinvolte nel progetto, accompagnato da uno scambio tra operatori media e persone della comunità. La pubblicazione di una guida – rivolta ai media, ma anche alle persone queer – ha permesso di riflettere sull’aspetto del linguaggio e su come usare le parole giuste sia fondamentale, specialmente quando si racconta qualcuno.